08/11/2025
La comprensione e, soprattutto, il rispetto dei ruoli e delle competenze è alla base dell'unico percorso possibile in Riabilitazione: l'alleanza terapeutica tra Fisiatra e Fisioterapista.
Esiste la Fisiatria, esiste la Fisioterapia e, più di tutto, esiste la Riabilitazione. Una disciplina in cui non c'è spazio per le fandonie, per la non-medicina e per le inutili e dannose rivalità che per anni hanno consentito a chiunque di spacciarsi per riabilitatori.
Credo fortemente nella sinergia che Fisiatria Interventistica e Fisio-Notizie stanno portando avanti per dimostrare di cosa hanno realmente bisogno i pazienti.
AUTONOMIA PROFESSIONALE E CONFINI DELLA DIAGNOSI: EQUILIBRIO E RESPONSABILITÀ
Qualche settimana fa, un nostro contenuto ha riacceso, tra i commenti, il dibattito sull’autonomia del fisioterapista e sul significato del termine diagnosi in ambito sanitario.
Un tema complesso, ma cruciale: perché riguarda non solo i professionisti, ma anche i cittadini, che devono poter comprendere chi fa cosa nel percorso di cura.
DIAGNOSI: UNA PAROLA DA USARE CON PRECISIONE
Nel linguaggio comune, il termine diagnosi viene spesso usato come sinonimo di “riconoscere un problema”.
In medicina, invece, ha un significato molto più specifico: significa identificare un quadro patologico, definirne la natura, la causa e la terapia medica più appropriata.
È questo l’atto che appartiene per legge alla competenza esclusiva del medico.
Il fisioterapista, per contro, non si occupa della malattia in sé, ma delle conseguenze funzionali che essa produce sul movimento, sulla postura e sulla qualità della vita.
La sua attività si fonda sulla valutazione fisioterapica, un processo strutturato di raccolta anamnestica, osservazione, test funzionali e ragionamento clinico finalizzato a elaborare un piano riabilitativo.
È per questo che, nella comunicazione con i pazienti, molti fisioterapisti preferiscono usare il termine valutazione piuttosto che diagnosi: non per sminuire le proprie competenze, ma per garantire chiarezza e trasparenza.
In sanità, le parole contano: aiutano a capire, a fidarsi, a scegliere in modo consapevole.
L’AUTONOMIA DEL FISIOTERAPISTA: COSA SIGNIFICA DAVVERO
L’autonomia professionale del fisioterapista non è un’opinione: è sancita dalla legge.
Il D.M. 741/1994 definisce il fisioterapista come il professionista sanitario che “svolge in via autonoma o in collaborazione […] interventi di prevenzione, cura e riabilitazione”.
La Legge 42/1999 abolisce la definizione di professione ausiliaria, riconoscendo piena autonomia e responsabilità professionale.
La Legge 251/2000 ribadisce che i fisioterapisti “svolgono con titolarità e autonomia professionale le attività dirette alla prevenzione, cura e riabilitazione”.
A questo impianto si aggiunge la Legge 3/2018, che ha istituito gli Ordini delle professioni sanitarie (TSRM–PSTRP) e ha riconosciuto formalmente il fisioterapista come professione dotata di autonomia, responsabilità e codice deontologico ordinistico.
La legge richiama esplicitamente ogni professionista ad operare in autonomia e responsabilità, entro i limiti del proprio profilo e nel rispetto delle competenze delle altre professioni sanitarie.
Nel settore privato e nei contesti in cui la normativa regionale lo consente, il fisioterapista può ricevere direttamente un paziente per una valutazione funzionale e un intervento riabilitativo compatibile con il proprio profilo.
Nei servizi pubblici o accreditati, l’accesso resta regolato dai percorsi prescrittivi regionali (e, quindi, solo dopo prescrizione medica).
Autonomia, tuttavia, non significa isolamento. Ogni professione mantiene confini chiari di competenza: ed è proprio questo equilibrio a garantire sicurezza e qualità dell’assistenza.
