08/11/2025
Ho visto una rappresentazione teatrale che mi ha profondamente colpito. Sarà perché si tratta di un lavoro autobiografico, fatto sta che le mie antenne di psicodrammatista si sono drizzate e hanno vibrato proprio forte.
Il mio sguardo ha visto Io ausiliari, Doppi, e Soliloqui fino ad un Surplus di Realtà, sperato e desiderato.
L'opera d'arte teatrale, secondo il mio punto di vista, si valuta anche dietro le quinte.
Diventa un'Opera quando ogni interprete partecipa intimamente e con passione all'idea del suo maestro e quando questi sa rispettare il potenziale di ognuno di loro.
Non è vero che l'emozione non ha voce e chi ha ha avuto la fortuna di vedere 𝙄𝙡 𝙂𝙞𝙖𝙧𝙙𝙞𝙣𝙤 𝙂𝙞𝙖𝙥𝙥𝙤𝙣𝙚𝙨𝙚 di Crescenzo Autieri lo sa.
Sulla scena è protagonista il non detto e l'indicibile.
Una rappresentazione potentissima nell'assolvere alla principale funzione del teatro, quella di servirsi delle parole per tradurre e trasmettere emozioni.
Autieri sembra conoscere tutti i codici per svolgere questo lavoro di paziente traduzione e trasmissione. Al pari i suoi attori, seri, impegnati, fieri di appartenere alla famiglia del Teatro Burlesque .
Una messa in copione autobiografica senza dubbio terapeutica non solo per il pubblico fruitore ma anche per l'uomo "Enzuccio" che ripercorre a più riprese il suo romanzo familiare in presenza e in effigie, attraverso i suoi diversi Sé, bambino, adolescente, adulto.
Enzo uomo alle prese con una Nuvola dimenticata (la creatività, la spinta vitale), messa da parte, provocatrice salvifica che gli restituisce il senso di un nuovo punto di partenza dopo la tregua che il dolore umano impone, un vero e proprio 'punto di sutura' tra passato, presente e futuro e sullo sfondo la speranza di un sogno sempre vivo.
Una morale comune e auspicabile: coltivare e mai perdere di vista il proprio "Giardino Giapponese", il luogo del sogno, del progetto, dell'identità personale spogliata dell'eredità sociale spesso ingombrante, stridente, dolorosa.
È necessario fare il lutto del bisogno per accedere al proprio desiderio e guardarlo in faccia, stringergli le mani e accoglierlo secondo forme personali e uniche.
Radici e ali a più riprese in scena.
Ma sempre Ali che restituiscono valore alle Radici.
Che bellezza.
Touchè.