Aelastic

Aelastic aeLASTIC metodo di chinesiologia ortopedica preventiva

06/11/2025

🧠✨ 𝗟𝗮 𝗹𝗲𝗴𝗴𝗲𝗻𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗻𝗲𝗿𝘃𝗼 𝗶𝗻𝗰𝗮𝘃𝗮𝗹𝗹𝗮𝘁𝗼

C’era una volta, nelle chiacchiere di paese e nei racconti di famiglia, un misterioso fenomeno:

“Mi si è incavallato un nervo!”

Lo diceva la nonna, lo ripeteva il vicino, lo sentivi dal barbiere e persino in ufficio.

Era l’unica spiegazione che sembrava dare un senso a quei formicolii improvvisi, a quelle fitte brucianti, a quelle scosse che scendono dal collo fino alle dita, o dalla schiena fino al piede.

La verità, però, è che 𝗶 𝗻𝗲𝗿𝘃𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗶 𝗶𝗻𝗰𝗮𝘃𝗮𝗹𝗹𝗮𝗻𝗼.
Non si aggrovigliano, non fanno nodi, non si sovrappongono come fili di lana.

E allora perché sentiamo quel dolore? Perché ci svegliamo di notte con la mano addormentata o la gamba che brucia?
La risposta è nascosta 𝗱𝗲𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗶𝗹 𝗰𝗼𝗿𝗽𝗼.

Entriamo insieme in questo mondo affascinante.

🔍 𝗔𝗻𝗮𝘁𝗼𝗺𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝘂𝗻 𝗻𝗲𝗿𝘃𝗼: 𝗹’𝗮𝘂𝘁𝗼𝘀𝘁𝗿𝗮𝗱𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗶𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲

Un nervo è molto più di un “filo” che porta impulsi:
È un 𝗰𝗮𝘃𝗼 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗹𝗲𝘀𝘀𝗼 formato da migliaia di fibre nervose, organizzate in fascicoli, avvolti da guaine protettive come l’epinevrio, il perinevrio e l’endonevrio.
Trasporta 𝘀𝗲𝗴𝗻𝗮𝗹𝗶 𝗲𝗹𝗲𝘁𝘁𝗿𝗶𝗰𝗶 che permettono al cervello di comunicare con ogni cellula del corpo.

Vive in un costante equilibrio: non è mai immobile, ma 𝘀𝗰𝗶𝘃𝗼𝗹𝗮, 𝘀𝗶 𝗮𝗹𝗹𝘂𝗻𝗴𝗮, 𝘀𝗶 𝗮𝗱𝗮𝘁𝘁𝗮 ai nostri movimenti.

Quando questo equilibrio viene disturbato, possono insorgere sintomi di 𝗻𝗲𝘂𝗿𝗼𝗽𝗮𝘁𝗶𝗮: dolore, formicolii, perdita di sensibilità o debolezza.

⚡ 𝗟𝗲 𝗰𝗮𝘂𝘀𝗲 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗻𝗲𝗿𝘃𝗼𝘀𝗮

I nervi passano attraverso veri e propri 𝘁𝘂𝗻𝗻𝗲𝗹 𝗮𝗻𝗮𝘁𝗼𝗺𝗶𝗰𝗶: strettoie tra muscoli, ossa, legamenti e tessuti. Se questi spazi si riducono, nasce il problema.

Ecco alcuni esempi:

𝗖𝗼𝗹𝗼𝗻𝗻𝗮 𝗰𝗲𝗿𝘃𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲 𝗲 𝗹𝗼𝗺𝗯𝗮𝗿𝗲 → protrusioni o ernie discali possono comprimere le radici nervose.
𝗦𝗶𝗻𝗱𝗿𝗼𝗺𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗼 𝘀𝘁𝗿𝗲𝘁𝘁𝗼 𝘁𝗼𝗿𝗮𝗰𝗶𝗰𝗼 → i muscoli scaleni o il pettorale minore possono chiudere il passaggio dei nervi diretti al braccio.
𝗧𝘂𝗻𝗻𝗲𝗹 𝗰𝗮𝗿𝗽𝗮𝗹𝗲 → il nervo mediano viene compresso al polso.
𝗦𝗶𝗻𝗱𝗿𝗼𝗺𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝗽𝗶𝗿𝗶𝗳𝗼𝗿𝗺𝗲 → il nervo sciatico resta intrappolato sotto un muscolo gluteo contratto.

