20/10/2025
Assolutamente d'accordo
Poter ESSERE UNA PAZIENTE oltre che una psicoterapeuta è per me un grande privilegio (oltre che un dovere verso me stessa e gli altri).
1) Conosco la fatica che il paziente compie. Ogni settimana prendo l'auto, percorro 40 minuti, arrivo in periferia di Milano e prendo ancora la metropolitana per 20 minuti prima di arrivare. Faccio la mia ora di seduta e torno indietro. Il tempo per la psicoterapia c'è sempre nonostante il grande impegno su più fronti che mi richiede. La costanza e l'impegno sono fondamentali per il cambiamento. E sono faticosi, lo so.
2) Avendo subito traumi evolutivi ed ambientali conosco bene la presenza fortissima delle parti diffidenti, arrabbiate, sospettose che abbiamo dentro e che si attivano anche verso il terapeuta. Esse colgono la minima imprecisione o il qualsivoglia errore o le peculiarità di quella persona per confermarsi quando credono: NON FIDARSI È PIÙ SICURO/NESSUNO TIENE A NOI. Esse dunque mal interpretano e ogni volta che si attivano (questo è un passaggio importante!) a sua volta attivano le parti più piccole terrorizzate. Il loro intento è proteggerle ma di fatto le isolano e le spaventano tantissimo.
3) So dunque che, con grande fatica, dobbiamo parlare al terapeuta di queste parti anche se rivolte verso lui/lei tenendo a mente che sono parti rigide che non sempre vedono correttamente la realtà attuale e alimentano la dipendenza delle parti piccole che invece vanno aiutate a crescere, accettare la realtà passata ed attuale e trovare nell'adulto del paziente risorse.
4) Proprio per questi motivi (parti diffidenti) sono sempre più d'accordo con quanto afferma J. Fisher: il terapeuta è un allenatore non un sostituto genitoriale.
Let's go!
Sono quasi arrivata. 😉