Dott.ssa Silvana La Porta Psicologo Psicoterapeuta

Dott.ssa Silvana La Porta Psicologo Psicoterapeuta Psicologo Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale integrato con l'approccio Sistemico Relazionale.

EMDR.
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Sono una persona forte, di quelle con cui la vita è stata dura più di una volta. Tuttavia, ho bisogno che ogni tanto qua...
27/10/2025

Sono una persona forte, di quelle con cui la vita è stata dura più di una volta. Tuttavia, ho bisogno che ogni tanto qualcuno mi prenda per mano e mi dica che tutto andrà bene, che mi assicuri che ci sono molte cose da fare e poche di cui preoccuparsi. Sentire questa necessità non è sinonimo di debolezza, bensì rappresenta l’audacia di qualcuno che apprezza un po’ di sostegno e conforto quando ne ha bisogno.“Ciò che non mi uccide, mi rende più forte” diceva Friedrich Nietzsche a giusto titolo. Ed è vero, per un motivo molto semplice: affinché una persona acquisisca la giusta quantità di forza nel cuore e innalzi le fondamenta del suo coraggio, prima di tutto deve esser caduto, deve aver provato la ferita della delusione, il vuoto della perdita e il marchio dell’errore.

Sono una persona forte, ho superato molte avversità. Tuttavia, ho bisogno che ogni tanto qualcuno mi prenda per mano e mi dica che andrà tutto bene.

Spesso pensiamo che certe dinamiche tossiche sono solo nei rapporti sentimentali invece possono verificarsi con altretta...
18/10/2025

Spesso pensiamo che certe dinamiche tossiche sono solo nei rapporti sentimentali invece possono verificarsi con altrettanta distruttività anche nei rapporti familiari e amicali. Riconoscere i segnali aiuta a prendere consapevolezza del tipo di relazione e ad allontanarono, o, quando ciò non è possibile perchè ad esempio son coinvolti genitori o figli, allentare comunque il tanto che basta per salvaguardarsi.

Come riconoscere subito una relazione potenzialmente pericolosa in 10 mosse
(E, soprattutto, smettere di credere di poter “salvare” chi ti sta distruggendo)

1. Ti fa sentire “speciale” troppo presto.

Ti idealizza, ti dice che sei “la donna che aspettava da sempre”, che “non ha mai provato nulla di simile”.
Non è amore, è strategia di aggancio.
Serve a legarti velocemente, a farti abbassare le difese.
Il vero amore non brucia i tempi, li costruisce, li scandisce con cura e rispetto.

2. Vuole sapere sempre dove sei e con chi.

Lo chiama “interesse”, ma è controllo.
Non è “gelosia”, è sorveglianza emotiva.
Quando ogni tuo spostamento diventa oggetto di interrogatorio, non sei amata, sei assediata/infestata.

3. Ti isola. Lentamente, ma sistematicamente.

Ti convince che “le tue amiche non ti capiscono”, che “la tua famiglia è invadente”.
Ti vuole sola perché più sei sola, più diventi gestibile.
Ricorda: un uomo che ha bisogno di eliminare il tuo mondo per farsi spazio…
vuole renderti prigioniera, non condividere la tua vita.

4. Alterna attenzioni estreme e freddezza totale.

Ti confonde, ti destabilizza, ti fa sentire colpevole di “aver fatto qualcosa di sbagliato”.
È rinforzo intermittente: la tecnica manipolativa più potente che esista.
Ti abitua a elemosinare affetto, a sopportare tutto pur di ritrovare “quel lato dolce di prima” che non tornerà mai perché era solo un inganno.

5. Ti colpevolizza per ogni suo malessere.

“Mi fai arrabbiare.”
“Mi hai deluso.”
“Mi hai costretto a reagire così.”
Ti fa credere di essere la causa dei suoi scatti, dei suoi silenzi, dei suoi disastri.
In realtà stai solo assumendoti la responsabilità della sua patologia.