Ma non esistono solo compressioni 𝗺𝗲𝗰𝗰𝗮𝗻𝗶𝗰𝗵𝗲. Anche 𝗰𝗮𝗿𝗲𝗻𝘇𝗲 𝗻𝘂𝘁𝗿𝗶𝘇𝗶𝗼𝗻𝗮𝗹𝗶 e abitudini scorrette possono irritare i nervi:

𝗗𝗲𝗳𝗶𝗰𝗶𝘁 𝗱𝗶 𝘃𝗶𝘁𝗮𝗺𝗶𝗻𝗮 𝗕𝟭𝟮, 𝗕𝟭, 𝗕𝟲 → fondamentali per la mielina, la guaina che riveste e protegge il nervo.
𝗘𝗰𝗰𝗲𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝘇𝘂𝗰𝗰𝗵𝗲𝗿𝗶 → può alterare la conduzione nervosa, come accade nel diabete.
𝗔𝗹𝗰𝗼𝗹 → tossico per le fibre nervose, può causare neuropatie croniche.
𝗙𝘂𝗺𝗼 → riduce l’apporto di ossigeno e nutrienti, accelerando i processi degenerativi.

🧍‍♀️ 𝗣𝗼𝘀𝘁𝘂𝗿𝗮, 𝗻𝗲𝘂𝗿𝗼𝗱𝗶𝗻𝗮𝗺𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗹𝗶𝗯𝗲𝗿𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗺𝗼𝘃𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼

Immagina il tuo corpo come un insieme di corde elastiche: i nervi devono 𝘀𝗰𝗶𝘃𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 e 𝗮𝗱𝗮𝘁𝘁𝗮𝗿𝘀𝗶 a ogni gesto, come fili che seguono i movimenti senza attrito.
Quando la postura si altera — collo proiettato in avanti, spalle chiuse, dorso curvo — questi spazi vitali si restringono.
I muscoli diventano 𝗿𝗶𝗴𝗶𝗱𝗶, i tessuti fasciali perdono elasticità, e i nervi finiscono per essere 𝘀𝘁𝗶𝗿𝗮𝘁𝗶, 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗿𝗲𝘀𝘀𝗶 𝗼 𝗶𝗻𝘁𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗹𝗮𝘁𝗶.

È qui che entra in gioco la 𝗻𝗲𝘂𝗿𝗼𝗱𝗶𝗻𝗮𝗺𝗶𝗰𝗮: la capacità del nervo di muoversi liberamente. Se questa si riduce, il sintomo compare.

🏃‍♀️ 𝗔𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮̀ 𝗳𝗶𝘀𝗶𝗰𝗮 𝗲 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗴𝗿𝗮𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗻𝗲𝘂𝗿𝗼𝘁𝗼𝗻𝗶𝗰𝗶

Perché un nervo torni davvero in salute, serve 𝗺𝗼𝘃𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗲:
𝗘𝘀𝗲𝗿𝗰𝗶𝘇𝗶 𝗱𝗶 𝘀𝘁𝗿𝗲𝘁𝗰𝗵𝗶𝗻𝗴 𝗲 𝗺𝗼𝗯𝗶𝗹𝗶𝘁𝗮̀ per mantenere i tunnel anatomici liberi.
𝗥𝗶𝗻𝗳𝗼𝗿𝘇𝗼 𝗺𝘂𝘀𝗰𝗼𝗹𝗮𝗿𝗲 𝗺𝗶𝗿𝗮𝘁𝗼 per stabilizzare spalle, bacino e colonna.
𝗔𝘁𝘁𝗶𝘃𝗶𝘁𝗮̀ 𝗮𝗲𝗿𝗼𝗯𝗶𝗰𝗮 per migliorare l’ossigenazione e la nutrizione dei nervi.

In alcuni casi, può essere utile integrare con 𝘃𝗶𝘁𝗮𝗺𝗶𝗻𝗲 𝗻𝗲𝘂𝗿𝗼𝗽𝗿𝗼𝘁𝗲𝘁𝘁𝗶𝘃𝗲 (B1, B6, B12, acido alfa-lipoico) sotto consiglio medico.

