23/10/2025
L’insegnare e l’imparare non devono essere confusi con l’educazione e possono persino essere impediti dall’educazione.
La distinzione può essere posta in termini semplici e pratici.
Qualcosa quasi naturalmente vuole imparare, specialmente nell’infanzia.
Come usare una sega, cucinare un uovo strapazzato, ricordare i versi di una canzone? Dove va il sole quando scende "giù"? E dove sono i pettirossi d’inverno, e perché le anatre non annegano come i polli?
Qualcosa dentro di noi vuole sapere dove, come, quando, che cosa.
Porre domande è innato alla psiche umana.
Un bambino fa domande agli insegnanti, ai genitori, agli amici, persino ai libri, per soddisfare la sete di apprendere, anche fino al punto di un comportamento ossessivo, ritualistico, dove "perché ?" si ammucchia su "perché?" su "perché ?".
Possiamo imparare ponendo delle domande, ma impariamo ancora di più osservando, ascoltando, imitando, sperimentando e assorbendo sensualmente il mondo che ci circonda.
Il bambino, come facciamo noi stessi, tiene un occhio all’esterno e un cuore aperto per il dove e il che cosa e specialmente il chi può soddisfare questo desiderio d’imparare.
In corrispondenza con questo desiderio d’imparare c’è un impulso a insegnare, egualmente innato. Qualcosa, di nuovo piuttosto naturalmente, vuole rispondere a una domanda, dimostrare, spiegare, correggere.
" Su dammi quello; lascia che ti mostri come si fa." "Non tenere la sega così stretta. Lascia che siano i denti a fare il lavoro." " La pioggia? Ebbene, noi facciamo la pioggia nella nostra stanza da bagno: guarda come il vapore del bagno fa delle piccole goccioline sulla superficie fredda dello specchio."
La relazione fra l’imparare e l’insegnare è animale, naturale, data, dotata di ubiquità; non è tanto il prodotto della civilizzazione e della cultura quanto la loro base.
La cultura chiama questa relazione tradizione; la civilizzazione, educazione.
Comunque diamo forma a questa relazione, l’insegnante e l’allievo, la guida e l’apprendista, l’esperienza e l’innocenza, il sapere e l’ignoranza, il pieno e il vuoto sono costituenti costanti della vita interiore dell’anima.
In quanto tali, appartengono non solo ai primi anni o alle prime fasi dell’indagine.
La ricerca di un insegnante, di un insegnamento e il desiderio d’insegnare continuano in modo importante nella tarda vita .
Uno dei momenti più miserevoli della tarda vita è quello in cui l’impulso ad insegnare viene frustrato: nessuno vuole ciò che si può insegnare.
Fra questi due impulsi e la loro affinità l’uno per l’altro viene l’Educazione.
Immaginate l’Insegnare e l’Imparare come un fratello e una sorella, un poco perduti nel bosco, come Hansel e Gretel nella fiaba, catturati dalla strega, l’Educazione.
L’intervento dell’Educazione sembra piuttosto ragionevole: mira a facilitare la serendipità della relazione rimuovendo la casualità e controllando il contingente. Soprattutto l’educazione esteriorizza e sistematizza la relazione nella "scuola" (istituzioni educative).
Tenta di mettere in contatto i giusti (qualificati) insegnanti con i giusti (selezionati) allievi.
Così l’insegnare e l’imparare divengono personificati in classi di persone: quelli che possono e quelli che non possono; quelli che sanno e quelli che non sanno.
La vocazione innata diventa una professione accreditata.
Il potere inevitabilmente fa seguito alla divisione in classi, che minaccia l’insegnare e l’imparare con la paura dell’"altro".
Gli insegnanti temono i loro studenti; gli studenti i loro insegnanti, minacciando l’educazione stessa e conducendola a definire il suo ruolo non tanto come uno strumento di agevolazione, ma come un’autorità impositiva.
In questo modo l’educazione separa l’insegnare e l’imparare.
Pure la storia dell’autodidatta mostra che i due elementi potenziali nella natura umana sono funzioni complementari. Quanto ciascuno di noi ha imparato e ancora impara insegnando a se stesso da solo!
Pure l’educazione si suddivide in due specie: primaria e superiore, tecnica e classica, scienze ed arti; riparatrice ed avanzata.
Il misterioso lavoro emotivo di insegnare e imparare viene cooptato nelle forme esteriori che mirano a farlo avvenire.
In verità, l’insegnare e l’imparare scompaiono in vicoli laterali e in occasioni segrete.
Dei lunghi anni trascorsi nella scuola quanti pochi episodi di illuminazione conservati nella memoria, quanti pochi momenti di insegnamento che hanno acceso un fuoco!
Anche per gli insegnanti solo una manciata di studenti da tante classi realmente "connesse" restano ben presenti nella memoria.
L’educazione oggi assorbe il cinque per cento del prodotto mondiale nazionale lordo; l’educazione è la più grande industria del mondo.
La psiche si ribella contro il vero imparare che una società guidata dall’economia insiste nel ritenere di primaria importanza. Devi ricevere un’educazione, avere un’educazione, perché allora sarai più vendibile, servendo l’economia e alzando il Pil.