6. Usa l’amore come arma di ricatto.

Ti punisce con il silenzio, con la distanza, con la minaccia di andarsene.
L’amore sano non si usa per terrorizzare chi ti sta accanto.
Questo non è amore. È violenza psicologica.

7. Umilia, ironizza, ridicolizza.

Spesso lo fa “scherzando”, ma il messaggio è sempre lo stesso:
tu vali meno, tu sbagli, tu non sei abbastanza.
Le parole lasciano ferite invisibili, ma profonde.
E una donna che comincia a dubitare del proprio valore è una donna già in trappola.

8. Ti fa sentire in debito per ogni gesto.

“Con tutto quello che faccio per te.”
Questa frase è il manifesto della manipolazione affettiva.
Ti dà per potersi riprendere tutto con gli interessi.
E quando smetterai di “essere riconoscente”,
scoprirai quanto può essere violento il suo “amore”.

9. Minimizza, nega, giustifica.

Quando lo affronti, non chiede scusa.
Ti dice che “hai capito male”, che “sei esagerata”, che “sei troppo sensibile”.
Ti induce a dubitare della tua percezione, del tuo giudizio, della tua lucidità.
Questo si chiama gaslighting.
Ed è il preludio alla tua disintegrazione emotiva.

10. Ti convince che senza di lui non sei niente.

Ti prosciuga l’identità, ti fa credere che da sola non ce la farai mai.
E quando inizi a crederci, ha già vinto.
Ma ricordati questo: nessuno ti completa, se prima ti distrugge.

Questo tipo di uomo non cambia.
Non lo puoi curare.
Non lo puoi guarire.
E soprattutto non lo puoi salvare.

Non sei un laboratorio di riparazione per maschi fallati.
Non è il tuo amore che lo trasformerà.
È la tua assenza che lo disinnescherà. Proteggiti. Chiedi aiuto. Allontanati.

Smetti di credere che stare con qualcuno significhi essere qualcuno.
Perché quando costruisci la tua identità sulle macerie emotive di chi ti consuma,
non stai vivendo un amore, stai partecipando alla tua cancellazione.

Si avvicina Halloween e già spuntano post e spauracchi contro questa festa affermando che sia la festa del diavolo... ma...
18/10/2025

Si avvicina Halloween e già spuntano post e spauracchi contro questa festa affermando che sia la festa del diavolo... ma davvero Halloween è la festa del diavolo? La risposta breve è che, no, Halloween non è la festa del diavolo. Anzi, è proprio interessante notare come il nome stesso di questa celebrazione ("All Hallows’ Eve" contratto poi in Halloween) sia di origine cristiana e significhi appunto "vigilia di Ognissanti".

Quando però questa usanza ha iniziato a diffondersi in Italia, l'incontro con una tradizione all'apparenza molto distante dalla nostra ha probabilmente fatto nascere qualche timore. In alcune parrocchie hanno iniziato a celebrare feste alternative proponendo ai partecipanti di mascherarsi come il santo a cui fa riferimento il proprio nome, con l'intenzione di arginare i camuffamenti da mostri, zombie e fantasmi tipici del 31 ottobre.

La Chiesa Cattolica dunque si è posta contro Halloween perché dà più risalto al mondo dei morti, che alla celebrazione della vittoria sulla morte e della resurrezione. Non va però dimenticato che il 2 novembre, due giorni dopo la festa degli spiriti, proprio la Chiesa Cattolica celebra il giorno dei morti e che tale festa in alcuni paesi come il Messico ma non solo, si usa travestirsi da coloratissimi scheletri.

Inoltre, se è vero che nel tempo il significato religioso di Halloween si è affievolito e ha lasciato il posto al suo lato più festaiolo e commerciale, come d'altronde è accaduto anche al Natale, è pur vero che si tratta sempre di una festa cristiana che deriva da una tradizione antica, presente tra l'altro anche in Nord Italia.

