21/10/2025
Sempre più spesso, si impiegano i farmaci anti obesità che in questo momento stanno facendo trend in modo ossessivo. Un passa parola davvero tentacolare che coinvolge adolescenti e i loro genitori che avallano la necessità del tutto e subito dei loro figli/e, donne di mezza età con la stessa esigenza del tutto e subito. Ma sempre più spesso mi ritrovo a vedere pazienti che tornano con una massa muscolare davvero ridotta se non addirittura sarcopenici. In realtà c’è una stretta correlazione tra farmaci anti-obesità e massa muscolare, dove il problema non è la terapia, ma l’abbandono nutrizionale!!
Dimagrire non basta: senza strategia nutrizionale, anche la terapia più avanzata può diventare miope
e nel crescente entusiasmo per i farmaci che modulano l’appetito, come gli agonisti del GLP-1, si rischia di dimenticare una verità scomoda: non è la molecola a determinare la qualità del dimagrimento, ma il contesto in cui viene inserita. Senza un accompagnamento nutrizionale competente, il rischio non è solo quello di perdere peso, ma di perdere struttura, funzione e salute.
La riduzione dell’appetito indotta da questi farmaci può essere così marcata da portare molte persone a mangiare “quel poco che basta per non svenire”: uno spuntino qua e là, un pasto saltato, una dieta inconsapevolmente ipoproteica e priva di micronutrienti. Ma dimagrire non è sinonimo di guarire, e mangiare meno non significa nutrirsi meglio.
La massa muscolare non è un lusso metabolico: è un organo di sopravvivenza, il tessuto muscolare non è solo ciò che “fa volume” sulla bilancia: è un presidio metabolico, immunologico, neurologico. È ciò che ci permette di reagire allo stress, di guarire, di pensare con lucidità, di invecchiare con dignità e perdere massa magra in modo indiscriminato significa indebolire l’intero sistema corpo-mente.
Eppure, in molti percorsi farmacologici, questo aspetto viene ignorato. Si celebra il calo ponderale come unico indicatore di successo, senza chiedersi cosa si sta perdendo. Un chilo di muscolo perso non vale quanto un chilo di grasso. E senza un piano nutrizionale mirato, il rischio è che il corpo sacrifichi proprio ciò che dovrebbe proteggere.
La terapia farmacologica è un acceleratore, non un navigatore perché i farmaci anti-obesità possono essere strumenti straordinari, ma non sono una guida autonoma. Senza una direzione chiara,nutrizionale, educativa, motivazionale, possono portare fuori strada. Non basta ridurre la fame: bisogna ricostruire il significato del nutrirsi.
Questo richiede:
1. Un piano alimentare adattivo, che tenga conto dei nuovi segnali corporei e delle mutate soglie di sazietà.
2. Un’educazione nutrizionale profonda, che aiuti la persona a distinguere tra “mangiare poco” e “nutrirsi bene”.
3. Un supporto motivazionale reale, che non si limiti a frasi fatte ma accompagni il cambiamento identitario che ogni percorso di cura comporta.
4. Una visione integrata, in cui il corpo non sia un bersaglio da ridurre, ma un sistema da sostenere.
Serve una figura che non si limiti a prescrivere, ma che accompagni e il nutrizionista ha un ruolo fondamentale.
In questo scenario, la presenza del professionista della nutrizione non è un optional, ma una necessità clinica. Non basta “consigliare di mangiare proteine”: serve una guida che sappia ascoltare, adattare, motivare e correggere, giorno dopo giorno. Una guida che non si limiti a dare numeri, ma che aiuti la persona a ricostruire un rapporto dignitoso con il cibo, con il corpo, con il cambiamento. Teniamo ben presente che la terapia farmacologica è un mezzo, non un fine.
I farmaci anti-obesità possono essere strumenti potenti, ma non sono scorciatoie. Senza un accompagnamento nutrizionale e umano, rischiano di diventare acceleratori di squilibrio, anziché facilitatori di salute. La vera terapia è quella che integra competenze, ascolto e visione d’insieme.