Psychotherapy Torino

Psychotherapy Torino Sono una Psicologa e Psicoterapeuta Gestalt. L'approccio della Gestalt si focalizza sul presente e s

Soffri per ansia e/o attacchi di panico e non sai come affrontarli? Vorresti parlarne con qualcuno ma ti senti sciocco e...
10/07/2020

Soffri per ansia e/o attacchi di panico e non sai come affrontarli? Vorresti parlarne con qualcuno ma ti senti sciocco e imbarazzato?
Credimi tantissime persone stanno soffrendo come te, non sei
da solo/a. Il percorso che ti propongo prevede 3 incontri individuali e 3 di gruppo nei quali potrai avviare un percorso che ti aiutera' a stare meglio. Non rimandare!

COPPIA MISTA: COSA LA QUALIFICA COME TALE?E’ singolare osservare come i dati statistici e le informazioni riguardanti le...
27/06/2020

COPPIA MISTA: COSA LA QUALIFICA COME TALE?
E’ singolare osservare come i dati statistici e le informazioni riguardanti le cosiddette coppie miste (intendiamo qui le unioni fra un partner italiano e uno straniero) risalgano per lo più a 10-20 anni fa, nonostante la crescita esponenziale di un fenomeno che -almeno nel centro/nord Italia- rivela come misto, un matrimonio su cinque.
Secondo il rapporto 2018 dell'osservatorio interistituzionale sugli stranieri nella Provincia di Torino, la cittadinanza straniera presente su questo territorio, costituisce quasi il 10% della popolazione complessiva; un dato questo, che non può non farci riflettere sul cambiamento in atto.
Negli ultimi anni l’Italia si è aperta (volente o nolente) a culture altre, non solo per fini turistici e commerciali, ma per accogliere nuove forme di socialità e coesistenza. Si pensi ad esempio al proliferare di associazioni culturali e di progetti che divulgano la diversità come valore, e che tentano di riunire sotto un tetto comune, l’esigenza di integrarsi e di condividere esperienze.
Il fatto che la realtà dei matrimoni misti riguardi in larga misura partner che provengono da paesi a forte pressione migratoria, ha determinato altresì la tendenza a circoscrivere tale fenomeno a situazioni di problematicità e di fragilità economico sociale. La maggioranza delle associazioni sopracitate e la preparazione dei professionisti che vi lavorano, sono rivolte quindi ai rifugiati politici, a vittime di violenza e in generale, a fronteggiare situazioni di estrema gravità economica e psicologica ( disturbi post traumatici ecc..).
In generale, lo straniero in Italia è ritenuto una presenza di serie B, portatore di bisogni, più che di nuove competenze e possibilità. Senza entrare nell’esamina di ogni contesto geo politico e nella trattazione di singole realtà, mia personale opinione, è che questa e altre simili ragioni abbiano determinato, e costituiscano tutt’ora, la principale motivazione della mancata attenzione, e se vogliamo, della mancata curiosità verso un futuro che ci vedrà sempre più ‘mischiati’ e vicini a culture differenti.
Tornando al nostro argomento principale, l’etichetta di coppia mista risulta difficile da comprendere sia all’interno, sia all’esterno della coppia stessa. Cosa rende davvero una coppia mista differente dalle altre? Quali sono le caratteristiche che la rendono speciale? E quando ‘speciale’ significa problematica o invece portatrice di nuove occasioni di crescita? Mi vengono in mente numerosi esempi, come le incomprensioni dovute alla lingua (come è difficile scherzare e fare battute in una lingua diversa!) o la magia di scoprire tradizioni e culture differenti, o ancora le difficoltà burocratiche ad ogni livello (riconoscimento dei titoli conseguiti nel proprio paese di origine, validazione di documenti e richiesta di permessi di soggiorno...) che sicuramente espongono la coppia mista a sfide più numerose e pressanti. Ma ad un livello più intimo e relazionale, dove si situano le differenze?
