16/09/2025
Il linguaggio ci interroga e ci cura.
Man mano che il tempo passa credo sempre di più nel valore della teoria del doppio legame sviluppata dall’antropologo e cibernetico Gregory Bateson.
L’ultima arrivata a rafforzare questa mia “fede” è stata Han Kang, premio Nobel per la letteratura del 2024, che in un suo breve scritto tradotto recentemente (Nella notte più buia il linguaggio ci chiede di cosa siamo fatti, Adelphi, 2025), racconta un episodio relativo alla genesi di un suo romanzo: una perfetta descrizione della teoria batesoniana in azione.
Ricordo brevemente che il doppio legame (detto anche doppio vincolo) è un concetto psicologico, teorizzato da Gregory Bateson e dai suoi colleghi negli anni ’50, per spiegare le origini della schizofrenia e utilizzato in seguito nella cosiddetta scuola di Palo Alto.
In origine il doppio legame si riferiva a una situazione in cui la comunicazione tra due individui, uniti da una relazione emotivamente forte, presentava un disaccoppiamento tra il livello verbale (quello che viene detto a parole) e quello non verbale (gesti, atteggiamenti, tono di voce, ecc.).
Le osservazioni erano quindi rivolte a quelle situazioni tali per cui il ricevente del messaggio, non riuscendo a decifrarlo, si sottraeva al dialogo e, successivamente, ad altre situazioni analoghe che potevano portare a questa (per lui problematica) impasse.
Come esempio Bateson riportava l’episodio di una madre e un figlio emotivamente provati per un lungo periodo di distacco. Il figlio, in un gesto d’affetto, tenta di abbracciare la madre, la quale si irrigidisce; il figlio a questo punto si ritrae, al che la madre gli dice: “Non devi aver paura di esprimere i tuoi sentimenti” o “Sii spontaneo!”.
A livello di comunicazione implicita, con l’irrigidimento, la madre esprimeva un rifiuto per il gesto d’affetto del figlio, mentre a livello di comunicazione verbale, la madre negava di essere la responsabile dell’allontanamento, alludendo al fatto che il figlio si ritraesse non perché intimorito dalla sua reazione “fredda”, ma perché bloccato da sue proprie difficoltà.
In una situazione di questo tipo il figlio, colpevolizzato, si trova impossibilitato a rispondere e si allontana sempre di più da una… risposta.
Questa e analoghe situazioni (non solo famigliari) raccontano l’incapacità di valutare correttamente i legami tra comunicazione esplicita e comunicazione implicita.
Non credo di dover sottolineare il fatto che oggi più che mai viviamo, tutti – noi individui, ma anche noi come società – immersi in situazioni da doppio legame, primo perché la comunicazione e i suoi canali sono cresciuti a dismisura attraverso i social e secondo perché in un attimo quello che si dice o meno potrebbe “irrigidirci”. O, viceversa, quello che ci irrigidisce potrebbe essere contraddetto da quello che si dice.
In questo “pesante librino” Han Kang, nel descrivere la genesi di un suo romanzo, rappresenta secondo me il disagio prodotto da questo tipo di situazioni alle quali siamo quotidianamente esposti in quanto specie umana.
Come si può continuare ad abbracciare il mondo se il mondo si irrigidisce?
Il librino della Kang è un testo breve, ma denso ,una riflessione sulla parola, sulla fragilità, sull’umanità che resiste.
In un tempo in cui la comunicazione è spesso manipolazione, slogan, rumore, propaganda, Han Kang ci ricorda che la parola può ancora essere un luogo di verità.
Un luogo dove abitare insieme, anche nella notte più buia.