Fonte # Luca Franzon osteopata

# posturaltraining
pt

02/11/2025

Dal contrasto alla gravità all’allineamento G–R.
Una lettura fisica del controllo tonico-muscolare e dell’equilibrio umano

L’equilibrio umano non è una lotta contro la gravità.
Il sistema muscolare non “sostiene” il corpo verso l’alto:
organizza i vettori per allineare il baricentro complessivo (G) con la reazione d’appoggio (R).
Quando G e R coincidono,
il sistema tonico lavora con minima Forza Resistente (FR) e la distribuzione dei carichi articolari è efficiente.
Quando G e R non sono allineati, l’equilibrio rimane possibile,
ma aumenta il tono basale, la FR cresce e le forze si concentrano su aree ristrette.
Il sistema non “sostiene”: insegue l’allineamento.
In equilibrio: R = –G.
Un principio fisico, non un atto di forza.
Articolo completo (con figure e approfondimento) nel link nel primo commento.

Difficile attivare tutto questa energia … con   si puó
18/10/2025

Difficile attivare tutto questa energia … con si puó

La biomecánica del pie es una sinfonía de movimientos y tensiones que permiten el impulso en cada paso.
Durante la fase final de la marcha, los músculos plantares, tendones y fascia se activan para elevar el arco y transferir la energía elástica acumulada en el tendón de Aquiles, facilitando el levantamiento del talón.

Un equilibrio perfecto entre movimiento, estabilidad y eficiencia.

Por eso decimos que la fuerza nace del pie !

Lezione di marketing … pubblicità ingannevole. Perchè è importante il 30mt walking  test? Posso riuscire a stare  in pie...
07/09/2025

Lezione di marketing … pubblicità ingannevole. Perchè è importante il 30mt walking test? Posso riuscire a stare in piedi ma non ho la capacità di camminare.

Allenare il ciclo del passo, con   si puó
06/09/2025

Allenare il ciclo del passo, con si puó

“Appoggio male il piede.”

Ma male rispetto a cosa?

Tutti parlano di “camminare bene”, “avere un appoggio neutro”, “evitare l’iperpronazione”..
Ma in questa immagine c’è la verità più scomoda del cammino umano.

Non esiste un appoggio perfetto. Esiste un sistema che si adatta.

La camminata non è un gesto semplice. È una sinfonia biomeccanica. Ogni fase ha un tempo, un’estensione, un’attivazione muscolare precisa:
estensori che frenano (eccentrico), flessori che spingono (concentrico), abduttori che stabilizzano il bacino, il piede che dorsiflette, poi rilascia, poi spinge.

Ma tutto questo dipende da una cosa sola: come si comporta l’appoggio nel contatto col suolo.

Il piede non è mai “dritto”, non è mai “fisso” in un assetto neutro. Durante la camminata fisiologica, si muove continuamente tra pronazione e supinazione, per assorbire carichi e restituire energia.

Ma quando resta troppo a lungo in una posizione (over-pronation o over-supination), il sistema perde la capacità di adattarsi.

Nascono rigidità, dolori, tendiniti, distorsioni.

Nota bene: quella che spesso chiamiamo “iperpronazione” non è un errore, ma una variazione individuale. Diventa disfunzionale solo se persiste in ogni fase.

Doppia lettura

Livello 1 – per pazienti

Non cercare l’appoggio “perfetto”.
Cerca un appoggio che si adatta, che varia, che si muove. Perché il tuo piede non è una base.. è un sistema.

Livello 2 – per clinici

La gestione della pronazione non è una correzione da fare “in statico”, ma una strategia dinamica valutando la variabilità del passo, stimolando la capacità elastica delle catene muscolari.

Valutare il cammino non significa giudicare se è “giusto”, ma capire come funziona il sistema nel suo insieme: appoggio, bacino, catene muscolari, controllo motorio.

Non blocchiamo il piede con plantari o scarpe “correttive” senza motivo. Il plantare può essere utile in fase acuta, per redistribuire carichi o ridurre dolore, ma non deve sostituire il lavoro attivo sul controllo motorio e l’adattamento.

Si dovrebbe lavorare sull’asse tibio-tarsico in chiave funzionale, non solo posturale.

E quindi?

Se un paziente ti dice “cammino storto”.. la risposta non è “raddrizzarlo”.

La risposta è: “Facciamo in modo che tu possa cambiare appoggio quando serve.”

Non correggere la posizione. Allena la transizione.

“Ma l’iperpronazione si corregge con un plantare.”

