Dott.ssa Giselda D'Egidio Psicologa-Psicoterapeuta

Dott.ssa Giselda D'Egidio Psicologa-Psicoterapeuta Sono una Psicologa, Psicoterapeuta ed EMDR Therapist. Responsabile del Centro di Psicotraumatologia Collaboro con un'associazione di pisoncologia ad Assisi.

Mi sono laureata in Psicologia clinica e di comunità a Roma, dopo la laurea ho iniziato un corso quadriennale di specializzazione ad Ancona, specializzandomi in Psicoterapia della Famiglia. Ho svolto corsi di approfondimento in psicologia scolastica e disturbi dell'apprendimento.

28/10/2025

La cattiveria non nasce dal nulla.
Non è un accidente morale, ma un processo psichico.
È la risposta distorta a una ferita primaria:
l’impossibilità di tollerare il dolore della propria mancanza.

Quando un individuo sperimenta un vuoto affettivo che non riesce a elaborare,
la psiche può imboccare due vie:
la via del dolore o la via del dominio.
Chi sceglie la prima attraversa la mancanza e cresce;
chi sceglie la seconda la nega e costruisce un potere contro di essa.

La cattiveria è dunque la difesa estrema contro il dolore.
Nasce quando la sofferenza non viene sentita, ma convertita in controllo.
È la forma più raffinata di anestesia emotiva:
non sento il mio dolore, quindi faccio sentire il tuo.

L’atto cattivo è un tentativo di sopravvivere all’umiliazione,
distruggendo ciò che la ricorda.

In termini psicodinamici, il sadismo è la risposta regressiva all’impotenza.
Quando l’Io è fragile e non riesce a contenere l’angoscia,
trasforma la paura in piacere attraverso l’aggressione.
È un ribaltamento della passività in potenza.
Nel sadico, la distruzione dell’altro è vissuta come prova di esistenza:
“Io ci sono perché ti faccio male.”

Questo meccanismo si sviluppa spesso in infanzie dove l’amore è stato ambivalente:
presente e ferente, affettuoso e umiliante insieme.
Il bambino che ama chi lo ferisce impara che il dolore è parte dell’amore,
e nell’età adulta può ripetere questo copione da entrambi i lati —
come vittima o come carnefice.

L’invidia, invece, è la radice più antica della cattiveria.
È l’incapacità di tollerare che l’altro possieda ciò che io non ho.
Non è gelosia, ma desiderio di distruzione.
L’invidioso non vuole avere ciò che l’altro ha,
vuole che l’altro non lo abbia più.
E nel toglierglielo, prova sollievo.

In questo si rivela la natura profonda del male:
non la rabbia, ma il piacere nella distruzione.
Un piacere perverso, che non nasce dal corpo ma dal potere.
È il godimento freddo dell’Io che si crede invincibile,
che non ama ma possiede,
che non riconosce l’altro come soggetto,
ma lo riduce a oggetto della propria pulsione.

La cattiveria è la gioia dell’assenza d’empatia.
È la festa del vuoto.

Nella psiche di chi fa del male c’è sempre un punto cieco:
l’impossibilità di vedere l’altro come persona viva.
L’altro diventa strumento, bersaglio, superficie di proiezione.
Lì, la coscienza è anestetizzata.
Non c’è colpa, né rimorso.
C’è solo l’autogiustificazione:
“Me lo ha chiesto lui. Se l’è cercata. È per il suo bene.”

Ecco il cuore oscuro della cattiveria:
la lucidità senza empatia,
l’intelligenza priva di sentimento,
la parola usata come lama,
l’amore trasformato in arma di potere.

Ma nessuno può restare in quella posizione senza pagare un prezzo.
Chi vive di cattiveria si svuota lentamente.
L’Io si erge come torre, ma la torre è vuota.
E alla fine, crolla su se stessa.

Il male non vince mai: semplicemente, si consuma da solo.

