Marco Ferrara Fisioterapista

Marco Ferrara Fisioterapista Il corpo cerca l’armonia e coglie ogni opportunità per liberarsi da un utilizzo inadeguato.

Quindi, bisogna reagire: l’attività fisica è fondamentale, non serve ammazzarsi di fatica ma mettere in circolo l’ossige...
21/10/2025

Quindi, bisogna reagire: l’attività fisica è fondamentale, non serve ammazzarsi di fatica ma mettere in circolo l’ossigeno ed eliminare le tossine!
Per il resto, ci sono tanti approcci in psicoterapia ma, a mio avviso, il più adeguato è quello della Mindfulness, ma ricordate di consultare esclusivamente personale sanitario, cioè psicoterapeuti specializzati, per essere sicuri di non aprire porte che potrebbero mostrare qualcosa che non si è ancora pronto ad affrontare.
My 2cents. 🙂

È ora di tenere a bada la disinformazione, e tutelare la salute. ⛔️
10/10/2025

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COERENZA BIOMECCANICA: IL CAMMINO CHE PORTA DRITTO AL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALEQuesto post è rivolto ai colleghi fisiote...
06/10/2025

COERENZA BIOMECCANICA: IL CAMMINO CHE PORTA DRITTO AL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE

Questo post è rivolto ai colleghi fisioterapisti, con cui condividiamo un linguaggio professionale, un sistema ordinistico e un orizzonte di responsabilità comuni.

Se scegliamo di lavorare con un modello biomeccanico, se basiamo le nostre scelte cliniche su leve, assi, forze, carichi e angoli articolari, allora dobbiamo essere coerenti fino in fondo.

E andare fino in fondo significa non ignorare ciò che, nel tempo, plasma, deforma e altera quella biomeccanica: posture mantenute, abitudini quotidiane, ergonomia disfunzionale, scarpe inadatte, comportamenti reiterati, il modo in cui una persona vive il proprio corpo ogni giorno.

Valutare queste fonti di carico non significa travalicare i confini della professione, ma completare l’analisi clinica. Le variabili ergonomiche e comportamentali sono meccanicamente rilevanti e dunque clinicamente pertinenti per un fisioterapista.

Perché se la forma governa la funzione, allora anche la funzione reiterata governa la forma.

Non vuol dire che ogni comportamento alteri la struttura in senso patologico, ma che la ripetizione cronica di certi schemi motori e posturali può produrre adattamenti meccanici significativi, come dimostrano la legge di Wolff per l’osso e la legge di Davis per i tessuti molli, confermate dalla letteratura riabilitativa.

Se la nostra attenzione è rivolta alla forma, non possiamo ignorare le funzioni che giorno dopo giorno la modellano.

Per coerenza professionale, o siamo biomeccanici anche fuori dal lettino, oppure non lo siamo davvero.

La biomeccanica, se presa sul serio, richiede di considerare anche tutto ciò che modifica i carichi nel tempo. E se questi carichi derivano da comportamenti quotidiani, contesti ergonomici e schemi motori consolidati, allora educare il paziente, modificare l’ambiente e intervenire sulle abitudini diventa non solo utile, ma necessario.

Del resto, la biomeccanica moderna ha già superato la visione rigida e meccanicistica, riconoscendo che i sistemi biologici sono adattivi, plastici e non lineari. Ridurla a una lettura statica significa allontanarsi dalla realtà clinica.

Il punto non è sostituirsi ad altri professionisti, ma completare la valutazione includendo ciò che oggettivamente incide sui carichi applicati al corpo: scarpe, sedie, modalità con cui un paziente solleva, cammina o dorme. Non filosofia, ma variabili meccaniche contestuali.

Altrimenti rischiamo di trattare la conseguenza, e non la causa. Una biomeccanica così diventa sterile: misura ciò che vede, ma ignora ciò che genera.

Dalla biomeccanica al bio-psico-sociale

Le evidenze più solide degli ultimi vent’anni, dalla Lancet Series on Low Back Pain alle linee guida NICE, fino ai lavori di EFIC, Pain Revolution, O’Sullivan e Louw, ci dicono che dolore, disfunzione e recupero dipendono da un insieme di fattori biologici, psicologici e sociali.

È fondamentale ricordare che il modello bio-psico-sociale è adottato da enti regolatori e istituzioni sanitarie internazionali come standard nella presa in carico del dolore cronico e dei disturbi muscolo-scheletrici. Non è un’opinione, ma un quadro integrato e operativo che include la biomeccanica, senza fermarsi ad essa.

Oggi è diventato clinicamente concreto: basti pensare alla Cognitive Functional Therapy, ai modelli multidimensionali del dolore, agli approcci educativi validati. La sua applicabilità è misurabile, pubblicata, replicabile.

Biomeccanica sì, ma non da sola

La correzione passiva può ridurre una disfunzione meccanica in studio. Ma se non si interviene anche su comportamenti, ergonomia, credenze ed aspettative, quella disfunzione tornerà. E spesso tornerà più forte.