Davvero? O si compensa? O si depotenzia?
Il corpo corregge ciò che riconosce.
Tu, prima di correggerlo, lo hai ascoltato? 🫣

25/08/2025

04/08/2025

Quando è presente osteoporosi, la quota netta di riassorbimento osseo supera quella di formazione, dando luogo a una diminuzione della densità ossea.

L'equilibrio che ci dovrebbe essere tra il lavoro degli osteoblasti (formazione di matrice ossea) e quello degli osteoclasti (disgregazione di matrice ossea) risulta estremamente sbilanciato.

Fino ai 20 anni circa le ossa crescono, si irrobustiscono e aumenta la quantità di minerali accumulati. Segue un consolidamento (fino ai 25-30 anni) durante il quale si raggiunge il picco di massa ossea. Poi c'è una situazione di equilibrio.

Dopo la menopausa nella donna, e dai 65-70 anni nell'uomo, inizia il riassorbimento: con il passare degli anni lo scheletro inizia a perdere minerali e la massa ossea diminuisce. Sotto una certa soglia le ossa sono a rischio di fratture, con conseguenze anche gravi per la salute.

Nelle donne, l'attività osteoclastica è aumentata a causa della diminuzione degli estrogeni. Se poi ci mettiamo la perenne SOTTOALIMENTAZIONE, l'eccesso di infiammazione e di acidosi (pessime scelte alimentari, stress ecc.) e magari pure l'eccesso di attività aerobica, a cui sono sempre sottoposte, abbiamo fatto bingo per garantirci l'osteoporosi anticipata.

Ma tutto questo si può prevenire!

La ricerca scientifica conferma l'importanza di allenamenti vigorosi con sovraccarico per prevenire l'osteoporosi.

Nuoto, camminate e bicicletta servono per i benefici cardiovascolari, ma non per le ossa!

Spesso si fa l'errore di assegnare agli anziani solo lunghe e tristi camminate sul tappeto, ma questo potrebbe invece contribuire a fargli perdere quella poca massa muscolare rimasta.

Il lavoro per la forza è fondamentale anche nella terza età, vista la naturale sarcopenia e perdita di forza (si perde 4 volte la forza in misura anticipata rispetto alla massa muscolare).

Il lavoro muscolare con i sovraccarichi, incide fortemente sul rimodellamento della matrice ossea, aumentandone la densità, grazie allo "strain osseo" che produce (rapporto tra forze da stress e rigidità di struttura). La perfetta PREVENZIONE anche per l'osteoporosi.

Non aspettare che sia troppo tardi, datti da fare e tira su quella ghisa!💪

muscolarmente.com

27/07/2025

Benvenuti a un nuovo episodio di “Commenta che ti passa: dove i tuoi commenti trasformano i nostri post!” 🤭

Ogni volta partiamo da un contenuto condiviso, ma è il confronto tra colleghi, pazienti, esperti e curiosi a renderlo più ricco, completo e utile.

Buona lettura!

Tacchi e carico sull’avampiede: cosa succede davvero quando cambiamo altezza?

Quando si parla di calzature, spesso il discorso si limita a estetica e moda. Ma in fisioterapia, e nella biomeccanica clinica in generale, ogni centimetro di tacco racconta una storia ben più complessa: quella della distribuzione del carico sul piede e delle ripercussioni che può avere su tutto il corpo.

La biomeccanica del tacco: più sali, più spingi avanti, semplice no?

Quando il piede è piatto sul terreno (cioè senza tacco), la distribuzione del peso corporeo è relativamente bilanciata: circa il 43% del carico grava sull’avampiede, mentre il 57% resta sul tallone. Questa proporzione rappresenta una condizione fisiologica, che il corpo ha imparato ad assorbire e gestire nel tempo.

Ma basta salire anche solo di qualche centimetro per cambiare il gioco.

Con un tacco di 4 cm, la situazione si ribalta: il 57% del carico passa sull’avampiede e il 43% sul tallone.

A 6 cm, la spinta anteriore aumenta, con un 75% del carico sull’avampiede e solo un 25% sul tallone.

Sopra i 10 cm, si può arrivare a scaricare fino al 90-100% del peso sull’avampiede, con una quasi totale esclusione del tallone dal gioco di carico.

Questo significa un enorme aumento dello stress sulle articolazioni metatarsali, sui muscoli flessori plantari e su tutte le strutture connettivali coinvolte nella gestione del carico.

