29/03/2025
La nuova miniserie di Netflix "Adolescence" sta suscitando un forte interesse per il modo in cui ha affrontato, in sole quattro puntate, temi complessi legati all’adolescenza. Un thriller che sta sollevando diversi quesiti su un ragazzino di tredici anni che arriva a commettere il più efferato dei crimini: l’omicidio di una coetanea. Potrebbe essere inteso come un racconto neorealistico contemporaneo diverso dal solito. Infatti, i protagonisti non vivono in condizioni disagiate, come spesso vediamo nei film di De Sica o Pasolini, o in quelli più recenti di Garrone o dei fratelli di D’Innocenzo. Stavolta, il fenomeno di delinquenza giovanile (in tal caso britannica) prende vita da un ambiente familiare e sociale apparentemente “normale”. Eppure, se tra una puntata e l’atra, ci muoviamo tra i vari contesti in cui è cresciuto il protagonista Jamie, ci rendiamo conto che la realtà che ci circonda è talmente complessa che il termine “normale” è privo di significato.
L’autore della serie sostiene di essersi ispirato a fatti di cronaca realmente accaduti; difatti, potrebbe trattarsi di un drammatico affresco contemporaneo che offre molti spunti di riflessione dal punto di vista sociopsicopedagogico. Il merito della miniserie diretta da Barantini è quello di far entrare l’osservatore direttamente dentro la scena, sentendosi così coinvolto da chiedersi “Dove stiamo sbagliando con i nostri ragazzi?”. La sorprendente continuità di un unico piano sequenza in ogni puntata contrasta con la frammentazione della narrazione e dell’esperienza interna del protagonista.
Dinanzi a tali eventi, cinematografici o reali, una reazione comune è quella di cercare dei “colpevoli”, forse per dare un senso a quella che Hannah Arendt definiva “la banalità del male”. Gli stessi genitori di Jamie, durante l’ultima puntata si domandano se hanno colpe o meno. La ricerca del colpevole, in realtà, oltre ad essere sterile, rischia di allontanarci dalla possibilità di riparare, ricostruire e prevenire. Dato che la colpa implica un nesso causale diretto, dinanzi a un fenomeno sociale o psicologico (o, in molti casi, biologico) è impossibile stabilire un rapporto di causa-effetto. Per tale motivo, trovandoci in una rete di concause, è preferibile parlare di responsabilità. Dunque, partendo da tale presupposto, farei delle osservazioni sulle possibili responsabilità della famiglia e della società quando accadono eventi tanto drammatici.
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