17/09/2025
Una denuncia ai Carabinieri. Quindici segnalazioni. Anni di richieste di aiuto. Eppure Paolo, 15 anni, è morto suicida dopo un calvario di bullismo che lo ha perseguitato fin da bambino.
Non possiamo più permettere che segnalazioni come queste cadano nel vuoto. Ogni episodio ignorato, ogni minimizzazione, ogni volta che un adulto “volta lo sguardo” diventa un pezzo di responsabilità che pesa sulle spalle delle istituzioni, della scuola, della comunità intera.
Il bullismo non è mai “ragazzata”.
È violenza psicologica e fisica che lascia ferite profonde, a volte irreversibili. Chi tormenta un coetaneo percepito come fragile non lo fa “per scherzo”: manifesta già una struttura di personalità gravemente disturbata.
E allora le domande non devono porsene solo le famiglie delle vittime. Devono porsene — e molto serie — anche i genitori dei bulli.
Perché se un figlio si diverte a perseguitare un altro ragazzo perché percepito come più vulnerabile , quel figlio non è semplicemente “esuberante” ma è un predatore in formazione.
Queste tragedie si possono e si devono evitare. Ma serve ascoltare, intervenire, assumersi responsabilità, senza scaricare il problema né sulle vittime né sul caso.
Il problema non è solo di chi subisce. È soprattutto di chi cresce i bulli e li lascia diventare carnefici.