22/10/2025
Nella morte, la mente abbandona il corpo vuoto della fruizione e cade in una sorta di oblio, con una completa perdita di ogni memoria o coscienza, per un periodo di circa tre giorni.
La mente rimane in questo stato di oblio finché la coscienza non si risveglia e inizia a proiettare una miriade di apparenze illusorie, tutte credute reali, così come noi crediamo reale questa attuale apparenza fenomenica.
Le apparenze che si manifestano nello stato intermedio dopo la morte ( paesaggi, ambienti, intere città, e così via ) e le intense esperienze sensoriali di piacere, dolore, paura, eccetera, sono tutte proiezioni che il corpo mentale del bardo crede reali.
Allo stesso modo in cui il corpo pienamente maturato della vita di veglia e il corpo abituale dello stato di sogno sperimentano la realtà attraverso l’illusione, anche l’esperienza del bardo è solo una mera proiezione mentale, priva di una propria natura, priva di realtà intrinseca.
Riconoscendo che la natura della mente è vuota di ogni esistenza sostanziale, si deve concludere che l’autoconcettualizzazione, in quanto tale, è non prodotta e non creata. Tutte le apparenze, essendo mere proiezioni mentali che sorgono dalla mente ( che è in essenza vacuità ) sono anch’esse non prodotte e non create.
Questa visione, questo riconoscimento, è di per sé la bodhicitta assoluta.
Nel vedere che tutti gli esseri senzienti non riconoscono la propria natura illusoria né l’insostanzialità di tutte le apparenze, si riconosce che questi esseri si aggrappano falsamente alle apparenze, credendo che i loro corpi siano reali.
È evidente che l’attaccamento alla realtà insostanziale sia del corpo sia dei fenomeni conduce a un’esperienza di intensa sofferenza.
Nel comprendere che tutti gli esseri senzienti non riconoscono la bodhicitta ultima e rimangono imprigionati nell’attaccamento a una realtà illusoria, non possiamo che far sorgere una compassione infinita.
Avere compassione per tutti gli esseri senzienti, sia dal punto di vista assoluto che da quello relativo, significa unire la compassione al riconoscimento della vacuità, come due mani che, lavorando insieme, si aiutano a vicenda.
È attraverso questi mezzi ( il riconoscimento della vacuità e una compassione incommensurabile ) che i bodhisattva acquisiscono il merito dei mezzi abili e la saggezza necessaria per raggiungere l’illuminazione.
— Kalu Rinpoche, “Gently Whispered”