22/05/2025
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Medicina Generale: vedere la malattia o la persona?
Ci sono voluti anni di professione per capire davvero la differenza tra vedere un malato e vedere una persona.
La medicina ospedaliera, per sua natura, è orientata alla diagnosi, all’intervento, alla risoluzione di problemi acuti. È una medicina che vede il sintomo, la patologia, l’organo.
Serve a salvare vite. È essenziale.
Ma spesso — per necessità, per organizzazione, per tempo — si ferma lì: al malato, non alla persona.
In medicina generale è diverso.
Qui non curiamo solo “quella bronchite”, “quel diabete”, “quella cefalea”.
Vediamo volti, storie, fragilità che si intrecciano con la biologia.
Non ci limitiamo a valutare i parametri: entriamo (se ci è concesso) nel contesto, nella rete di relazioni, nei pensieri non detti.
Possiamo fare una consulenza per la gestione del peso.
Oppure possiamo sederci accanto a qualcuno che, con fatica, ci racconta una vita di vergogna e alimentazione disordinata.
Possiamo fare uno screening preventivo di routine.
Oppure possiamo accogliere la paura di chi ha perso un padre per un tumore, e da allora si sveglia ogni mattina temendo che tocchi a lui.
Possiamo visitare l’ennesimo bambino con la tosse.
Oppure possiamo vedere davvero l’adulto stremato davanti a noi, che ha paura, perché quel bambino è tutto il suo mondo.
La medicina generale ti insegna che la sofferenza non è solo nei sintomi, ma anche negli spazi vuoti tra una parola e l’altra.
Che a volte guarire non è possibile, ma esserci, davvero, può fare comunque la differenza.
Mostrare vulnerabilità, per un medico, è difficile. Ci espone. Ma non ci rende deboli.
E nonostante tutto il peso emotivo che può comportare, è proprio questa la parte del lavoro che custodiamo con più cura.
Perché alla fine, curare è anche questo: vedere qualcuno nella sua interezza.
Non solo come paziente, ma come persona.