Il rischio biomeccanico: dal piede alla colonna.

Il sovraccarico dell’avampiede può portare a condizioni dolorose e adattamenti posturali compensatori. Le metatarsalgie, ad esempio, sono tra le conseguenze più frequenti, ma non le uniche.

Una tensione continua sull’avampiede può contribuire nel tempo a sviluppare alluce valgo, deformità delle dita e ispessimenti plantari. Può creare squilibri muscolari e articolari a carico della caviglia, del ginocchio e dell’anca, alterando l’orientamento del bacino e la curvatura lombare. Tutto ciò può arrivare a modificare la postura globale.

Come osservato anche da Marco: “il punto non è tanto solo quanto carico si sposta, ma dove e come il piede dovrebbe stare quando è ben educato a farlo.”

Idealmente, un piede rieducato distribuisce il carico a terra con una ripartizione funzionale: 50% sul tallone, 40% sul primo metatarso, 10% sul quinto. Un equilibrio che favorisce stabilità, efficienza e postura corretta.

Ed è proprio da qui che nasce una delle riflessioni più importanti: sono le scarpe a doversi adattare ai nostri piedi, non il contrario.

“Barefoot o tradizionali?” Chiede Marina.

Nel dibattito che spesso anima le discussioni tra fisioterapisti, runner e pazienti, il tema delle scarpe barefoot (o minimaliste) divide. Ma è importante chiarire: non si tratta di moda, si tratta di funzione.

Come spiegato in risposta a Marina, le scarpe barefoot sono pensate per riprodurre la camminata a piedi nudi, permettendo una distribuzione più naturale del carico e stimolando i muscoli intrinseci del piede. Tuttavia, non sono adatte a tutti.

Chi non è abituato deve procedere con gradualità, proprio per evitare dolori o sovraccarichi. In questi casi, l’uso delle barefoot può e deve essere accompagnato da esercizi mirati, valutazione clinica e adattamento progressivo.

Una buona calzatura, sia essa barefoot o tradizionale, dovrebbe sempre rispettare tre criteri fondamentali.

Prima di tutto una suola flessibile, che consenta al piede di muoversi liberamente.
In secondo luogo uno spazio sufficiente per le dita, evitando compressioni e per ultimo un supporto adeguato, calibrato sul tipo di piede e sul livello di attività della persona.

Lo ha sottolineato bene anche Andrea, suggerendo (con ironia) di conservare il post come risposta pronta per chi critica le calzature barefoot: il punto non è schierarsi, ma capire quando e per chi sono adatte.

E la lunghezza del piede? Un fattore spesso dimenticato!

Una delle osservazioni più tecniche ma fondamentali è arrivata da Valeria, che ha posto un quesito tanto semplice quanto trascurato:

“Un tacco da 10 cm ha lo stesso effetto su un piede numero 36 e su un 41?”

La risposta è: assolutamente no. La lunghezza del piede cambia radicalmente l’inclinazione del piede stesso all’interno della scarpa, e di conseguenza la distribuzione del carico sull’avampiede.

Inoltre, aspetti come il cavismo, la dominanza del primo dito o la forma dell’arco plantare modificano ulteriormente l’effetto finale del tacco. Ogni piede ha la sua storia, la sua meccanica e le sue vulnerabilità. E riconoscerlo significa aprire la strada alla personalizzazione delle calzature e a una valutazione fisioterapica sempre più individualizzata.

Il consiglio pratico (con un tocco di buon senso) 😌

Se stai pensando di passare alle barefoot, inizia con cautela e criterio. Dai tempo al piede di adattarsi, lavora sull’elasticità, sulla forza dei muscoli plantari e sulla propriocezione. E se invece preferisci scarpe più strutturate, punta a comfort, flessibilità e rispetto della tua biomeccanica personale.

Come direbbe Gianni: “non è il piede che si deve adattare alla scarpa, ma il contrario.”

Avrete capito che il piede è una struttura dinamica, sensoriale, adattiva. Il tacco è solo un centimetro in più, ma può diventare un chilometro di differenza nella tua postura.

Questo contenuto è stato aggiornato e migliorato grazie ai commenti e alle osservazioni ricevute: un esempio concreto di come la conoscenza cresca nel dialogo.