Dr. Carlo D’Angelo

16/10/2025

Quando l'amore di una madre non arriva come lo desideravamo 🌸

Quando l'amore di mamma non arriva nel modo in cui ne avevamo bisogno, è come se qualcosa dentro di noi si congelasse. Forse hai sentito quel vuoto, quella sensazione di abbandono o la domanda incessante: “Perché non mi ha amato come speravo?”. È un dolore profondo, spesso nascosto, che può influenzare le nostre relazioni, il modo in cui ci amiamo e il mondo che costruiamo intorno a noi.

Quello che spesso dimentichiamo è che mamma è anche figlia di una storia, un’eredità forse segnata da mancanze d’amore. Molte madri portano ferite così profonde da non riuscire a donare ciò che non hanno mai ricevuto. Non è che non volessero amarci; forse semplicemente non sapevano come farlo, perché nessuno ha insegnato loro o perché il dolore le accecava.

Ma qui c’è una verità che può liberarti: anche se l’amore di mamma non è arrivato come lo desideravi, tu sei degna di amore. Questo non significa che ci sia qualcosa di sbagliato in te. Sei nata con il diritto di essere amata, perché sei amore nella tua essenza più pura. Le mancanze del passato non definiscono chi sei né il tuo valore.

Sanare questa ferita è il più grande atto d’amore per te stessa
Non si tratta di colpevolizzare mamma o di cercare in lei ciò che non ha potuto dare. Si tratta di guardare quella ferita con compassione e accettare che l’amore che cercavi fuori è sempre stato dentro di te, in attesa di essere scoperto.

Quando inizi a vedere mamma nella sua umanità – non solo come “la madre che doveva essere” ma come una donna con le sue battaglie, il suo dolore e la sua storia – qualcosa dentro di te si addolcisce. Forse ha fatto del suo meglio con ciò che aveva. Forse non ha potuto darti di più, non perché non ti amasse, ma perché non sapeva come.

E qui entra in gioco la tua forza: rompere la catena. Sanare ciò che lei non ha potuto, iniziando a darti quell’amore che hai sempre meritato. Sanare non significa dimenticare o minimizzare il tuo dolore, ma abbracciare la tua storia, riconoscere le ferite e scegliere comunque di vivere una vita piena di amore e pace.

Diventare la madre che hai sempre desiderato
Immagina di abbracciare la bambina che sei stata. Quella piccola che desiderava un “ti amo”, una carezza, uno sguardo di orgoglio. Dille che va bene sentire ciò che sente, che il suo dolore è valido. E poi dille qualcosa che forse nessuno le ha mai detto: “Sei sufficiente. Sei degna di amore così come sei. Non devi fare nulla per meritarlo”. Questo atto di amore verso te stessa può iniziare a colmare i vuoti lasciati dal passato.

Se sei madre, ricorda
Non devi essere perfetta. Sii semplicemente presente. Ascolta, abbraccia e valida i tuoi figli come avresti voluto essere validata tu. Ma ricorda anche che i tuoi figli non sono responsabili di guarire le tue ferite. Questo compito è tuo, e farlo regalerà loro una madre più libera, amorevole e consapevole.

Sanare il rapporto con mamma non è un cammino facile, ma è profondamente liberatorio. Quando inizi a lasciare andare il dolore e a riscoprire l’amore che è sempre stato dentro di te, la vita diventa più leggera. Tu hai quel potere. Sei l’inizio di un nuovo capitolo nel tuo lignaggio, uno in cui l’amore e la pace possono fiorire.

Un messaggio di forza e amore
Guarda mamma con compassione, ma guarda anche te stessa con la stessa tenerezza. Riconosci il tuo percorso, nonostante le carenze, nonostante il dolore. Questo ti rende forte. Sei sufficiente. Sei amore. Sei luce. E lo sei sempre stata.

Oggi è il giorno per iniziare a ricordarlo.

L’Almanacco di BabaJaga

30/08/2025

Ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un po' di sé e si porta un po' di noi. Ci sarà chi si è portato via molto, ma non ci sarà mai chi non avrà lasciato nulla. Questa è la più grande responsabilità della nostra vita e la prova evidente che due anime non si incontrano mai per caso.
J.L.Borges

22/08/2025

....Nasce un desiderio incoercibile di cambiamento che può essere interpretato come tradimento o superficialità.
Nei fatti si tratta di uno dei momenti più dolorosi della vita che ogni essere umano deve confrontare.
Perchè nell'atto di essere fedeli a se stessi si commettono azioni estremamente dolorose per gli altri.

