26/07/2025
A Pisa, il 22 luglio 2025, una guardia giurata ha ucciso la compagna sparandole in casa, per poi togliersi la vita: un femminicidio-suicidio che ha messo drammaticamente fine ad un’altra storia di oppressione e controllo. La vittima viveva da anni un rapporto violento, fatto di gelosia, controllo e possesso: non poteva uscire, lavorare o vivere con dignità la propria autonomia.
Vittime di questo anche i figli, spesso invisibili in situazioni di violenza.
Visto l'ennesimo femminicidio pensiamo sia legittimo porci la seguente domanda: servono davvero pene più severe per fermare questa violenza? La risposta è, purtroppo, no.
L’inasprimento delle sanzioni non previene la violenza psicologica, la violenza economica né tantomeno il paradigma culturale radicato che rafforza la sopraffazione maschile. La violenza sulle donne, come più volte sottolineato, è il frutto di una cultura patriarcale che considera la donna proprietà e che ne legittima il possesso, piuttosto che considerarla persona libera e pari negli affetti e nei diritti. Inutile quindi, o di per sé non sufficiente, alzare la soglia delle pene se a queste non è accompagnato un intervento sulla mentalità ed i comportamenti maschili.
Serve un cambiamento strutturale e profondo: non solo intervenire mediante leggi ma lavorare su maschi e uomini, educarli alla responsabilità affettiva, al rispetto, all’empatia, ripensare alla mascolinità. Non basta punire la violenza dopo che accade: è necessario interromperla prima, prevenendo le dinamiche di potere, il rispetto nei confronti dell'altr* e l’idea che la gelosia sia amore.
Non serve una giustizia più dura: servono società e uomini capaci di trasformare e ripensare le relazioni intime e il ruolo genitoriale.