Francesco Cerchiaro (Quaderni di sociologia, 72/2016) nella sua analisi “Coppia mista? In che senso?” distingue analiticamente tre principali significati attribuiti alla differenza nel racconto di sé:
- La differenza come stigma da respingere
- La differenza come problema da risolvere
- La differenza come risorsa da valorizzare
Nel primo caso- la differenza come stigma da repingere- la coppia si trova a fronteggiare lo stigma della divisione sociale (noi nel gruppo coppie miste, voi nel gruppo coppie ...normali) che può esporre uno dei partner per esempio alla discriminazione razziale o religiosa, e creare un ulteriore solitudine all’interno della relazione; oppure spingere la coppia a mostrare l’irrilevanza delle supposte differenze. Nel secondo caso-la differenza come problema da risolvere- le difficoltà si misurano interne alla famiglia allargata, dove abitudini e tradizioni a volte molto lontane devono integrarsi con le specificità valoriali della coppia e della funzione genitoriale; o ancora la differenza diventa un problema da risolvere nella frequentazione di altre coppie e famiglie dove la comunanza di interessi che portino alla creazione di nuove amicizie non è sempre così facile e ovvia. Nel terzo caso-la differenza come risorsa da valorizzare- la coppia ha generalmente superato le criticità interne alla relazione ed è cresciuta nel contesto sociale in cui ha deciso di organizzare la propria vita famigliare ( lavoro, scuole dei figli ecc.) portando con sè tutta la creatività e l’arricchimento di una coesistenza multiculturale. E’ questo il gruppo al quale vorrei qui dare maggior voce, poichè è il gruppo di coloro di cui quasi mai si sente parlare, portatore di quelle differenze capaci di generare circoli virtuosi di bellezza e accoglienza.
Sempre osservando la coppia al suo interno, il Dott. Alberto Mascena (Presidente Aifcom/Ass.Italiana famiglie e coppie miste) osserva come già da un punto di vista prettamente comunicativo le differenze possano essere reali e sfidanti anche fra due partner della stessa cultura (coppie miste: le differenze fanno sempre la differenza? Seminario del 05/06/2020): un esempio fra tutti, la profonda diversità di tradizioni, dialetti, usi e abitudini che troviamo fra il nord e il sud di Italia e che, in modo anacronistico e talvolta tristemente competitivo, dividono tutt’ora il nostro paese. Ricordo che negli anni 80 proliferavano le diatribe famigliari per contrastare le convivenze fra le coppie di giovani al nord, mentre molti genitori del sud gridavano allo scandalo e supplicavano i loro ragazzi per un immediato matrimonio riparatore. Infatti, molti compagni di studi con cui frequentavo l’università e che provenivano dal meridione, trovarono a Torino l’amore ‘straniero’ (cioè del sud) e andarono a convivere, condividendo i costi e le gioie di una coppia stabile. Ricordo come per me fosse affascinante e curioso ascoltare i loro accenti e condividere memorie tanto differenti della nostra infanzia. Quella ‘mixitè’ allora era considerata sinonimo di modernità e apertura; la diversità era vissuta con slancio e ottimismo....cosa è cambiato da allora? Cosa determina adesso la divisione fra NOI e LORO?
