Dottoressa Lucrezia Sirchia Psicologo Sessuologo Palermo

Dottoressa Lucrezia Sirchia Psicologo Sessuologo Palermo Psicologo e Sessuologo clinico con laurea in Psicologia Clinica; specializzata in Sessuologia clinica e Psicologia applicata presso A.i.s.p.a.

02/11/2025

Quando Grace Kelly morì, una parte di Cary Grant se ne andò con lei.
Quel giorno restò seduto in silenzio, mentre la notizia rimbalzava per casa come un’eco che non riusciva a sopportare.
“Semplicemente… era troppo pura per questo mondo,” sussurrò. “L’ho amata.”

Molto prima della tragedia, prima della corona, prima delle prime pagine dei giornali… erano solo due anime che si capivano.
Sul set di Caccia al ladro (1955), Cary trovò in Grace qualcosa di raro: una calma che non chiedeva attenzione, un’eleganza senza vanità, un calore che non aveva bisogno di sforzo.

“Aveva una gioia silenziosa,” disse una volta.
“Non guardavi solo Grace… la sentivi.”

La chimica sullo schermo era incantevole.
Ma tra una ripresa e l’altra crebbe qualcosa di più dolce.
Una complicità fatta di sorrisi, ironia e tenerezza.
Un’amicizia cucita tra le pieghe del tempo, che nessuna distanza riuscì a spezzare.

Quando Grace lasciò Hollywood per diventare Principessa di Monaco, Cary non le disse addio.
Ogni anno le scriveva.
Lettere leggere, intime, piene di affetto.
In una di queste scrisse:
“Potrai anche portare una corona… ma per me resterai sempre la mia Grace.”

E lei gli rispondeva con gratitudine, chiamandolo
“un uomo con la grazia nel cuore, molto prima che diventassi io Grace di nome.”

Restarono legati, nonostante gli oceani e gli anni.
Quando lei lo invitava a Monaco, lui trovava sempre il tempo.
Amava i suoi figli. Portava regali, racconti dal set, aneddoti pieni di nostalgia.

“Lo vedevi negli occhi,” raccontò un amico. “Ogni volta che parlava di lei… era amore.”

Poi, nel 1982, arrivò la notizia.
Un incidente. Una principessa strappata via troppo presto.
Cary crollò. Annullò gli impegni. Chiuse la porta.
E pianse.

“Non riesco a credere che se ne sia andata,” mormorò.
“Il mondo… è più vuoto ora.”

Sulla sua scrivania, fino agli ultimi giorni, tenne sempre una foto di lei.
Non come ricordo di un amore mancato.

Ma come promemoria di ciò che davvero significa grazia.

ALICANTHE

“Racconto ispirato alla vita di Grace Kelly e Cary Grant: alcuni dettagli sono storicamente verificati, altri sono interpretazione o ricostruzione narrativa.”

02/11/2025

Il VERO volto del re Tutankhamon è molto diverso da quello che la storia e l’arte ci hanno raccontato per secoli.

La sua celebre maschera funeraria, scolpita nell’oro lucente, incarna da sempre un ideale di bellezza regale, di perfezione divina. Quei tratti scolpiti con precisione — le labbra piene, gli occhi allungati, lo sguardo impassibile — sono diventati il simbolo immortale dell’antico Egitto.
Ma la scienza ha strappato il velo dell’icona per mostrarci la verità di un corpo reale, vulnerabile, spezzato.

L’“autopsia virtuale” eseguita sui suoi resti ha rivelato un Tutankhamon molto diverso. Un ragazzo segnato da profonde fragilità fisiche: denti sporgenti, fianchi larghi e femminili, e un piede equino che lo costringeva a camminare con l’aiuto di bastoni.
Altro che re guerriero, amante delle corse sui carri.
Il giovane faraone, salito al trono nel XIV secolo a.C., era un adolescente affaticato dal proprio corpo, vittima di una genetica compromessa da secoli di matrimoni tra consanguinei. I suoi stessi genitori erano fratello e sorella, un’unione che ha lasciato il segno nella sua salute fin dalla nascita.

Quello che un tempo era visto come un sovrano maestoso e intoccabile, si rivela ora per quello che è stato davvero: un ragazzo fragile, segnato dalla malattia, costretto a convivere con un corpo che lo tradiva giorno dopo giorno.