Mentre in alcune culture Halloween è una tradizione consolidata, in Italia la sua diffusione è piuttosto recente e sicuramente influenzata dalla cultura di massa. Film, telefilm e altri prodotti hanno contribuito a far conoscere questa festa "spaventosa" anche a casa nostra, fino a farla diventare un vero e proprio appuntamento attesissimo dai bambini e ragazzi.

Ma come nasce Halloween e qual è la sua storia?
Si pensa che Halloween sia una festa nata negli Stati Uniti. Tutti infatti hanno visto al cinema o alla tv i festeggiamenti al di là dell’Oceano Atlantico: il famoso dolcetto o scherzetto, gli addobbi spaventosi delle abitazioni, le feste… Ma le radici di Halloween non sono negli Usa.
Si ritiene che le sue origini siano in Europa, più precisamente in Scozia, dove sembra che già intorno al 1795 si sia iniziato a usare il termine All Hallows’ Eve, e cioè vigilia di Ognissanti, poi diventato appunto Halloween.

Per molti studiosi l’origine di Halloween ha radici ancora più profonde e lontane: secondo alcune teorie, infatti, non si tratterebbe di una tradizione cristiana ma piuttosto celtica. Halloween prenderebbe origine dall’antica festa di Samhain, una sorta di capodanno celtico che separava il periodo estivo da quello invernale. La festa di Samhain durava un’intera settimana durante la quale, secondo le credenze dell’epoca, il mondo terreno e quello dell’aldilà potevano incontrarsi.

Quando i romani conquistarono le terre celtiche, piano piano eliminarono tutte le feste pagane, considerate erroneamente opera del diavolo, e nel momento in cui fu istituita ufficialmente la festa di tutti i santi i popoli che continuavano a festeggiare l’antico Samhain spostarono al 31 ottobre la ricorrenza.
Fu solo nel corso dell’Ottocento, in seguito alla grande migrazione di irlandesi verso gli Stati Uniti, che le celebrazioni di Halloween si diffusero nel nuovo continente e presero la forma che tutti noi oggi conosciamo (e importiamo!).

Halloween non è solo una notte di paura, ma anche il momento per i bambini di girare di casa in casa, o piuttosto in Italia di negozio in negozio, e fare il cosiddetto “dolcetto o scherzetto”, cioè “obbligare” le persone a dar loro caramelle e altre golosità per non ricevere dei dispetti. Anche questa usanza sembra sia da ricondurre al periodo celtico di Halloween, quando durante la notte di Samhain le persone lasciavano in omaggio ai morti cibo sulla tavola per evitare che questi, uniti a fate ed elfi, facessero loro dispetti di ogni genere.

Altre teorie sostengono che la tradizione di “dolcetto o scherzetto” sia nata in epoca medievale, quando i mendicanti bussavano alle porte e chiedevano cibo in cambio di preghiere per le anime dei morti. E provate a indovinare che cosa promettevano se non ricevevano niente? Certo, sfortuna e sciagure!
L’usanza è stata poi esportata negli Stati Uniti dove il trick-or-treat prevede di bussare alle porte dei vicini per chiedere caramelle.

Da un punto di vista psicologico Halloween ha una funzione legata all'esorcizzazione delle paure, in particolare quella della morte, del terrore e dell'ignoto, attraverso l'esposizione controllata e ludica a elementi spaventosi. La festa permette di affrontare le paure in uno spazio sicuro e culturale, con attività come i travestimenti che consentono di "indossare" ciò che spaventa e di giocare con la propria identità. Allego qui di seguito un bellissimo articolo dela psicologa Lugia Montesi a tal proposito:

I mostri e altri personaggi spaventosi tipici della festa di Halloween permettono ai bambini di esorcizzare le loro paure.