IL DIBATTITO EUROPEO E LA CASSAZIONE 29217/2025
Nel 2025 la Corte di Cassazione (sentenza n. 29217/2025) ha riaffermato un principio importante:
“La diagnosi medica e la prescrizione terapeutica restano atti propri della professione medica. Il fisioterapista esercita la propria autonomia nell’ambito delle competenze funzionali e riabilitative, non in sostituzione dell’atto diagnostico-clinico.”
Il caso riguardava un fisioterapista che aveva impostato un trattamento senza una diagnosi medica né invio successivo, configurando un eccesso di competenza.
La sentenza non limita l’autonomia fisioterapica, ma chiarisce che autonomia e diagnosi medica sono ambiti distinti e complementari.
Sullo stesso tema, l’editoriale pubblicato sull’European Journal of Physical and Rehabilitation Medicine da Ferriero, Iolascon, Grabljevec e Zampolini (“Render to physiatrist the things that are physiatrist’s”, EJPRM, 2025) ha invitato a riflettere sul ruolo della diagnosi medica nei percorsi riabilitativi e sulla necessità di modelli organizzativi realmente integrati.
Gli autori sottolineano che la riabilitazione è un processo complesso, in cui la definizione del quadro clinico compete al medico fisiatra, mentre la valutazione funzionale e la gestione riabilitativa competono al fisioterapista.
La prospettiva proposta è di alleanza professionale, non di subordinazione: la sicurezza del paziente nasce dalla chiarezza dei ruoli e dalla collaborazione tra figure sanitarie.
COSA NON RIENTRA NELL’AMBITO FISIOTERAPICO
Il fisioterapista non effettua atti medici e non formula diagnosi patologiche.
Non rientrano tra le sue competenze: la diagnosi medica di malattia e la relativa indicazione terapeutica; la prescrizione di farmaci o terapie farmacologiche; la prescrizione di accertamenti diagnostici (radiografie, ecografie, risonanze, esami del sangue, ecc.); tutti i trattamenti percutanei (i.e. Dry Needling, Elettrolisi, neuromodulazione percutanea, infiltrazioni, etc); la modifica o sostituzione di trattamenti medici già prescritti.
Il fisioterapista può invece rilevare segni clinici di sospetto, formulare ipotesi funzionali e consigliare invio al medico per approfondimenti quando ritenga necessario un inquadramento patologico.
QUANDO LA VALUTAZIONE FISIOTERAPICA È SUFFICIENTE
Nella maggior parte dei disturbi muscolo-scheletrici di natura meccanica o funzionale, la valutazione fisioterapica è sufficiente per iniziare il trattamento, purché la sintomatologia sia coerente con un disturbo privo di segni di allarme o sospetto sistemico.
La normativa, la giurisprudenza e il buon senso clinico convergono su questo punto: il fisioterapista può avviare il percorso riabilitativo quando il quadro è chiaro e rientra nel proprio dominio funzionale.
- Esempio 1 – Dolore laterale di gomito dopo attività sportiva
Un dolore localizzato, evocabile ai test di carico e compatibile con un sovraccarico tendineo può essere gestito direttamente con esercizi mirati e modulazione del carico.
Non è necessaria una diagnosi medica immediata.
Se dopo 3-5 sedute non si osservano miglioramenti o i sintomi cambiano natura, è corretto inviare il paziente al medico.
- Esempio 2 – Lombalgia meccanica
Nel caso di mal di schiena legato a posture scorrette o sedentarietà, senza segni di allarme, il fisioterapista può iniziare subito il lavoro rieducativo.
Se però il dolore non migliora, si diffonde o presenta caratteristiche atipiche, diventa necessario un approfondimento medico.
(Gli esempi descrivono valutazioni funzionali orientate al movimento, non diagnosi patologiche in senso medico.)
QUANDO È NECESSARIO IL MEDICO
La collaborazione con il medico è indispensabile non solo in presenza di red flag, ma ogni volta che serve una diagnosi patologica.
Criteri chiari? Mancata risposta clinica dopo un primo ciclo di trattamento (3-5 sedute o 2 settimane), comparsa di segni atipici (dolore notturno, parestesie, debolezza inspiegabile, rigidità improvvisa), sospetto di patologia sistemica (febbre, perdita di peso, astenia), traumatologia acuta con dolore importante o instabilità evidente.