Ma proprio in questa frattura tra mito e realtà si nasconde la grandezza di Tutankhamon.
Perché ha governato comunque.
Perché è diventato un simbolo eterno nonostante la sofferenza.
Perché la sua storia, seppur breve, è arrivata fino a noi con la potenza delle leggende.

E oggi, grazie alla scienza, possiamo guardarlo davvero negli occhi.
Non più solo come il re bambino dal volto d’oro, ma come l’essere umano che è stato.
Debole. Imperfetto. Reale.
E proprio per questo… immortale.

Viaggio nella Storia

“𝐵𝑎𝑠𝑎𝑡𝑜 𝑠𝑢 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑖 𝑓𝑜𝑟𝑒𝑛𝑠𝑖 𝑒 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑠𝑡𝑟𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑑𝑖𝑔𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖; 𝑎𝑙𝑐𝑢𝑛𝑒 𝑐𝑎𝑟𝑎𝑡𝑡𝑒𝑟𝑖𝑠𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒 𝑟𝑒𝑠𝑡𝑎𝑛𝑜 𝑜𝑔𝑔𝑒𝑡𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑏𝑎𝑡𝑡𝑖𝑡𝑜 𝑓𝑟𝑎 𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑡𝑢𝑑𝑖𝑜𝑠𝑖.”

02/11/2025

Le donne che mettevano fuori dalla porta i mariti

C’era un tempo, non troppo lontano, in cui il Sud-Est degli Stati Uniti era attraversato da una società che funzionava in modo radicalmente diverso da quella europea. Era la Nazione Cherokee.

In quella società, le donne non erano subordinate. Erano pilastri.

La loro cultura era matrilineare: i figli prendevano il clan dalla madre, e i beni – campi, case, storie – passavano da donna a donna. Quando una coppia si sposava, era l’uomo a trasferirsi nella casa della moglie, non il contrario. E se la donna decideva che il matrimonio era finito, bastava che gli mettesse fuori dalla porta i suoi oggetti personali. Il messaggio era chiaro. E rispettato.

Le donne Cherokee possedevano le case. Coltivavano il mais, i fagioli e la zucca – “le tre sorelle” che nutrivano la comunità. Gestivano il cibo, allevavano i bambini, intrecciavano cesti, trattavano le pelli, e mantenevano viva la cultura.

Ma non erano solo madri e custodi. Erano anche leader.

Alcune erano “Ghigau” – “Donne amate” – con poteri religiosi, morali e politici. Potevano parlare nei consigli tribali, decidere le sorti dei prigionieri, e perfino influenzare dichiarazioni di guerra. La più celebre fu Nanyehi, conosciuta anche come Nancy Ward, che durante il periodo della Rivoluzione Americana trattò direttamente con i leader coloniali.

Quando i coloni europei arrivarono, furono sconvolti da questa realtà. Il viaggiatore James Adair la definì con disprezzo un “governo in gonne”, incapace di comprendere una società in cui le donne avevano potere reale.

Ma con il tempo, quel potere fu aggredito.

Il governo degli Stati Uniti impose strutture patriarcali: riconobbe solo capi maschi, impose la proprietà privata agli uomini, e negò alle donne il diritto di rappresentare la loro gente nei trattati ufficiali. I missionari insegnarono la sottomissione femminile. Il sistema matrilineare fu lentamente smantellato.

Eppure, le donne Cherokee resistettero. Alcune continuano ancora oggi a trasmettere le storie, le lingue e le linee di discendenza attraverso le madri.

Non era una società perfetta. Ma era una dimostrazione concreta che il dominio maschile non è naturale, né inevitabile. È una scelta culturale. E loro, avevano scelto un’altra via.

Quella via è stata quasi cancellata.
Ma non dimenticata.

Perché ogni volta che una donna viene zittita nel nome della “tradizione”, possiamo ricordare le Cherokee — e dire:
"Altri mondi sono esistiti. E possono esistere ancora."