IL NARCISISTA DIFRONTE ALL' INDIFFERENZA.C’è un momento, in ogni rapporto con un narcisista, in cui tutto tace. Non più ...
08/10/2025

IL NARCISISTA DIFRONTE ALL' INDIFFERENZA.

C’è un momento, in ogni rapporto con un narcisista, in cui tutto tace.
Non più parole, non più sguardi, non più messaggi.
È il momento in cui la vittima, stremata, consapevole, finalmente lucida, sceglie l’assenza.
E proprio lì, nel silenzio, accade qualcosa di tremendo: il castello interiore del narcisista comincia a incrinarsi.
Perché, come scriveva Heinz Kohut nel suo The Analysis of the Self ( 1971 ), il narcisista non possiede un Sé stabile: vive riflesso nello sguardo dell’altro.
È un essere che “si riconosce solo nello specchio della mente altrui”.
Togli lo specchio (cioè l’attenzione, l’ammirazione, anche la rabbia) e l’immagine svanisce.
L’indifferenza non è solo mancanza di reazione: è la dissoluzione dell’ “IO” fittizio che il narcisista ha costruito per esistere.
Otto Kernberg, psicoanalista della scuola oggettuale, sosteneva che dietro la grandiosità narcisistica si cela una struttura profondamente frammentata: un nucleo di rabbia e vergogna, un vuoto intollerabile che viene coperto da comportamenti di dominio, seduzione o superiorità.

Il narcisista non ama, usa.
Non comunica, sfrutta.
Ogni gesto di gentilezza è una moneta di scambio per mantenere il controllo.
Ma quando la persona di cui si nutriva (la fonte primaria del suo “carburante narcisistico”) smette di reagire, quella sicurezza crolla. Subentrano la collera, il disprezzo, la disperazione.
L’indifferenza è la crepa che espone la verità: dietro l’arroganza, non c’è forza, ma fragilità; non un re, ma un bambino spaventato che ha imparato a mascherare la paura con la superiorità.
Elsa Ronningstam, nella sua ricerca sul narcisismo patologico (Harvard Medical School, 2016), parla di un “sistema di regolazione del Sé basato sulla conferma esterna”.
Il narcisista non può tollerare l’idea di non essere visto.
Anche l’odio, purché lo si nomini, lo fa sentire vivo.
L’indifferenza invece lo uccide lentamente, perché lo lascia senza palco, senza pubblico, senza eco.
È per questo che, dopo il tuo silenzio, spesso tenta di riapparire.
Prima con lusinghe, poi con provocazioni, infine con accuse.
È il meccanismo descritto da Kohut e Ronningstam come selfobject transference: la ricerca disperata di una figura che “ rispecchi” e sostenga il Sé.
Ma tu non rispondi più.
E così, ogni parola non detta diventa un colpo assestato al suo impero di illusioni.
Nel vuoto del tuo silenzio, il narcisista si trova davanti a ciò che ha sempre fuggito: se stesso. Un sé che non conosce, che teme, che non sa abitare.
E allora scappa, verso nuove vittime, nuovi specchi, nuovi riflessi.
Perché, come ricordava Christopher Lasch in La cultura del narcisismo (1979), il narcisista è figlio di un mondo che non sa più guardarsi dentro un mondo che preferisce l’immagine alla sostanza, l’eco alla voce, l’ammirazione all’intimità.
Ma per chi si è liberato dal suo gioco, quel silenzio diventa rinascita.
Non è più un muro, è un confine.
È la ricostruzione di un Sé autentico, finalmente indipendente.
In quella quiete ritrovata si sente qualcosa di nuovo: non la vendetta, ma la pace.
La pace che nasce quando non devi più essere lo specchio di nessuno.

10/09/2025

Ci sono parole che non si riescono a dire.
E dolori che nessuno ha insegnato a nominare.
Quando una persona arriva a pensare al suicidio, non sta cercando la morte.
Sta cercando una tregua. Un varco. Una via di uscita da un dolore che sembra non avere nome, né fine.

