11/11/2025
Fuori dal vortice: smartphone, adolescenti e l’esempio degli adulti
C’è un paradosso che molti genitori riconoscono: chiediamo ai ragazzi di “staccare”, ma siamo noi i primi a controllare notifiche a tavola o a rispondere ai messaggi a letto. È qui che il discorso sugli smartphone e gli adolescenti si inceppa. Il problema non è solo quanto tempo stanno online, ma che modello vedono ogni giorno e che regole imparano a rispettare quando gli adulti non guardano. In diversi Paesi il pendolo pubblico sta tornando verso limiti più stringenti — dall’innalzamento dell’età minima per i social alla stretta sui telefoni a scuola — ma nessuna legge funziona senza coerenza educativa in casa e a scuola.
Negli ultimi mesi sono arrivate mosse forti. La Danimarca ha annunciato l’intenzione di vietare i social ai minori di 15 anni; la Norvegia ha messo in campo un percorso simile; l’Australia ha approvato un quadro normativo che obbliga le piattaforme a impedire account sotto i 16 anni con un avvio operativo a fine 2025. In Italia, il Ministero dell’Istruzione ha esteso il divieto di cellulare in classe al primo ciclo e, più di recente, alle superiori. Si tratta di segnali chiari: non è più “tutto sulle spalle” delle famiglie, ma una cornice collettiva che prova a ridurre il rumore digitale dove si studia e si cresce.
Sul piano della salute, il quadro scientifico non è bianco o nero: gli esperti del Surgeon General americano ricordano che i social possono offrire opportunità (relazioni, creatività, informazione), ma esistono indicatori di rischio per sonno, attenzione e benessere psicologico, soprattutto nelle fasi più delicate dello sviluppo. Tradotto: non viviamo un’emergenza da “spegnere tutto”, ma nemmeno un ambiente neutro. Serve guida adulta, spazi offline e confini credibili.
Guardiamo ai ragazzi. I dati italiani dicono che l’uso è vastissimo già in età precoce: tra gli 11 e i 19 anni la presenza sui social è la norma, e nel Mezzogiorno le percentuali salgono ancora. Organizzazioni come Telefono Azzurro e Save the Children fotografano un pubblico connesso, spesso competente, ma esposto a rischi ricorrenti (notte interrotta dalle notifiche, confronto sociale al rialzo, cyberbullismo). È interessante, però, un altro segnale che arriva dal Regno Unito: quasi la metà dei 16–21enni dichiara che starebbe meglio in un mondo senza Internet e una quota simile vorrebbe un “coprifuoco digitale”. Non è nostalgia: è il desiderio di regole condivise per smettere di lottare da soli contro il design delle app.
L’educazione, quindi, non è un elenco di divieti: è prevedibilità. Se a scuola lo smartphone è fuori gioco, a casa non può essere “liberi tutti”. Se chiediamo di non usarlo in camera, anche il genitore si tiene il telefono fuori dalla stanza. Se temiamo lo “scroll infinito”, lo combattiamo insieme con abitudini trasparenti (modalità notturna, limiti orari, telefoni parcheggiati durante i pasti), spiegando il perché e discutendo le eccezioni. È quella coerenza che tanti adolescenti, più di quanto pensiamo, sanno accogliere — e spesso chiedono — quando il patto è chiaro.
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