I famosi esperimenti di Tajfel negli anni 50 rivelano come la tendenza degli esseri umani a creare distinzioni nelle relazioni intergruppi, (anche basando la distinzione su motivazioni del tutto banali) non rappresenti altro che un processo psicologico istintivo, automatico e immediato. Questo è un punto molto importante su cui soffermarsi, poichè non si desidera qui giudicare e criticare chi, in maniera del tutto naturale, applica nella propria vita naturali processi di auto ed etero-categorizzazione intergruppi, ma per sottolineare come sia importante non scivolare nelle dinamiche di opposizione e di rifiuto di gruppi identitari differenti dai nostri. A tal proposito, la teoria dell’identità sociale (Ash, 1951), concettualizza come il proprio gruppo di riferimento diventi il luogo della costruzione della propria identità sociale. L’individuo utilizza a questo scopo tre processi funzionalmente collegati: la categorizzazione (vegani \onnivori, omosessuali \etero, neri \bianchi ecc.), l’identificazione (l’identità è costituita da gerarchie di appartenenze multiple come l’essere tifosi di una precisa squadra di calcio, ma anche fan di una seguitissima band musicale) e il confronto sociale ( tendiamo a massimizzare le somiglianze all'interno del nostro gruppo, ma al contempo massimizziamo anche le differenze con gruppi differenti dal nostro) basandoci su diversi fattori come ad esempio l'età o l'appartenenza etnica...
M.Recalcati in un suo intervento, ci ricorda come il termine biblico della fratellanza non coincida con il conosciuto, con il famigliare, ma esattamente con l’opposto. Il vero fratello è l’Altro in quanto sconosciuto, e la fratellanza è quindi la relazione fra lontani.
Tutto ciò è valido a maggior ragione in un momento come questo, alla presenza di una terribile pandemia che ci coinvolge tutti e che vede l'Altro paradossalmente piu' vicino, in quanto simile a noi nel tentativo di fronteggiare un evento cosi' traumatico e imprevedibile. Il Covid-19 ci insegna che è l'essere umano, non la sua professione, il colore della pelle o la sessualità, a renderci simili, ma ontologicamente il nostro esser-Ci. Ecco, che guardare all'Altro come colui che - come noi- abita il mondo, allarga in maniera naturale la nostra prospettiva e ci permette di scavalcare quelle numerose barriere mentali costituite da automatismi, stereotipi, classificazioni ed etichetatture che, anche involontariamente, bloccano la creazione di un unico grande gruppo: il Noi.
La società, in continuo mutamento e in costante connessione , ci mostra ogni giorno scenari anticipatori, e ogni fenomeno che attraversiamo ora, ha avuto un suo inizio. Solo noi possiamo determinare il conseguente adattamento e l'apertura a nuove forme di coesistenza. La coppia mista non è altro che l'incontro fra due esseri umani che hanno scelto di condividere un progetto di vita insieme. Perchè non ricominciare a partire dall'essere umano con le sue peculiarità, con la sua unicità, e pensarci semplicemente come persone che condividono le sfide e i sogni della vita? Tutti abbiamo bisogno degli altri, e i mesi appena trascorsi ci hanno mostrato quanto sia radicale e connaturato il bisogno di condividere e di stare insieme. Ogni coppia ha iniziato il suo progetto partendo proprio da questo.