Aldo Carotenuto, La strategia di Peter Pan.

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Impara la teoria, poi mettila da parte.               La relazione è il senso di tutto ❤
10/08/2025

Impara la teoria, poi mettila da parte.
La relazione è il senso di tutto ❤

Quello che nessuna scuola di psicoterapia ti insegna

Non l’ho imparato nei master, né nei convegni internazionali, né nei libri di tecnica.
L’ho capito una notte di molti anni fa, in una stanza senza orologi, con una donna seduta davanti a me che tremava come se la sua pelle non fosse più un posto sicuro.
Non c’era divano di design, niente aromaterapia, nessuna luce calda studiata ad arte. Solo due sedie, un silenzio spesso e il coraggio disperato di chiedere aiuto.
Non avevo strumenti miracolosi, avevo solo la mia presenza. E ho scoperto che, a volte, è abbastanza.

Non è stato il giorno in cui ho ricevuto il mio primo attestato che sono diventato psicoterapeuta.
È stato il giorno in cui ho smesso di voler “aggiustare” le persone per imparare a stare con loro, anche quando non c’era nulla da fare se non restare.

La psicoterapia che amo è nata così: in stanze piccole, con la paura che si poteva toccare con mano, e con la fiducia che qualcuno ti concede solo quando gli dimostri che non scapperai.
Non importano i protocolli, i test standardizzati o le mode del momento. Quello che conta è sapere che, quando il mondo dell’altro sta crollando, tu sei lì.

Nei manuali ti insegnano le tecniche, i modelli, i protocolli. Ma nessuno ti dice che ci saranno sedute in cui l’unica cosa che potrai offrire sarà un fazzoletto, o il permesso di piangere senza sentirsi sbagliati.
Nessuno ti dice che ti porterai a casa frammenti delle storie che ascolti: frasi, sguardi, respiri interrotti… e che a volte ti sveglierai di notte pensando a come sta quella persona.

Ho un cassetto pieno di biglietti, disegni, piccoli oggetti che i pazienti mi hanno lasciato. Non hanno valore per il mondo, ma per me sono il promemoria che ogni storia che ho ascoltato ha lasciato un segno.
E che anche se non puoi salvare tutti, puoi provare. Sempre.

La verità è che nessuna università ti prepara al momento in cui un paziente ti guarda e ti dice: “Non ce la faccio più”.
Nessuno ti spiega come restare in quella frase senza riempirla di consigli prematuri, come sopportare il peso di una pausa che sembra infinita.
Eppure è lì, in quell’istante sospeso, che capisci di essere nel posto giusto: presente, umano, vivo.

Perché la psicoterapia non è (solo) far star meglio le persone.
È onorare il loro dolore, restare accanto mentre imparano a respirare di nuovo, credere in loro anche quando loro non ci riescono.
È sapere che, quando usciranno da quella porta, forse non sarà cambiato tutto… ma qualcosa sì.

Non puoi guarire ogni ferita.
Ma puoi fare in modo che nessuno debba affrontarla da solo.
E questo, per me, vale più di qualunque teoria.

Enrico Chelini

04/08/2025

«Essere è divenire; vuol dire che si deve imparare a essere totalmente ciò che si è. Il primo passo consiste nell'imparare ad ascoltarsi: avere il coraggio di aspettare quando non succede nulla, aspettare che qualcosa accada dentro di noi, non fuori di noi, non grazie a qualcun altro diverso da noi. La creatività richiede tempo e e solitudine».

Carl Whitake

30/07/2025

Le persone si incontrano allo stesso livello di sviluppo emotivo o di risoluzione del trauma, come l'acqua che trova il proprio livello.

Ma quando una persona inizia a crescere e l'altra no la situazione diventa complessa.

O la persona che cresce rinuncia e torna al suo stato precedente: il che è quasi impossibile; oppure l' Altr* che si sente stimolat* inizia a crescere da sol*.

Altrimenti si divideranno.
E' inevitabile.

[Gabor Mate', sempre illuminante]

Indirizzo

Perugia
06124

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