𝗩𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮

02/11/2025

Chi ama i gatti sogna un mondo fatto di silenzi che parlano, di angoli tranquilli dove il tempo si ferma, di gesti piccoli e pieni di significato.
Chi ama i gatti non ha paura del silenzio, anzi, lo abita. Lo trasforma in complicità, in sguardi lenti, in attese leggere.
Chi ama i gatti ama anche l’indipendenza — quella del gatto, certo — ma anche la propria. Perché sa che l’amore vero non trattiene, non chiude, non pretende. Accompagna, rispetta, resta.
Chi ama i gatti gioca a fare il grande, ma dentro porta un desiderio infantile e tenero: restare per sempre un po’ bambino, capace di stupirsi per una coda che si muove, per un miagolio nella notte, per un musetto che si appoggia sul cuore.
Chi ama i gatti ha scelto un compagno silenzioso, ma capace di parlare l’anima.

02/11/2025

Ogni mattina, all'alba, un uomo cammina lentamente nel suo quartiere, spingendo un passeggino pieno di cani. 🐶
Non cuccioli, no, ma cani paralizzati, ognuno privato dell'uso delle zampe posteriori.
Alcuni sono stati investiti dalle auto, altri sono abbandonati. Tutti erano condannati... Finché non incontrano Lui.

Il suo nome è Gregory Lane, noto alla gente del posto come "Il papà dei cani su rotelle".
Anni fa, ha salvato il suo primo cane paralizzato, un pastore tedesco di nome Max.
I veterinari gli avevano consigliato di sopprimerlo, ma Gregory non ce l'ha fatta.
Costruì per Max una piccola sedia a rotelle e quando Max lo cavalcò per la prima volta, con la coda che scodinzolava per la gioia, Gregory capì che quella era la sua missione.

Da allora, ogni mattina, carica i suoi cani salvati nel passeggino e li porta al parco. Uno a uno, lega le loro sedie e sussurra:
"Forza, bambini. »
E improvvisamente corrono. Abbaiano, inseguono, rotolano nell'erba, come se nulla si fosse mai rotto dentro di loro.

> "La gente pensa che siano rotti", dice.
"Ma non lo sono. Hanno solo bisogno di un piccolo aiuto per ricordare come correre. »

Gregory ha salvato decine di cani come Max: quelli che dimentichiamo, quelli che lasciamo indietro.
La sua casa è piena di rampe, cucce soffici e il leggero rumore delle ruote che girano.
Ogni notte massaggia loro le zampe, pulisce le loro sedie e sussurra:
"Avete lavorato bene oggi. »

Non si considera un eroe.

"Non posso aggiustare il mondo intero", dice.
"Ma posso aggiustare il loro. E questo basta. » 💛

02/11/2025

Sigmund Freud diceva che i motivi che ci portano ad amare un animale con tanta intensità, si comprendono quando consideriamo che il suo è un amore privo di ambivalenza.
Quando si ha un cane o un gatto, l'affermazione che
"nessuno ti amerà mai più di quanto tu ami te stesso"
diventa irreale e insignificante.
Perché gli animali sono veri maestri dell'amore e perché ogni secondo al loro fianco è un regalo inestimabile.
Amare un animale è una delle esperienze più meravigliose
al mondo.
Chi l'ha provato, lo sa.
Cani Gatti & Co: Luxury Pets

02/11/2025

Alcuni anni fa stavamo pensando di comprare una nuova casa. La casa era vuota perché la coppia che vi abitava si stava separando e entrambi si erano già trasferiti in case più piccole. Quando arrivammo nel cortile, trovammo un anziano labrador retriever giallo, che sembrava avere almeno 11-12 anni. La ciotola del cibo era vuota e quella dell'acqua era rovesciata. Usammo le bottiglie d'acqua dei bambini per riempirgli la ciotola. Il cane ci seguiva ovunque nel cortile. Quando eravamo pronti per rientrare in casa, il cane si lamentò e non voleva che ce ne andassimo. Si alzò sulle zampe posteriori e abbaiò oltre la recinzione mentre ci allontanavamo, come se ci stesse implorando di non lasciarlo.

Contattammo l'agente immobiliare per chiedere del cane. Ci disse che le case acquistate dalla famiglia non permettevano la presenza di cani e che il cane era stato abbandonato dalla famiglia nella casa. Ero scioccato. I miei figli non dormirono molto quella notte. Tornammo il giorno successivo per vedere di nuovo la casa e la ciotola del cibo era ancora vuota, così come quella dell'acqua. Portammo del cibo e dell'acqua per il cane, che divorò il cibo e bevve tutta l'acqua. A differenza del giorno prima, questa volta non ci seguì nel cortile, ma si rifugiò in una buca che aveva scavato sotto la casa per ripararsi. Quando ce ne stavamo andando, non venne alla recinzione; aveva semplicemente rinunciato.