Stefania Scarduelli
Psicologa-Psicoterapeuta
Coordinatrice del Progetto Expat e Famiglie miste Torino e Piemonte
Delegata Aifcom - Associazione Italiana Famiglie e Coppie miste per la regione Piemonte

10/06/2020

Lo scrittore britannico ha scritto un racconto autobiografico sulle difficoltà di uscire dalla depressione. Raccontando la propria vicenda lo scrittore diventa uno specchio per tante persone

PROXIMITY, ATTACHMENT AND LONELINESSPROSSIMITA’, ATTACCAMENTO E SOLITUDINEStefania Scarduelliitaliano piu' sotto...This ...
12/03/2020

PROXIMITY, ATTACHMENT AND LONELINESS
PROSSIMITA’, ATTACCAMENTO E SOLITUDINE
Stefania Scarduelli

italiano piu' sotto...

This pandemic so democratic that it involves everyone, really everyone (rich and poor, with and without power, evil and good, white and red, fat and thin etc ...) exposes us to diversified social phenomena that will be talked about for a long time and which will certainly be mentioned in many manuals.
The sudden change in habits usually causes a lot of stress, but at the moment we cannot externalize it, being all contrite to understand how to do it, how to continue living and working and with our heads full of why on the near future. Yes, because I would make a first observation on this ... we who organize weddings after two years, we who decide to visit Uganda in 2025, we who have a mortgage for the next twenty years, now we simply ask what will become of us in a week.
Suddenly we are forced not to take everything for granted, just as it should always be. Suddenly we have a taste of what thousands of people in war live every, holy day: the fear, the limitation of freedom, the staggered queques to go to buy food, the loss of many things, the inability to go at the theater, at the cinema or taking a cardiotone lesson in the gym, the difficulty of being assisted in a hospital, the ban on traveling or running away ....
And what makes me think more today is the area of proximity, or closeness in the strict sense, and contiguity / affinity in the broad sense.
In Psychology, one of the most famous references is without a doubt Bowlby, who with attachment theory has described to us how our emotional regulation depends on the type of proximity created with the attachment figure (usually the mother). What does it mean? By reducing in a simple way, the child with safe attachment, that is, supported and protected when he needs it, will be a child and then an autonomous adult, capable of reciprocity and with a good basic self-esteem. On the contrary, the child with insecure attachment will develop insecurities and will often experience a sense of anger and frustration, but most worryingly he will develop negative beliefs about himself and relationships with others.
In the last days we are forced to live many Sundays all together, who can and must, is at home from work, the children do not go to kindergarten and school, and we find ourselves sharing spaces-times previously totally personal ..... the tension of many worries can sometimes turn into aggression or mutism, or the sudden closeness makes us rediscover more united and supportive. We find ourselves repotting the flowers or ordering the cellar or cooking like crazy. It seems that food sales have multiplied not only to make "stocks" (which we have not done here in Italy since the time of the Gulf War in '91 ..), but to shout revenge on all the cooking programs that in the last years have made us feel inadequate and superficial in the face of so much creativity and culinary knowledge. And here comes the ragu 'cooked 3 hours on low heat, the layered desserts with suicidal creams, the boiled meat with 800 sauces that I hadn't seen since the time of my adolescent crises, the homemade lasagna .... yes everything is good , but the risk of rolling on the street when they give us the green light is high ....
However, we said, we are suddenly forced to share an unusual space-time, made of silences, pauses, questions. Sometimes we look at the members of our family in a new way, and by looking at them we also reflect ourselves ....
For example, if we have to stay indoors all day, do we keep our pajamas? , If I don't do sports and I'm not on a motorbike between smog and traffic all the day, do I shower every day? If we are always at home, do we keep them the same for lunch and dinner? If my son has already been in front of the TV for two hours, will I turn it off or pray that he will not be disappointed for another 4 hours?
Two days ago a friend of mine on the phone told me that she had never noticed that her husband hid the socks in his shoes when he takes them off ... another told me that his son has been writing poetry for years on a small blue diary , but she had never noticed it. My neighbor had to confess to her boyfriend who is still looking at Beautiful and could no longer resist without it. In short, a lot of small and large weaknesses come to the surface like ridiculous cadavers that we wanted to hide.
But today I talked to a friend who lives alone and suddenly she burst out (snapped, exploded, burst) saying to me: “of course, you who complain, who know who at work had the only opportunity to have any human contact? Last week my colleague asked me to leave the file we were working on on the desk so as not to take it from my hand .... I felt like a plague, I felt even more alone "
So I remembered that I also lived alone a few years ago, I did it for many years and I liked it a lot. I remembered the sense of lightness and freedom, the possibility of being silent, enjoying a book, being on the phone whenever I wanted, having dinner at midnight, not doing laundry. And I remembered that when the silence became deafening, then I went out, called, organized, left. In these days, in an attempt to survive the excessive proximity of my son and husband, I had not thought of the solitude of many of my friends who live alone and who in the morning, in the evening, at lunch and dinner cannot even complain or comment on what is happening if not on the phone. My friend told me that she liked it when she chose to be alone, now it's not fun. He told me that working from home will certainly be safe, but that she is looking forward to seeing her colleague as***le again. So I asked myself what can we all do who, although distant, to some extent we have shortened the closeness, feeling more related, feeling more equal in tomorrow's uncertainty. What comes to mind is simple and always applies. If we go out to buy milk or throw garbage and run someone, we can SMILE. We don't know if that smile will be the only one of the day, we don't know if it will have been useful or not, but it certainly will have done us good too. The smile can also be seen from a distance, but fortunately it is contagious!

