10/12/2025
Viviamo in un’epoca in cui desideriamo proteggerci in tutti i modi da ogni aspetto negativo dell’esistenza. Ci costruiamo attorno un mondo finto, incellofanato, senza spigoli che possano urtarci.
Per proteggerci, neghiamo la realtà per come è davvero, in nome di come vorremmo che fosse.
Ad esempio, non ragioniamo più su certe idee, perché spaventose: non parliamo più di morte, di dolore, di tragedia. E quando siamo costretti a farlo, le scriviamo o le raccontiamo con l’asterisco, per esorcizzarle.
O ancora, a scuola abbiamo smesso di correggere con la biro rossa, perché il rosso potrebbe urtare la sensibilità dei ragazzi.
Sui social, invece, evitiamo ciò che è spiacevole, triste, scoraggiante, seguendo profili che confermano il nostro pensiero desiderante.
Eppure, il mondo continua a esistere al di là di ogni nostra narrazione. Anche se neghiamo il male, il male non scompare; anche se ci voltiamo dall’altra parte, ciò che non ci piace rimane lì, in attesa, nell’ombra. E tanto più facciamo finta di non vederlo, tanto sarà sconvolgente la volta in cui ce lo troveremo di fronte, all’improvviso.
Perché prima o poi accade a tutti di cadere, di ferirsi, di deludersi, di spaventarsi, di sbagliare: è inevitabile. La vita, prima o poi, ci correggerà con la biro rossa, anche se siamo cresciuti raccontandoci che con quella blu si apprende meglio.
Lo sport è una delle realtà più oneste di tutte, perché non fa sconti, non racconta favole, non nasconde l’imperfezione dietro filtri. Anzi: in un certo senso, ci sbatte in faccia la realtà.
Specialmente i primi allenamenti: ci scopriamo impreparati, doloranti, esausti. Scopriamo che è dura, che non è facile come vorremmo.
E, andando avanti, scopriamo altre cose. Che perdere fa malissimo; che anche se diamo tutto, può capitare di non ottenere niente; che, per quanto ci alleniamo, è un attimo infortunarsi, fisicamente e mentalmente; che non sempre vince chi se lo merita; che, nei momenti più bui, arriveremo a credere che avere un sogno non è un dono, ma una condanna.
In un mondo finto, dove ci raccontiamo che la vera forza è non cadere mai, lo sport ci insegna una cosa diversa: che cadere è normale. Che sentirsi deboli è normale. Che mettere tutto in discussione è normale. Che fallire è normale. Che voler mollare è normale.
Perché l’esistenza è anche questo, nonostante facciamo così tanta fatica ad ammetterlo, trincerati dietro i nostri racconti patinati.
E accettare questa realtà significa essere forti.
Vivere nonostante questa consapevolezza significa essere forti. Rimettersi in piedi e continuare a camminare, con le ginocchia sbucciate, significa essere forti.
Se ti piace ciò che scrivo, “𝗧𝗿𝗮𝘀𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗶𝗺𝗶𝘁𝗶 𝗶𝗻 𝘁𝗿𝗮𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗶. 𝗟𝗼 𝘀𝗽𝗼𝗿𝘁 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗳𝗶𝗹𝗼𝘀𝗼𝗳𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘁𝗮” è uno dei miei libri. Racconta di come lo sport possa migliorarci la vita.
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Il Saggio dello sport