Molti lo chiamano gesto estremo. Ma la verità è che, spesso, chi lo compie non voleva farla finita. Voleva solo che finisse il dolore.
È questo che ci invita a ricordare la Giornata mondiale per la prevenzione del suicidio:
_ che non è vero che chi ne parla non lo fa.
_ che non è vero che “voleva solo attirare l’attenzione”.
_ che non è vero che “non si poteva fare nulla”.
Parlare di suicidio non lo provoca. Ma ignorarlo, sì.

Oggi 10 settembre è il giorno in cui ricordiamo che il dolore mentale non va taciuto. Va riconosciuto. E curato.

La Danimarca si colloca tra i Paesi con il più basso tasso di bullismo e puntessi travi più alti di gentilezza interpers...
31/08/2025

La Danimarca si colloca tra i Paesi con il più basso tasso di bullismo e puntessi travi più alti di gentilezza interpersonale. L'allenare l'empatia a scuola fin dall'infanzia va in accordo con gli studi e la concezione verso cui l'empatia è qualcosa che va appresa e sviluppata piuttosto che essere una abilità innata.

https://www.instagram.com/p/DNkvYxPtuS_/?igsh=MXNjbTM2dnU2M2t0dg==

26/08/2025
"Uno degli aspetti più dolorosi dei rapporti con persone narcisiste sono le accuse e le “etichette” che vi mettono addos...
18/08/2025

"Uno degli aspetti più dolorosi dei rapporti con persone narcisiste sono le accuse e le “etichette” che vi mettono addosso.
Durante la vostra relazione con il/la narcisista, siete stati probabilmente accusati di fare e di essere tutte le cose che sapevate a livello logico di non essere mai stati capaci di fare e di essere.
Oggi voglio spiegare in che modo, quando un narcisista vi accusa di tali atrocità, sta effettivamente parlando con se stesso, come in uno SPECCHIO.
Spero che spiegandovi come proiettano su di voi il loro comportamento malvagio, potete lasciar andare i sentimenti di indegnità che vi assalgono e che vi hanno inculcato."

Articolo originale di Melanie Tonia Evans,
Traduzione C. Lemes Dias

Fonte: Trad. C. Lemes Dias __________________________ Uno degli aspetti più dolorosi dei rapporti con persone narcisiste sono le accuse e le “etichette” che vi mettono addosso. Durante …

Perché i ragazzi si ritirano? «Per ansia sociale. Non lo vedono come atto auto sabotante, ma come opzione. Sui social o ...
16/07/2025

Perché i ragazzi si ritirano? «Per ansia sociale. Non lo vedono come atto auto sabotante, ma come opzione. Sui social o sui media vedono modelli che sentono troppo lontani dalla loro realtà. Li spaventa la performance chiesta dalla società e dalla scuola. Hanno paura di fallire e questo timore non diventa una cosa attivante, ma un congelamento - ha spiegato Marco Crepaldi, presidente di Hikikomori Italia, alla presentazione dei risultati del progetto Segmenti- È importante l’intervento nei primi 6 mesi, perché il ritiro diventa cronicizzante. E non funziona nulla, neppure levare le porte di tutte le camere». Nel caso del ritiro sociale, inoltre, va evitato l’home schooling. «Deve essere davvero ultima scelta perché lo aggrava: un ragazzo ha bisogno di più figure educative, l’home schooling appiattisce l’esperienza sociale. Noi consigliamo un piano didattico personalizzato, che renda la scuola uno spazio protetto. La priorità è tenere il ragazzo in aula, magari evitando interrogazioni davanti a tutti o farle in modo programmato, oppure valutando altre opzioni». «Il nostro progetto ambisce a mettere in campo un modello sperimentale di cooperazione educativa territoriale, replicabile su larga scala» sottolinea infine Dafne Guida, presidente di Stripes

Il racconto di due genitori di Legnano, che si sono rivolti al progetto della cooperativa Stripes.

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