Questa pandemia cosi democratica che coinvolge tutti, ma proprio tutti ( ricchi e poveri, con e senza potere, malefici e buoni, bianchi e rossi, grassi e magri ecc...) ci espone a diversificati fenomeni sociali di cui si parlera’ a lungo e che di certo verranno citati su molti manuali.
Il repentino cambio di abitudini usualmente determina un forte stress, ma al momento non possiamo esternarlo, essendo tutti contriti a capire come fare, come continuare a vivere e lavorare e con la testa colma di perche’ sul prossimo futuro. Si, perché una prima constatazione la farei proprio su questo...noi che organizziamo matrimoni a distanza di due anni, noi che decidiamo di visitare l’Uganda nel 2025, noi che abbiamo il mutuo per i prossimi venti anni, ora ci chiediamo semplicemente cosa sara’ di noi fra una settimana. All’improvviso siamo costretti a non dare tutto per scontato, proprio come si dovrebbe fare sempre. All’improvviso abbiamo un assaggio di quello che migliaia di persone in guerra vivono ogni santissimo giorno: la paura, la limitazione della liberta’, le code scaglionate per andare a comprare il cibo, la perdita di tante cose, l’impossibilita’ di recarsi a teatro, al cinema o di fare una lezione di cardiotone in palestra, la difficolta’ di essere assistiti in un ospedale, il divieto di viaggiare o scappare....
E quello che oggi mi fa maggiormente riflettere e’ l’ambito della prossimita’, ovvero la vicinanza in senso stretto, e la contiguita’/affinita’ in senso lato.
In Psicologia, uno dei riferimenti piu’ famosi e’ senz’atro Bowlby, che con la teoria dell’attaccamento ci ha descritto come la nostra regolazione emotiva dipenda dalla tipologia di prossimita’ creata con la figura di attaccamento (usualmente la madre). Cosa significa? Riducendo in maniera semplice, il bambino con attaccamento sicuro, ovvero sostenuto e protetto quando ne ha bisogno, sarà un bambino e poi un adulto autonomo, capace di reciprocità e con una buona autostima di base. Al contrario, il bambino con attaccamento insicuro, svilupperà insicurezze e proverà spesso un senso di rabbia e frustrazione, ma cosa piu preoccupante elaborerà credenze negative su se stesso e sulle relazioni con gli altri.
Negli ultimi giorni siamo costretti a vivere tante domeniche tutte insieme, chi puo’ e deve, sta a casa dal lavoro, i bambini non vanno all’asilo e a scuola, e ci ritroviamo a condividere spazi-tempi prima totalmente personali.....la tensione di tante preoccupazioni a volte puo’ volgere in aggressivita’ o mutismo, oppure l’improvvisa vicinanza ci fa riscoprire piu’ uniti e solidali. Ci ritroviamo a rinvasare i fiori o a ordinare la cantina o a cucinare come pazzi. Pare che le vendite di generi alimentari si siano moltiplicate non solo per fare “scorte”( che qui in Italia non facevamo dai tempi della Guerra del Golfo nel ’91..), ma per gridare vendetta a tutti i programmi di cucina che negli ultimi anni ci hanno fatto sentire inadeguati e superficiali di fronte a cotanta estrosita’ e conoscenza culinaria. Ed ecco che rispunta il ragu’ cotto 3 ore a fuoco basso, i dolci a strati con creme suicidarie, il bollito con 800 salse che non vedevo dai tempi delle mie crisi adolescenziali, la lasagna fatta in casa....si si tutto buono, ma il rischio di rotolare per strada quando ci daranno il via libera e’ alto.....