I vicini ci dissero che la famiglia non era tornata da giorni. Sembrava che stessero lasciando morire di fame il cane, e stavano per chiamare la polizia. Chiamai l'agente immobiliare e gli dissi che non avrei mai comprato quella casa, nemmeno se fosse stata l'ultima sulla Terra, ma che avrei portato via il cane. Se non mi avessero consegnato il cane entro 24 ore, avrei chiamato la polizia. Mi contattarono e accettarono di consegnarmi il cane.

Portammo il cane dal veterinario; era sorda, gravemente malnutrita e molto malata. Spendemmo circa 7.000 dollari per rimetterla in salute. Visse con la mia famiglia per circa un anno e mezzo e morì all'età di 14 anni, quando non riuscì a riprendersi da un intervento chirurgico importante e dovette essere soppressa. Fu una combattente fino alla fine, anche quando venne addormentata. Non si arrese mai e noi non ci arrendemmo mai con lei. Era una c***a straordinaria e la vita dei miei figli è stata arricchita salvando un cane meraviglioso. La cosa dei cani salvati è che ricordano sempre di essere stati salvati e mostrano una lealtà e una gratitudine straordinarie per questo.

Eccola, a casa nostra, accoccolata con il mio figlio più piccolo.
Crediti al rispettivo proprietario

02/11/2025

Questa immagine del 1899 ci restituisce un Friedrich Nietzsche irriconoscibile, spezzato, consumato, rinchiuso in un manicomio. Non c'è traccia del filosofo ribelle, del pensatore che aveva osato sfidare Dio e la morale: c’è solo un uomo sconfitto, lo sguardo vuoto, il corpo assente, il silenzio come unica voce rimasta. È la fine di una mente straordinaria, che aveva incendiato il pensiero moderno con visioni potenti e spietate, e che ora giace spenta, annientata da una malattia che la medicina del tempo non seppe comprendere.
Tutto si spezzò in un solo istante, a Torino, il 3 gennaio 1889. Nietzsche, da tempo tormentato da dolori insopportabili, da crisi ricorrenti e da una vista che si faceva sempre più cieca, fu colpito da una scena che frantumò ciò che restava della sua lucidità: un cocchiere colpiva brutalmente un cavallo. Lui, il filosofo della forza, si gettò in lacrime tra le braccia dell’animale, lo abbracciò, lo baciò. Poi cadde. Non si sarebbe più ripreso.
Nei giorni successivi, iniziò a scrivere lettere intrise di delirio, firmandosi con nomi mitologici o cristologici, invocando catastrofi, proclamando sé stesso redentore o dannato. Era ormai irraggiungibile. Franz Overbeck, amico fraterno, lo riportò a Basilea e poi lo fece ricoverare a Jena. Da quel momento, la vita di Nietzsche si fece ombra: paralizzato, incapace di parlare, prigioniero di un corpo che non rispondeva più e di una mente in frantumi.
Per undici anni fu accudito prima dalla madre, poi dalla sorella Elisabeth, che ne custodì il corpo e ne tradì il pensiero, manipolando le sue opere postume per piegarle a ideologie che lui avrebbe disprezzato. Morì nel 1900, dopo due ictus e una polmonite, a soli 55 anni.
Si disse per anni che fosse stata la sifilide a distruggerlo, ma oggi si ipotizzano cause diverse: forse un tumore cerebrale, forse una malattia vascolare. Qualunque sia la diagnosi, resta il simbolo di un crollo che non fu solo fisico, ma profondamente umano.
Nietzsche bruciò come una cometa solitaria, troppo vicina alla fiamma della verità, troppo intensa per sopravvivere a lungo. La sua caduta ci ricorda che anche i giganti del pensiero hanno un cuore che può spezzarsi davanti al dolore del mondo. E che a volte, è proprio nella compassione che si rivela la più struggente delle fragilità.

𝗩𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮

02/11/2025

Era stata vista l’ultima volta ai margini di un villaggio, con due cuccioli appena nati che seguivano a fatica i suoi passi incerti. Nessuno sapeva da dove venisse, né da quanto tempo vagasse così: magra, stanca, con il peso del mondo sulle spalle e il cuore ostinato di una madre che non si arrende mai.

