11/06/2020
DSA-risvolti psicologici
Un bambino DSA, con o in attesa di una diagnosi, può sentirsi nel contesto scolastico o anche a casa, quando si appresta a svolgere i compiti, inadeguato, vivere emozioni di ansia o avere una bassa autostima o essere scarsamente motivato allo studio o tendere ad abbandonare il percorso scolastico.
Leggere (o imparare a memoria le tabelline) non diventa un automatismo, come per la maggior parte dei bambini, richiede per loro uno sforzo di attenzione e di energie non indifferente, dove l’attenzione può essere posta o alla comprensione o alla produzione. Questo a prescindere dal tempo passato sui libri. Da qui ne deriva un senso di frustrazione e se ciò non viene compreso dal contesto che ruota intorno ai bambini, insegnanti, genitori e compagni di classe, la situazione può solo che peggiorare.
I bambini DSA se giungono alla diagnosi in ritardo e non in tempi utili, tendono ad essere visti e quindi etichettati dagli insegnanti come pigri, svogliati, perché essendo per il resto nella norma (qui ci sarebbe da aprire una vasta parentesi, ma non è il contesto, è mia intenzione riferirmi alle facoltà intellettive), trova poca giustificazione il fatto che possa presentare difficoltà nella lettura o nella scrittura o nei calcoli. Le etichette non aiutano, perché relegano la persona che le porta in una determinata condizione in cui poi sembra anche inutile (e qui parte la demotivazione) fare ulteriori sforzi, oltre che questi sforzi, comunque non portano agli obiettivi sperati, ovvero per esempio leggere bene.
Avere una diagnosi, anche precoce, non è detto che aiuti in tal senso, anche qui si può correre, da parte di chi si occupa a vario titolo dell’ istruzione del bambino (docenti, genitori e compagni) il rischio di etichettare il bambino come DieSseA, in quanto persona con dei limiti (ci si focalizza su ciò che non riesce a fare e non su ciò che sa fare) e che comunque usi strumenti Compensativi (mappe, schemi, calcolatrice, PC per scrivere, dizionario digitale) o venga dispensato (dalla lettura a voce alta, ripetere a memoria le tabelline, tempi più lunghi per le verifiche, ecc) e che quindi sia un privilegiato. Tutti questi atteggiamenti, magari da parte di compagni che non comprendono bene cosa significhi tale intralcio all’apprendimento o di insegnanti, anche bonariamente e per questioni organizzative, ribadiscono una sorta di divisione degli alunni DSA da quelli non, andando ad acuire una disomogeneità degli alunni e sentimenti di autosvalutazione per chi si trova in un qualche modo in una situazione di svantaggio e quindi va ad alimentare una bassa autostima.
L’atteggiamento dei docenti, dei compagni e dei genitori ha un peso sull’esito dei fattori psicologici, oltre che avere talenti, qualità ed abilità che compensano e la gravità del disturbo.
Ricordo che la legge 170/2010, quindi di 10 anni fa ha introdotto sistemi compensativi e dispensativi per questi alunni, quindi non sono alunni privilegiati o facilitati nel percorso, ma solo tutelati da una legge a ricevere un “trattamento” che l’aiuti ad apprendere e quindi avere pari opportunità degli altri.
Uso una metafora se l’obiettivo è giungere alla cima della montagna, ognuno usa il percorso che più idoneo ed in una classe, sempre più eterogenea ognuno prende percorsi diversi per giungere alla stessa meta.
Diversità sì, siamo tutti diversi (anche i fratelli gemelli omozigoti, che condividono lo stesso patrimonio genetico) ma no disomogeneità, anzi promuoviamo, utopistico e molto complesso, l’omogeneità delle pari opportunità ad apprendere! Sarebbe auspicabile, questo ovviamente non va ascritto solo all’atteggiamento dei docenti, ma è un discorso più ampio che coinvolge vari livelli, in un ripensamento dell' organizzazione della scuola (ad esempio numerosità delle classi e maggiore personale) che oggi più che mai diventa attuale!