18/03/2024
In tutto il ristorante, solo due bambini non avevano lo smartphone incollato davanti agli occhi. Un quadro di mutismo digitale, con un sottofondo di chiacchiericcio adulto che quasi stonava in questo scenario di silenzio tecnologico. Intorno a noi, file di piccoli esseri umani, catatonici, immersi in una bolla di luce blu, incapaci di scambiare anche solo uno sguardo o una parola con chi avevano accanto, figuriamoci con gli amichetti o coetanei seduti alla stessa tavola.
E se questo accade qui, in un luogo pubblico, dove teoricamente si dovrebbe socializzare, cosa avviene tra le mura domestiche, quando gli unici testimoni sono le pareti silenziose di casa? È una domanda che inquieta, che ci costringe a riflettere sulla solitudine digitale che stiamo inconsapevolmente coltivando nelle giovani generazioni.
Non mi fraintendete: un video, un gioco, per qualche minuto non segna la fine dell'umanità. Ma qui non parliamo di eccezioni. Parliamo di una regola non scritta che ha stravolto il rituale del pasto in famiglia, trasformandolo in un'occasione mancata di comunicazione, di scambio, di scontro e confronto. La tavola, quel sacro altare del dialogo e dell'appartenenza, ora non è più che un deserto di interazioni autentiche, dove l'unico cibo che sembra nutrire è digitale.
E poi, il cibo. Quel momento di incontro, di condivisione, sta perdendo il suo significato più profondo. Associare costantemente il pasto all'uso dello smartphone crea un rapporto distorto non solo con il cibo ma con il mondo stesso. Il rischio? Un'alienazione progressiva, un distacco dalle sensazioni, dai sapori, dalle emozioni reali.
È urgente intervenire, stabilire confini netti e chiari. Limiti sul tempo da trascorrere davanti a quello schermo che sembra divorare l'anima tanto quanto gli occhi. E coinvolgere i più giovani in questo processo, farli ragionare, renderli partecipi della costruzione di un rapporto sano con la tecnologia, è il primo passo per riconquistare la perduta arte del vivere insieme.
La sfida è ardua, ma necessaria. Dobbiamo riappropriarci della nostra umanità, ritrovare il piacere del dialogo, del confronto, anche dello scontro, purché sia vero, purché sia vivo. Perché altrimenti, che sapore ha davvero una vita consumata in stato catatonico, con gli occhi fissi su uno schermo, soprattutto quando questa solitudine si insinua tra i più piccoli, anche in presenza di amici e coetanei?