Per mesi, chi la incrociava raccontava la stessa scena: lei che proteggeva i piccoli, tenendoli stretti a sé in ogni angolo di strada, sotto la pioggia o al gelo delle notti. Un amore silenzioso, che resisteva anche alla fame e alla paura.

Un giorno, però, il destino ha deciso di cambiare la loro storia. Una macchina si è fermata, la portiera si è aperta, e per la prima volta lei non ha esitato. È salita, portando con sé i suoi cuccioli, come se avesse riconosciuto in quello sguardo umano la promessa che aspettava da troppo tempo.

Il microchip non c’era, nessuna famiglia li cercava. Eppure, da quel giorno, hanno trovato una casa. Una cuccia calda, carezze sincere e la certezza che non avrebbero più conosciuto l’abbandono.

Oggi vivono così: stretti l’uno all’altro, sereni sul sedile di un’auto che non porta più lontano, ma solo verso nuove avventure. Il respiro lento dei cuccioli e lo sguardo vigile della madre raccontano la stessa verità: non servono parole quando hai ritrovato l’amore. 🐾🤍

05/10/2025

Quando Robin Williams riuscì a far ridere di nuovo un gorilla dopo sei mesi di lutto

Negli Stati Uniti, alcuni etologi avevano insegnato a un gorilla di nome Koko a comunicare con gli esseri umani attraverso il linguaggio dei segni. Koko era incredibilmente intelligente, ma stava attraversando un momento molto difficile: la perdita di un caro amico lo aveva gettato in una profonda malinconia, tanto che i biologi temevano potesse soffrire di una forma grave di depressione.

Per aiutare Koko, i ricercatori cercarono di trovargli un nuovo amico, e al contempo volevano studiare il suo modo di interagire con gli esseri umani. Essendo Koko in grado di comunicare con il linguaggio dei segni, rappresentava un soggetto ideale per analizzare se vi fossero reali barriere cognitive tra la nostra specie e i primati.

Fu allora che chiesero a Robin Williams, famoso soprattutto come comico, se fosse disposto a trascorrere qualche ora con Koko, interagendo in modo naturale, come si farebbe con una persona in difficoltà.

Williams accettò immediatamente, pur nutrendo dubbi sul suo approccio: non era un esperto di primati e temeva di non essere all’altezza della situazione. Tuttavia, quando incontrò il gorilla, ebbe un’illuminazione.

Permettendo a Koko di conoscerlo a modo suo, Williams scoprì che interagire con il gorilla era come rapportarsi a un bambino molto curioso. Piano piano, Koko mostrò sempre più interesse per il visitatore, tanto da rimanere affascinato dagli occhiali dell’attore, che voleva vedere con "quegli strani occhi di vetro".

Ben presto, Koko iniziò a "parlare" con Williams attraverso i segni, suggerendo giochi e ponendogli domande sorprendentemente intelligenti. In pochi minuti, i due iniziarono a scherzare, a farsi il solletico e persino a condividere esperienze di vita.

I ricercatori, sorpresi dalla rapidità con cui si era creato un legame, chiesero a Koko di descrivere l'attore con una sola parola. Il termine scelto dal gorilla fu "amico".

Williams rimase profondamente colpito dall’incontro, specialmente quando seppe di essere riuscito a far ridere un gorilla che rischiava di cadere in depressione per la solitudine. Dopo quell’episodio, l’attore tornò spesso a far visita a Koko e collaborò con lui in campagne contro la sperimentazione animale e per la conservazione delle specie protette.

Il legame tra Koko e Robin Williams fu così profondo che sopravvisse alla morte dell'attore, avvenuta nel 2014. Quando il gorilla seppe della scomparsa del suo amico, chiese agli istruttori se poteva piangere e rimase pensieroso per giorni, con le labbra che tremavano di tristezza.

Koko, inconsolabile, morì quattro anni dopo, nel 2018, all'età di 46 anni. Oggi è ricordato come uno dei primati più importanti nella storia della ricerca scientifica.

Una storia che ci insegna quanto profonde possano essere le connessioni tra le specie, e quanto un gesto di gentilezza possa cambiare una vita.

05/10/2025

Indirizzo

Palermo
90144

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