Comunque, dicevamo, siamo all’improvviso costretti a condividere uno spazio- tempo inusuale, fatto di silenzi, di pause, di domande. A volte guardiamo i componenti della nostra famiglia in modo nuovo, e guardando loro ci rispecchiamo anche noi....
Per esempio, se dobbiamo stare in casa tutto il giorno il pigiama lo teniamo? , Se non faccio sport e non sono in motoretta fra smog e traffico tutto il di’, la doccia la faccio lo stesso tutti i giorni? Se siamo sempre in casa, gli orari di pranzo e cena li teniamo uguali? Se mio figlio e’ gia’ da due ore di fronte alla TV, gliela spengo o prego che non se ne disammori per altre 4 ore?
L’altro giorno una mia amica al telefono mi ha detto che non aveva mai notato che il marito nascondesse le calze nelle scarpe quando se le toglie...un’altra mi ha detto che il figlio scrive poesie da anni su un piccolo diario blu, ma lei non lo aveva mai notato. La mia vicina ha dovuto confessare al fidanzato che guarda ancora Beautiful e non poteva piu’ resistere senza. Lo stesso fidanzato e’ stato poi beccato a bersi i bibitoni proteici da palestrati tamarri che usualmente gli consegnavano in ufficio. Insomma un sacco di piccole e grandi debolezze vengono a galla come ridicoli cadaverini che volevamo nascondere.
Oggi pero’ ho parlato con una amica che vive da sola e all’improvviso e’ sbottata ( scattata, esplosa, scoppiata) dicendomi: “certo, voi che vi lamentate, che ne sapete di chi al lavoro aveva l’unica opportunita’ di avere un qualche contatto umano? La scorsa settimana il mio collega mi ha chiesto di lasciare il dossier su cui stavamo lavorando sulla scrivania per non prenderlo dalla mia mano....mi sono sentita un’appestata, mi sono sentita ancora piu’ sola”.
Cosi mi sono ricordata che anche io qualche anno fa vivevo da sola, l’ho fatto per tanti anni e mi piaceva un sacco. Mi sono ricordata del senso di leggerezza e liberta’, della possibilita’ di stare in silenzio, di godermi un libro, di stare al telefono quando volevo, di cenare a mezzanotte, di non fare il bucato. E mi sono ricordata che quando il silenzio diventava assordante, allora uscivo, chiamavo, organizzavo, partivo. In questi giorni, nel tentativo di sopravvivere all’eccessiva prossimita’ di mio figlio e mio marito, non avevo pensato alla solitudine di tanti dei miei amici che vivono da soli e che la mattina, la sera , a pranzo e a cena non possono neppure lamentarsi o commentare quel che sta accadendo se non al telefono. La mia amica mi ha detto che le piaceva quando era lei a scegliere di stare da sola, ora non e’ divertente. Mi ha detto che lavorare da casa sara’ senz’altro sicuro, ma che lei non vede l’ora di rivedere il suo collega st***zo. E allora mi sono chiesta cosa possiamo fare tutti noi che pur distanti, in qualche misura abbiamo accorciato la prossimita’, sentendoci piu’ affini, sentendoci piu’ uguali nell’incertezza di domani. Quello che mi viene in mente e’ semplice e vale sempre. Se usciamo a comprare il latte o a buttare l’immondizia e incorciamo qualcuno, possiamo fare un SORRISO. Non sappiamo se quel sorriso sara’ l’unico della giornata, non sappiamo se sara’ stato utile o meno, ma sicuramente avra’ fatto bene anche a noi. Il sorriso si vede anche a distanza, ma fortunatamente e’ contagioso!

