Psicologia quotidiana Francesca Cardini

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03/12/2025

Analizziamo dal punto di vista comunicativo questo commento, piuttosto tipico, di chi rimpiange la violenza sui bambini con l'idea di "educarli".

Il commento non si limita a esprimere un’opinione sull’educazione: è costruito su un tono aggressivo, svalutante e carico di disprezzo. L’attacco ai “metodi moderni”, agli psicologi e ai bambini di oggi non serve ad argomentare, ma a riaffermare una posizione identitaria: “io so come si educa, voi no”.
L’aggressività si vede nei marcatori linguistici: “idiozia”, “futuri idioti”, “modernismo del c***”.
Il disprezzo è diretto verso più categorie contemporaneamente: bambini, insegnanti, psicologi, genitori moderni. Quando un messaggio ha questo livello di svalutazione trasversale, il punto non è più il contenuto, ma il bisogno di stabilire una posizione di superiorità.

È piuttosto indicativo di chi è cresciuto esattamente subendo questo tipo di "educazione" e vi ha reagito identificandosi con l'aggressore come forma di difesa dalla vergogna e dalla paura tipici dei bambini che hanno subito aggressioni dai genitori.

Il disprezzo è l’emozione che più di tutte segnala un vissuto di minaccia al proprio senso di competenza e controllo: di nuovo, è uno dei probabili degli esiti (nonunico ovviamente) di chi da bambino ha subito sulla sua pelle esperienze di umiliazione o di minaccia provenienti da chi invece aveva il ruolo di guida.

L’insistenza sulla “gerarchia” e sul “bimbo che imparava a stare al suo posto” mostra un modello educativo basato su obbedienza forzata, non su regolazione:
→ La forza viene reinterpretata come ordine.
→ Il dialogo viene reinterpretato come debolezza.
→ La complessità delle relazioni viene ridotta a caos.

Quando la realtà educativa attuale non si incastra in questa visione, la risposta è la svalutazione:
“Se le cose vanno male, è colpa vostra, dei vostri metodi”.

L’aggressività non elimina le fallacie argomentative, anzi le amplifica, qui troviamo le classiche:

Appello alla tradizione: “prima si picchiava, quindi funzionava”.

Falsa correlazione: punizioni fisiche → bambini “educati”; psicologia → caos.

Ad hominem: attacco agli psicologi invece che agli argomenti.

Bias della nostalgia: passato idealizzato, presente catastrofizzato.

L’aggressività diventa un collante “emotivo”: rende l’argomentazione più dura, ma anche più fragile sul piano logico.

Sotto il contenuto esplicito (“si deve punire”), il messaggio implicito sembra essere:
→ “La mia identità di adulto competente dipende dal controllo che ho sul bambino.”
→ “Modelli educativi non gerarchici mi mettono a disagio.”
→ “L’idea che l’autorità possa essere autorevole e non violenta non la riconosco come valida.”

Il disprezzo, quindi, funziona come una difesa: se scredito tutto ciò che non capisco o che mi mette in discussione, non devo confrontarmi con l’idea che esistano alternative più complesse e meno basate sulla forza.

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