Il rinvio al medico non è un atto di sudditanza, ma di responsabilità condivisa.
IL CASO DELLA TRAUMATOLOGIA ACUTA
I traumi recenti, come una distorsione di caviglia, rappresentano un confine delicato.
Trauma lieve: gestione conservativa e rivalutazione a 48-72 ore.
Trauma moderato o dubbio: sospensione del trattamento e invio al medico.
Trauma grave con deformità visibile o dolore intenso: invio immediato al pronto soccorso.
Il fisioterapista può dunque effettuare una prima valutazione funzionale post-trauma, ma la diagnosi lesionale spetta al medico.
TRA GIURISPRUDENZA E PROSPETTIVA EUROPEA
Le recenti pronunce italiane (Cassazione 29217/2025, Tribunale Udine 294/2024) confermano che l’autonomia fisioterapica non è in contrasto con la legge, purché esercitata nel rispetto dei limiti di competenza.
Parallelamente, la letteratura internazionale e le linee guida World Physiotherapy mostrano che l’accesso diretto può essere sicuro ed efficace se inserito in percorsi strutturati di triage, refer-back e collaborazione medica.
L’orientamento europeo è chiaro: autonomia sì, ma dentro un sistema integrato.
RUOLI DISTINTI, LINGUAGGI COMPLEMENTARI
La fisioterapia moderna non rivendica atti medici né sostituzioni di ruolo, ma l’applicazione autonoma di competenze funzionali in un quadro clinico integrato.
La diagnosi medica identifica la malattia; la valutazione fisioterapica individua la disfunzione.
Entrambe concorrono alla presa in carico, secondo il principio di complementarità previsto dal D.M. 7 maggio 1998 e dal Codice Deontologico FNOFI.
Parlare di autonomia non significa ampliare i confini della diagnosi, ma esercitare con responsabilità il proprio mandato professionale all’interno di un sistema multiprofessionale.
IL CONFINE COME GARANZIA, NON COME LIMITE
La recente sentenza del Tribunale di Udine n. 294/2024 ha espresso il concetto con chiarezza:
“Anche nell’ambito di intervento riservato al fisioterapista si parla di diagnosi, nel senso dell’indagine preliminare per una valutazione funzionale e sull’avvio di un programma riabilitativo.”
In altre parole: la diagnosi di patologia resta un atto medico, la valutazione funzionale è un atto fisioterapico.
Due processi distinti ma complementari, che si incontrano nella presa in carico globale del paziente.
La collaborazione, non la sovrapposizione, è ciò che garantisce sicurezza e continuità di cura.
CONCLUSIONE
In sanità, autonomia non significa isolamento: significa responsabilità, consapevolezza dei propri limiti e capacità di collaborare.
Il fisioterapista valuta la funzione, il movimento e la capacità adattiva; il medico definisce la patologia e orienta la diagnosi clinica.
Sono due prospettive diverse di un unico obiettivo: la salute della persona.
Il confine tra diagnosi medica e valutazione fisioterapica non è una linea di divisione, ma una zona di rispetto reciproco. E come in ogni sistema che funziona, l’equilibrio nasce quando ciascuno conosce il proprio ruolo e lo esercita con competenza, chiarezza e collaborazione.
RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI
D.M. 14 settembre 1994, n. 741 – Profilo professionale del fisioterapista
Legge 26 febbraio 1999, n. 42 – Disposizioni in materia di professioni sanitarie
Legge 10 agosto 2000, n. 251 – Disciplina delle professioni sanitarie
Legge 11 gennaio 2018, n. 3 – Riordino degli Ordini delle professioni sanitarie
D.M. 7 maggio 1998 – Linee guida per le attività di riabilitazione
Tribunale di Udine, Sentenza n. 294/2024
Corte di Cassazione, Sentenza n. 29217/2025
Ferriero G., Iolascon G., Grabljevec K., Zampolini M. (2025). Render to physiatrist the things that are physiatrist’s. EJPRM, 61(5).
World Physiotherapy (2024) – Direct Access to Physical Therapy: Global Policy Statement.