I tassi di recidiva lo dimostrano: gli approcci solo passivi hanno meno risultati duraturi rispetto a quelli integrati con esercizio terapeutico ed educazione.

La correzione meccanica è un punto di partenza, non di arrivo. È il contesto a stabilire la durata del risultato.

Il corpo non è una macchina: è un sistema adattivo e intelligente, capace di variabilità motoria, plasticità e autoregolazione.

Non tutto è psicosociale

Un menisco rotto è un menisco rotto. Ma il dolore non è sempre proporzionale al danno, e il recupero dipende anche da aderenza terapeutica, forza, motivazione, movimento. Il bio-psico-sociale non nega la lesione, ma amplia la comprensione della risposta del corpo.

Una risonanza mostra il danno, non spiega il comportamento del paziente né predice il suo recupero. Solo integrando più dimensioni possiamo accompagnarlo davvero.

La direzione chiara

Se davvero crediamo che forma, funzione e carichi cronici siano interconnessi, allora dobbiamo occuparci anche del contesto che quei carichi li genera: educazione, prevenzione, comunicazione, coinvolgimento.

Nessuna di queste è una variabile “alternativa”: sono tutte fonti reali di carico e stress reiterato. La precisione non esclude la complessità: al contrario, la completa.

Il vero biomeccanico è anche educatore. Il vero tecnico è anche clinico. Il vero fisioterapista non è mai monodimensionale.

Ecco il paradosso che si ribalta:
più sei biomeccanico, più devi essere bio-psico-sociale.

È una questione di rigore scientifico.
È una questione di onestà clinica.

Un esempio semplice ma potente

A questo proposito vale la pena fare un esempio pratico, comprensibile da chiunque.

La morfologia strutturale è identica, ma quando vediamo camminare un amico depresso o abbattuto, lo percepiamo immediatamente.

Il passo, l’atteggiamento delle spalle, la postura generale: tutto ci appare diverso, anche se le ossa e i muscoli sono gli stessi.

Ciò che notiamo è la discrepanza tra il modo in cui quella persona si muove oggi e quello che ricordiamo come il suo atteggiamento abituale.

Questo semplice confronto ci dimostra come il contesto psicologico ed emotivo modifichi la biomeccanica percepita, andando ben oltre l’analisi strutturale pura.

E dovrebbe farci riflettere sulle innumerevoli implicazioni che vanno considerate, se vogliamo davvero comprendere il movimento umano.

Non cerchiamo verità assolute.
Ci basta coerenza, curiosità.. e qualche dubbio ben coltivato.

Poi non lamentatevi delle mie innocenti matitine!! 😝😅🤪
03/10/2025

Poi non lamentatevi delle mie innocenti matitine!! 😝😅🤪

Ringrazio il Dottor Marco Di Gesù per la bellissima intervista! 🤗
29/09/2025

Ringrazio il Dottor Marco Di Gesù per la bellissima intervista! 🤗

Prima di tutto bisogna sempre partire dal ragionamento clinico che, grazie all’anamnesi e ad un attento “ascolto” della persona, indicherà quale possa essere

Guerriere palermitane! 🤗👏🏻👏🏻👏🏻
28/09/2025

Guerriere palermitane! 🤗👏🏻👏🏻👏🏻

28/09/2025

Grazie alla Dottoressa Alessia Calandra ieri ho potuto condividere una bellissima giornata, un esperienza ricca di confronti tra professionisti della salute che credono nella Medicina Integrata e nella forza della rete, a beneficio di tutti noi.
🤗

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Chi sono

Pratico la libera professione come fisioterapista da circa ventotto anni, proponendo un mio personale approccio, basato sulle mie esperienze di studio avute, principalmente, fuori dall'Italia.

La passione per la mia professione è nata dall'esperienza diretta col trauma e dall' istintiva voglia di superarne le conseguenze psico-fisiche, poiché sono fermamente convinto che, per quanto possa sembrare avvilente, l'esperienza traumatica ci conceda l'opportunità di confrontarci con la nostra vera natura, riuscendo, così, a metterci in relazione con la parte più profonda del nostro essere, quella appunto in grado di farci decidere come reagiremo alle esperienze negative.

Il corpo è in grado di reagire ai traumi in maniera funzionale, basti pensare a quante volte ci siamo "sbucciati le ginocchia" da bambini; purtroppo la nostra cultura ci ha abituati a delegare anche questo compito, motivo per il quale, il più delle volte, sentiamo il bisogno di un aiuto, di un catalizzatore in grado di focalizzare la nostra capacità di reazione; è questo il compito di un terapeuta, una figura in grado di assumersi la responsabilità di questo ruolo, che faccia prendere coscienza delle proprie capacità latenti a quanti, coraggiosamente, si rivolgeranno a lui per affrontare positivamente sia le proprie esperienze traumatiche che i disagi del quotidiano che li affliggono.