L’educazione come merce, come un investimento di capitale che serve alla competizione del libero mercato.
E’ questo ciò a cui i sintomi dicono "no" ? E’ questo ciò che il rifiuto della scuola in definitiva significa?
Per la gioventù ci sono pochi rifugi, poche fughe dai problemi dell’educazione contro i quali c’è tanta ribellione, sia diretta - come il rifiuto della scuola, la violenza e i desaparecidos o scomparsi - sia indiretta, nei sintomi psicologici che ostacolano l’imparare, ad esempio "i disturbi dell’imparare".
Gli insegnanti, presi fra le richieste dell’educazione da una parte e la ribellione degli studenti dall’altra, sono in una posizione simile a quella di un medico verso il paziente, di un avvocato verso il cliente, di un giornalista verso la fonte, del prete verso il peccatore.
Qualcosa si sta ammalando nel cuore dell’educazione; è malata nel cuore, e questo cuore non può essere ristabilito con semplici esercizi di base o con una nuova dieta dell’anima, né questo cuore può essere sostituito da una macchina ad alta tecnologia.
Non c’è eros nel programma.
Quando l’eros è represso cade in un’intimità clandestina.
Pure impariamo attraverso la vicinanza - osservando le mani del maestro al lavoro, ascoltando le inflessioni vocali, contagiati dalla gioia del compito. Uno degli studenti di Socrate dice (Teagete 127 Bff): " Ho fatto progressi ogni volta che ero insieme a te… e sono progredito più rapidamente e profondamente quando mi sono seduto vicino, accanto a te e ti ho toccato".
Mentre per l’educazione nello stesso passaggio (128B) Socrate dice: " Non so niente di questo raffinato sapere dei Sofisti; io ho soltanto un piccolo corpo di sapere: la natura dell’amore (tà erotika)".
I loro demoni sono in armonia, ciascuno aiuta l’altro a soddisfarsi.
Insegnare e imparare sono necessari l’uno all’altro e, come Hansel e Gretel si salvano l’uno con l’altro.
Il fatto che l’educazione presti il suo corpo alla piazza del mercato nella nostra epoca, non è diverso dalla sua prostituzione alla dottrina politica nell’era di Stalin e Hi**er, o Mao e Pol Pot, o alla Chiesa nella Francia della Scolastica, o all’ortodossia musulmana nelle scuole del Medio Oriente.
All’insegnamento si chiede sempre di sottomettersi senza protestare di fronte ai dogmi educativi: lo testimoniano il destino di Socrate, la persecuzione degli insegnanti irlandesi nelle scuole di trincea durante la dominazione inglese.
A causa del potere degli istituti educativi, il vero imparare, analogamente alla psicanalisi, diventa sovversivo.
L’imparare deve nascondersi all’interno dell’educazione come abbiamo visto nei tre piccoli bambini e nei loro insegnanti, dove una corrente erotica lega in modo sovversivo l’insegnante e lo studente.
Marsilio Ficino, uno dei più autorevoli insegnanti d’Europa di sempre, si riferì a questo imparare nascosto e sovversivo come contro-educazione.
Noi impariamo ciò che è ufficialmente insegnato, e re-impariamo il contrario o ciò che sta più profondamente nel suo interno, vedendo in esso e attraverso esso, decostruendo, diciamo, con il chiedere ulteriormente: "questo materiale, questo metodo, questa ipotesi che cosa significano per l’anima?".
La contro-educazione interiorizza e individualizza, come ha detto Ficino, le uniformità dell’educazione.
Con "uniformità" mi riferisco a modelli di prove, misure di intelligenza, gradazioni attraverso livelli, libri di testo uniformi, divisioni del tempo, architettura delle aule scolastiche, ecc .
Individualizzare l’educazione, cioè collocare l’imparare all’interno dell’anima di qualcuno, esige l’eros, non perché l’individualizzare favorisce uno studente a scapito di un altro, il cosiddetto "prediletto dell’insegnante", ma perché l’eros incendia il particolare stile di desiderio di ogni persona.
L’imparare e l’insegnare devono seguire una varietà di pensieri. Una dimensione non va bene a tutto. Anche la nozione di "misura" può essere liberata dalla sua angusta denotazione - significati matematici e statistici - per modi che tengono chi e perché e che cosa è stato misurato; per esempio, l’estetica, la narrativa, la morale o le capacità del corpo.
La natura umana immagina i suoi problemi, viene a contatto con essi, ed effettua scelte di valore.
La base archetipica della mente è un substrato sia di logica che di sogno, di scienza e di arte, di passato e di presente, di obiettività e di soggettività.
L’imparare dev’essere molteplice perché l’intelligenza è molteplice.
E’ necessario recuperare un modo di pensiero umanista o quella che può anche essere chiamata una base poetica della mente che è capace di superare il nichilismo etico dell’educazione contemporanea e l’ottusità estetica travestiti e rinforzati dal "metodo obiettivo".
(James Hillman – da “Lettera agli Insegnanti italiani”, Milano 2002)