THE PAIN TURNED TO ARTIL DOLORE TRASFORMATO IN ARTEsotto troverai il testo in italiano...Despite the fact that Frida's n...
09/03/2020

THE PAIN TURNED TO ART
IL DOLORE TRASFORMATO IN ARTE

sotto troverai il testo in italiano...

Despite the fact that Frida's name is now redundant everywhere, today I thought of her as a great example of female resilience and tenacity. Her example vibrates with strength and her Art has been not only therapeutic, but capable of reaching all of us ....
Frida was born on July 6, 1907, although she later decided that her birthday would coincide with the beginning of the revolution in Mexico in 1910. At the time of her baptism, the priest refused to accept the name chosen with pride by her father (the word Frieda in German means peace) and so on the birth certificate her name is preceded by the names Magdalena and Carmen, acceptable and above all piously Christian. Two names on paper, one name for life.
One day, during a walk with her father, Frida stumbles on the large outcropping roots of a tree and feels terrible pain. The day after, the doctor will diagnose polio. Bedridden for several months, mocked for her shrunken and unsteady leg, invaded by the fear of not being able to walk anymore, she will later tell that that was the day when the real pain entered her body for the first time. On September 17, 1925, when Frida was 18, the bus that was taking her home from school was hit by a tram in the center of Mexico City, on the corner of the San Juan market. In the disaster, Frida is literally impaled by a metal bar.
She underwent at least 32 surgeries, mostly in her spine and right foot. The shattered pelvis will also make it impossible for her to become a mother ... her works tell of numerous spontaneous abortions and therapeutic terminations of pregnancy. This will represent for her one of the greatest pains if it were ever possible to make an exhaustive list of her sufferings, but from the moment
of the accident onwards, pain and strength became the central themes of her existence. Once back home, she was forbidden to sit down. Instinctively she tried to straighten, but then the pain assailed her and she burst into sobs. Deep in boredom and absolute stillness, Frida began to think about what her future would be. It was in one of these days, between boredom and thoughts, that she stole oils from his father and began to paint. The mother made her build a special palette and a large mirror was mounted above her bed.In the solitude of her room and in the solitude of constant pain, little Frida began to paint herself, without imagining that the whole world would become a spectator of all that suffering poured out on the canvas. For these reasons, Frida chose the ways of folkloric art, or popular culture, determined to confirm in all its actions solidarity with the masses and its political fervor for the communist party. In the background of her paintings we can read the contradictions of Mexican culture, a constant tangle of theatricality, blood and joy. The style with which she was deeply connected to popular culture was also revealed in the use of representations in the manner of retablos,
the typical votive paintings mostly dedicated to the holy virgin to thank the escaped danger and depict the salvation.
As Salonia points out, (On Happiness and surroundings, 2011. Jacob'seditor) ex votos are usually clumsy, pathetic in their naive subjectivity, obsessive in the attention to detail and this is because, in the heart of the offerer, they represent trophies about death, they exorcise the nightmare of escaped danger and give the opportunity to tell their sad story. But by adopting this style, Frida makes a brilliant transformation and gives them a new meaning. In many of her works, as when he paints his abortions, she becomes capable of celebrating not the gift received but the missed gift: Frida does not tell her gratitude for a grace received but celebrates the grace of life. It is no coincidence that on her last canvas of '54, she will write, using a blood red, 'VIVA LA VIDA', welcoming the imminent death.

