06/11/2025
Scienza e Fede...
20 maggio 1999, Norvegia settentrionale. Una studentessa di medicina svedese di 29 anni, Anna Bågenholm, stava sciando con due amici vicino a Narvik. Era una giornata di primavera, il sole batteva sul ghiaccio, e tutto sembrava sotto controllo.
Poi, in un secondo, tutto cambiò.
Scivolò su una lastra ghiacciata, perse il controllo e cadde di testa in un ruscello gelato. Il ghiaccio si richiuse sopra di lei. Rimase intrappolata, immersa in acqua vicina allo zero, incapace di tornare in superficie. I suoi amici cercarono disperatamente di tirarla fuori, ma la corrente la trascinò sotto.
Anna era cosciente. Per diversi minuti lottò per rompere il ghiaccio, per risalire. Poi trovò una piccola sacca d’aria — un angolo minuscolo tra acqua e ghiaccio, creato dal flusso del ruscello. Restò lì, con il volto contro quel velo gelido, aggrappata alle rocce sottomarine. Respirava. Aspettava.
Per 40 minuti.
Ma il suo corpo non poteva resistere all’infinito. L’ipotermia avanzava. Brividi, confusione, rallentamento. Poi il cuore si fermò. Il suo cuore. Arresto cardiaco.
Passarono altri 40 minuti prima che i soccorritori riuscissero a raggiungerla. Quando la estrassero, era immobile. Nessun battito. Nessuna respirazione. Pupille dilatate. Fredda. Grigia. Morta, secondo ogni logica conosciuta.
Ma non per loro.
La portarono d’urgenza in elicottero all’ospedale universitario di Tromsø, a 100 chilometri di distanza. Lì, una squadra di medici decise di non mollare.
«Non sei morto finché non sei riscaldato… e ancora morto.»
La temperatura corporea di Anna era di 13,7°C — la più bassa mai registrata in un essere umano sopravvissuto. Nessun medico si sarebbe aspettato un cervello integro. Nessun polso. Nessuna certezza. Solo la scienza, e la fede nel possibile.
Le attaccarono una macchina cuore-polmone per riscaldare lentamente il suo sangue.
14 gradi… 16… 20… nessuna risposta.
25… 28… 30… ancora nulla.
Poi, dopo quasi nove ore, il cuore di Anna fece un battito. Poi un altro.
Era tornata.
Quando si svegliò, parlava. Capiva. Il suo cervello era integro. I medici piansero. Lei aveva danni ai nervi delle mani e dei piedi, ma imparò di nuovo a camminare. A muoversi. A vivere.
Si è laureata.
Ha scelto la radiologia.
E oggi lavora proprio all’ospedale di Tromsø. Nella stessa struttura in cui il suo corpo freddo venne riportato in vita.
La sua storia ha cambiato la medicina d’urgenza. Da allora, in tutto il mondo, non si può più dichiarare morto un paziente in ipotermia finché non è stato riscaldato. È diventato protocollo medico ufficiale.
Anna oggi cammina nei corridoi dove una volta giaceva immobile. Ride. Lavora. Passa accanto alle macchine che le hanno ridato la vita. È viva contro ogni logica.
Ricorda il suo nome: Anna Bågenholm.
Intrappolata sotto il ghiaccio per 80 minuti.
Temperatura: 13,7 °C.
Un’ora di arresto cardiaco.
Sopravvissuta.
Rinata.
Perché a volte, quando la scienza incontra il coraggio e la testardaggine di chi si rifiuta di arrendersi, l’impossibile diventa realtà.