25/11/2025
L’intolleranza terapeutica di cui parlava Ivan Illich negli anni ’80 si sta riversando non tanto su categorie sociali emarginate ed escluse, quanto direttamente sui bambini e sulle bambine.
L’utilizzo delle categorie psichiatriche per definire la loro presunta normalità ha una precisa implicazione culturale e narcisistica: devono equipararsi al più presto, rapidamente e senza mezzi termini agli standard adulti, dimenticandosi di gongolare o dilettare nella condizione infantile, vista ormai come un momento sostanzialmente inutile e poco produttivo.
L’attacco al pensiero magico infantile, di cui aveva così nitidamente e scientificamente parlato il grande Jean Piaget, viene quindi visto come componente trasgressiva piuttosto che come elemento costitutivo dell’infanzia e che ne stabilisce una precisa e netta limitazione.
Il caso più eclatante è la scomparsa dell’amico immaginario che fino alla fine degli anni ’80, secondo gli studi di Tilde Giani Gallino, era presente nel 70% dei bambini e delle bambine fino ai 7 anni.
Ciò appare come l’elemento inequivocabilmente più significativo dell’intolleranza terapeutica, accompagnato dalla scomparsa negli anni ’80 del gruppo spontaneo dei bambini, su cui il grande Nikolaas Tinbergen lanciava un furibondo grido d’allarme: la struttura basilare della vita infantile, il gruppo spontaneo che aveva accompagnato questa età per millenni, rischiava di scomparire, come poi è avvenuto, e ciò avrebbe causato profondi danni, allora ancora sconosciuti.
Le conseguenze di queste due operazioni di intolleranza e di presunto risanamento dei comportamenti infantili sono sotto gli occhi di tutti e tutte, con un aumento vertiginoso delle neuro-diagnosi, delle etichette neurodiagnostiche e, complessivamente, di una sorta di alienazione dell’infanzia dalle caratteristiche peculiari della propria vita: il gioco spontaneo, la socialità spontanea e il rapporto diretto, sensoriale e ontologicamente totalizzante con la natura.
di Daniele Novara