04/11/2025
C’era una volta una ragazza che si definiva “ansiosa” prima ancora di dire il suo nome.
Un ragazzo che si presentava come “borderline” prima ancora di raccontare cosa amava.
Una generazione che ha imparato a parlare di sé attraverso le diagnosi, come se fossero etichette da indossare per essere visti.
Ma la psicologia non nasce per spettacolarizzare il dolore.
Nasce per comprenderlo. Per accoglierlo. Per trasformarlo.
“Ho l’ansia” non è un marchio, è un messaggio.
Un invito a esplorare cosa ci agita, cosa ci spaventa, cosa ci serve.
Un sintomo non è un’identità: è una porta. E dietro quella porta c’è una storia, non un disturbo.
La terapia cognitivo comportamentale ci insegna che i pensieri non sono verità assolute, ma ipotesi da verificare.
Che le emozioni non vanno censurate, ma ascoltate.
Che i comportamenti non vanno giudicati, ma compresi nel loro contesto.
Parlare di psicologia è bello quando ci aiuta a capire, non a incasellare.
Quando ci rende più umani, non più “strani”.
Quando ci permette di dire: “Non sono la mia diagnosi. Sono la mia evoluzione.”
Se vuoi raccontarti, fallo con amore.
Non con etichette.
Con parole che aprono, non che chiudono.
Perché la psicologia non è uno spettacolo.
È un linguaggio.
E tu sei il protagonista, non il personaggio.
Il vostro affezionato Doc. di quartiere