Se l’hai trovato utile, condividilo con chi potrebbe beneficiarne: colleghi, studenti, pazienti o semplici curiosi.

E se anche tu hai qualcosa da aggiungere.. commenta che ti passa! 😉

Il prossimo episodio potrebbe nascere proprio dalla tua esperienza. 👏

22/07/2025

Se pensi che spalla e anca siano due mondi separati, è il momento di cambiare prospettiva. Queste due articolazioni, anche se lontane, sono collegate da un sistema biomeccanico preciso: il pattern crociato del corpo umano.

Se hai una spalla bloccata o instabile, potresti sviluppare problemi all’anca opposta senza nemmeno accorgertene. Se la tua anca è rigida o dolorante, il tuo arto superiore potrebbe pagare il prezzo con tensioni e limitazioni di movimento.

Se non ci credi, prova questo: cammina bloccando un braccio lungo il fianco e osserva come cambia il movimento della gamba opposta. Ti sembrerà di essere meno fluido, più goffo e, dopo un po’, noterai anche più tensione nel bacino.

Adesso sai che spalla e anca lavorano insieme in ogni passo che fai.

Qual'è il ruolo del pattern crociato nel movimento?

Il corpo umano segue un pattern crociato naturale. Quando la spalla destra si muove in avanti, la gamba sinistra avanza. Quando la spalla sinistra si muove indietro, la gamba destra retrocede.

Questa dinamica è essenziale per camminare, correre, lanciare, colpire e persino stare in piedi in equilibrio. Ma cosa succede se questa connessione viene alterata?

Se la spalla è bloccata o rigida (ad esempio per una capsulite adesiva, una lesione alla cuffia dei rotatori o una postura errata), il corpo può compensare in diversi modi. L’anca opposta perde mobilità o sviluppa tensioni eccessive, il bacino può subire una rotazione anomala, influenzando la distribuzione del peso e il movimento globale diventa meno efficiente, con maggiore rischio di dolore lombare, rigidità dell’anca e squilibri posturali.

Se l’anca è rigida o instabile (per esempio a causa di artrosi, debolezza del gluteo medio o alterazione dello schema motorio dell’ileopsoas), il corpo compensa aumentando il lavoro della spalla opposta, causando sovraccarichi muscolari e limitazioni nella mobilità scapolare, il passo diventa meno efficiente, con un’alterazione della biomeccanica di corsa e camminata e possono svilupparsi tensioni cervicali e problemi alla colonna vertebrale.

Esistono delle strategie per riequilibrare spalla e anca. Infatti per migliorare la connessione tra spalla e anca, non basta lavorare isolatamente su un’articolazione: bisogna ripristinare il pattern crociato naturale del corpo.

1. Mobilizzazione combinata di spalla e anca

Esercizio del guerriero: posizionati in affondo con una gamba avanti e una dietro, poi ruota il busto verso la gamba anteriore mentre sollevi il braccio opposto. Questo esercizio migliora la coordinazione tra arti superiori e inferiori.

2. Integrazione del pattern crociato nel movimento

Camminata con carico alternato: porta un peso (manubrio o kettlebell) in una mano e cammina lentamente, sentendo come il carico influenza la gamba opposta.

3. Rinforzo del core per migliorare la stabilità tra le due articolazioni

Dead bug: esercizio fondamentale per migliorare la coordinazione crociata tra arto superiore e inferiore, ne esistono tantissime versioni modificate.

4. Allenamento della propriocezione e dell’equilibrio

Plank con sollevamento alternato di un braccio e una gamba: Aiuta a rinforzare la connessione tra la scapola e il bacino opposto.

Avrai capito che spalla e anca non lavorano mai in modo isolato. Ogni passo che fai, ogni gesto che compi, dipende da un sistema biomeccanico integrato che collega queste due articolazioni in un movimento fluido e funzionale.

Se una delle due è in difficoltà, l’altra dovrà compensare. Questo è il motivo per cui un problema alla spalla può riflettersi sull’anca e viceversa.

Non trascurare mai il pattern crociato del tuo corpo: è il segreto di una postura bilanciata e di un movimento efficiente.

Indirizzo

Perugia

Orario di apertura

Lunedì 08:00 - 19:00
Martedì 08:00 - 19:00
Mercoledì 08:00 - 19:00
Giovedì 08:00 - 19:00
Venerdì 08:00 - 19:00

Telefono

393386545537

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