Nonostante il nome di Frida risulti ridondante ormai in ogni dove, oggi ho pensato a lei come grande esempio di resilienza e tenacia al femminile. Il suo esempio vibra di forza e la sua arte e' stata non solo terapeutica, ma capace di arrivare a tutti noi....
Frida nasce il 6 luglio del 1907, sebbene deciderà in seguito che il suo compleanno coinciderà con l'inizio della rivoluzione in Messico nel 1910. Al momento del battesimo il prete si rifiuterà di accettare il nome sceltole con orgoglio dal padre (la parola Frieda in tedesco significa pace) e così sul certificato di nascita il suo nome è preceduto dai nomi Magdalena e Carmen, accettabili e soprattutto piamente cristiani. Due nomi sulla carta, un nome per la vita.
Un giorno, durante una passeggiata col padre, Frida inciampa nelle grosse radici affioranti di un albero e sente un dolore terribile. Il giorno dopo , il medico le diagnosticherà la poliomielite. Costretta a letto per parecchi mesi, derisa per la sua gamba rimpicciolita e malferma, invasa dalla paura di non poter più camminare, racconterà in seguito che quello fu il giorno in cui entrò per la prima volta il vero dolore nel suo corpo. Il 17 settembre del 1925, quando Frida ha 18 anni, l'autobus che da scuola la sta riportando a casa, è investito da un tram nel centro di Città del Messico, all’angolo del mercato di San Juan. Nel disastro Frida rimane letteralmente impalata da una sbarra di metallo.
Subì almeno 32 interventi chirurgici, per lo più alla spina dorsale e al piede destro. Il bacino frantumato le renderà impossibile anche diventare madre… le sue opere raccontano di numerosi aborti spontanei e di interruzioni terapeutiche di gravidanza. Questo rappresenterà per lei uno dei dolori più grandi se mai fosse possibile fare un elenco esaustivo delle sue sofferenze, ma dal momento
dell’incidente in poi, dolore e forza diventarono i temi centrali della sua esistenza. Una volta tornata a casa, le fu proibito di stare seduta. Istintivamente cercava di raddrizzarsi, ma poi il dolore la assaliva e lei scoppiava in singhiozzi. Sprofondata nella noia e nell'immobilità assoluta, Frida cominciò a pensare a quale sarebbe stato il suo futuro. Fu in uno di questi giorni, fra noia e pensieri, che rubò degli oli a suo padre e cominciò a dipingere. La madre le fece costruire una tavolozza speciale e fu montato un grande specchio sopra il suo letto. Nella solitudine della sua stanza e nella solitudine del dolore costante, la piccola Frida cominciò a dipingere se stessa, senza immaginare che il mondo intero sarebbe diventato spettatore di tutta quella sofferenza riversata sulla tela.Per tali ragioni Frida scelse i modi dell’arte folclorica, ovvero della cultura popolare, decisa a confermare in ogni sua azione la solidarietà nei confronti delle masse e il suo fervore politico per il partito comunista. Nello sfondo dei suoi dipinti possiamo leggere le contraddizioni della cultura messicana, un groviglio costante di teatralità, sangue e alègria. Lo stile con cui era profondamente connessa alla cultura popolare si rivelava anche nell’utilizzo di rappresentazioni alla maniera dei retablos,
i tipici quadri votivi perlopiù dedicati alla santa vergine per ringraziare lo scampato pericolo e raffigurare la salvazione. Come sottolinea Salonia, (Sulla Felicità e dintorni, 2011. Il pozzo di Giacobbe editore) gli ex voto sono usualmente sgraziati, patetici nella loro ingenua soggettività, ossessivi nella cura dei particolari e questo perchè, nel cuore dell’offerente, essi rappresentano dei trofei sulla morte, esorcizzano l'incubo dello scampato pericolo e danno l'occasione di narrare la propria triste storia. Ma Frida adottando questo stile, opera una geniale trasformazione e dona loro un nuovo significato. In molte delle sue opere, come quando dipinge i suoi aborti, diventa capace di celebrare non il dono ricevuto ma il dono mancato: Frida non racconta la sua gratitudine per una grazia ricevuta ma festeggia la grazia della vita. Non a caso sulla sua ultima tela del '54, scriverà, usando un rosso sangue, ’VIVA LA VIDA’, dando il benvenuto alla morte imminente.

Indirizzo

Via Saluzzo 121
Piemonte
10125

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