06/10/2025
COERENZA BIOMECCANICA: IL CAMMINO CHE PORTA DRITTO AL MODELLO BIO-PSICO-SOCIALE
Questo post è rivolto ai colleghi fisioterapisti, con cui condividiamo un linguaggio professionale, un sistema ordinistico e un orizzonte di responsabilità comuni.
Se scegliamo di lavorare con un modello biomeccanico, se basiamo le nostre scelte cliniche su leve, assi, forze, carichi e angoli articolari, allora dobbiamo essere coerenti fino in fondo.
E andare fino in fondo significa non ignorare ciò che, nel tempo, plasma, deforma e altera quella biomeccanica: posture mantenute, abitudini quotidiane, ergonomia disfunzionale, scarpe inadatte, comportamenti reiterati, il modo in cui una persona vive il proprio corpo ogni giorno.
Valutare queste fonti di carico non significa travalicare i confini della professione, ma completare l’analisi clinica. Le variabili ergonomiche e comportamentali sono meccanicamente rilevanti e dunque clinicamente pertinenti per un fisioterapista.
Perché se la forma governa la funzione, allora anche la funzione reiterata governa la forma.
Non vuol dire che ogni comportamento alteri la struttura in senso patologico, ma che la ripetizione cronica di certi schemi motori e posturali può produrre adattamenti meccanici significativi, come dimostrano la legge di Wolff per l’osso e la legge di Davis per i tessuti molli, confermate dalla letteratura riabilitativa.
Se la nostra attenzione è rivolta alla forma, non possiamo ignorare le funzioni che giorno dopo giorno la modellano.
Per coerenza professionale, o siamo biomeccanici anche fuori dal lettino, oppure non lo siamo davvero.
La biomeccanica, se presa sul serio, richiede di considerare anche tutto ciò che modifica i carichi nel tempo. E se questi carichi derivano da comportamenti quotidiani, contesti ergonomici e schemi motori consolidati, allora educare il paziente, modificare l’ambiente e intervenire sulle abitudini diventa non solo utile, ma necessario.
Del resto, la biomeccanica moderna ha già superato la visione rigida e meccanicistica, riconoscendo che i sistemi biologici sono adattivi, plastici e non lineari. Ridurla a una lettura statica significa allontanarsi dalla realtà clinica.
Il punto non è sostituirsi ad altri professionisti, ma completare la valutazione includendo ciò che oggettivamente incide sui carichi applicati al corpo: scarpe, sedie, modalità con cui un paziente solleva, cammina o dorme. Non filosofia, ma variabili meccaniche contestuali.
Altrimenti rischiamo di trattare la conseguenza, e non la causa. Una biomeccanica così diventa sterile: misura ciò che vede, ma ignora ciò che genera.
Dalla biomeccanica al bio-psico-sociale
Le evidenze più solide degli ultimi vent’anni, dalla Lancet Series on Low Back Pain alle linee guida NICE, fino ai lavori di EFIC, Pain Revolution, O’Sullivan e Louw, ci dicono che dolore, disfunzione e recupero dipendono da un insieme di fattori biologici, psicologici e sociali.
È fondamentale ricordare che il modello bio-psico-sociale è adottato da enti regolatori e istituzioni sanitarie internazionali come standard nella presa in carico del dolore cronico e dei disturbi muscolo-scheletrici. Non è un’opinione, ma un quadro integrato e operativo che include la biomeccanica, senza fermarsi ad essa.
Oggi è diventato clinicamente concreto: basti pensare alla Cognitive Functional Therapy, ai modelli multidimensionali del dolore, agli approcci educativi validati. La sua applicabilità è misurabile, pubblicata, replicabile.
Biomeccanica sì, ma non da sola
La correzione passiva può ridurre una disfunzione meccanica in studio. Ma se non si interviene anche su comportamenti, ergonomia, credenze ed aspettative, quella disfunzione tornerà. E spesso tornerà più forte.
I tassi di recidiva lo dimostrano: gli approcci solo passivi hanno meno risultati duraturi rispetto a quelli integrati con esercizio terapeutico ed educazione.
La correzione meccanica è un punto di partenza, non di arrivo. È il contesto a stabilire la durata del risultato.
Il corpo non è una macchina: è un sistema adattivo e intelligente, capace di variabilità motoria, plasticità e autoregolazione.
Non tutto è psicosociale
Un menisco rotto è un menisco rotto. Ma il dolore non è sempre proporzionale al danno, e il recupero dipende anche da aderenza terapeutica, forza, motivazione, movimento. Il bio-psico-sociale non nega la lesione, ma amplia la comprensione della risposta del corpo.
Una risonanza mostra il danno, non spiega il comportamento del paziente né predice il suo recupero. Solo integrando più dimensioni possiamo accompagnarlo davvero.
La direzione chiara
Se davvero crediamo che forma, funzione e carichi cronici siano interconnessi, allora dobbiamo occuparci anche del contesto che quei carichi li genera: educazione, prevenzione, comunicazione, coinvolgimento.
Nessuna di queste è una variabile “alternativa”: sono tutte fonti reali di carico e stress reiterato. La precisione non esclude la complessità: al contrario, la completa.
Il vero biomeccanico è anche educatore. Il vero tecnico è anche clinico. Il vero fisioterapista non è mai monodimensionale.
Ecco il paradosso che si ribalta:
più sei biomeccanico, più devi essere bio-psico-sociale.
È una questione di rigore scientifico.
È una questione di onestà clinica.
Un esempio semplice ma potente
A questo proposito vale la pena fare un esempio pratico, comprensibile da chiunque.
La morfologia strutturale è identica, ma quando vediamo camminare un amico depresso o abbattuto, lo percepiamo immediatamente.
Il passo, l’atteggiamento delle spalle, la postura generale: tutto ci appare diverso, anche se le ossa e i muscoli sono gli stessi.
Ciò che notiamo è la discrepanza tra il modo in cui quella persona si muove oggi e quello che ricordiamo come il suo atteggiamento abituale.
Questo semplice confronto ci dimostra come il contesto psicologico ed emotivo modifichi la biomeccanica percepita, andando ben oltre l’analisi strutturale pura.
E dovrebbe farci riflettere sulle innumerevoli implicazioni che vanno considerate, se vogliamo davvero comprendere il movimento umano.
Non cerchiamo verità assolute.
Ci basta coerenza, curiosità.. e qualche dubbio ben coltivato.