05/05/2018
La mia vita, la nostra vita... Anni indimenticabili, gioie, dolori.....sofferenza che difficilmente si dimentica...
"All’inizio sembrano piccole e innocue dimenticanze. Quelle cose che capitano un po’ a tutti: non ricordare dove abbiamo messo le chiavi o altri oggetti di uso comune, scordarci per un po’ il nome di una persona conosciuta.
All’inizio sembra solo di vivere un periodo difficile, in cui si è più irritabili del solito, più pedanti forse. Più suscettibili verso le critiche o più propensi a vivere come tali quelle che sono solo osservazioni neutrali.
Qualche volta i primi segni sembrano solo un periodo di stanchezza, una sorta di nebbiolina di indifferenza che avvolge la mente e intorpidisce le azioni. E invece cominciano a poco a poco a spegnersi le stelle nel cielo.
Le dimenticanze si fanno sempre più frequenti e coinvolgono via via aree sempre più vaste del nostro agire. Cominciamo a non ricordare più cose che sapevamo alla perfezione ma soprattutto dimentichiamo facilmente le ultime cose che impariamo o che conosciamo.
Ogni tanto ci voltiamo a guardare qualcuno e l’angoscia ci pervade: sappiamo di conoscere la persona che ci sta accanto ma non riusciamo a ricordare chi è. Lentamente spariscono fette di mondo. Le strade diventano ignote, passeggiando per le vie del nostro quartiere ci coglie d’un tratto un profondo smarrimento perché non sappiamo più come rientrare a casa.
All’inizio ciò capita per pochi attimi e poi tutto torna normale. Chi ci sta accanto ai nostri occhi torna ad essere di nuovo nostra figlia o nostro figlio, nostro marito o moglie. I percorsi cittadini ritornano noti e familiari. Solo uno spavento e via. Poi però tali esperienze divengono sempre più frequenti.
Le nostre mani cominciano a non rispondere più come un tempo. Anche la sequenza di movimenti diventa strana, bizzarra, incompleta e ingarbugliata. Azioni banali diventano difficili, invertiamo o stravolgiamo l’ordine temporale delle azioni rendendole di fatto inutili. Non ricordiamo più come allacciare le scarpe, come infilare il bottone nell’asola. Non sappiamo più come fare il caffè perché non ricordiamo in che ordine svolgere le azioni.
Alcune dimenticanze divengono pericolose: lasciamo una pentola sul fuoco e ne bruciamo il contenuto. Lasciamo aperti il rubinetto del gas, dell’acqua, la porta di casa.
Ci sfuggono le parole. Guardiamo un oggetto, una persona, un animale e non ricordiamo il nome. Cominciamo a scavare con ansia nel cervello per trovare quella parola, ma alla fine riusciamo solo a usare parole generiche, frasi descrittive, fino a reagire con un silenzio imbambolato e assente.
Poi non riconoscere oggetti e persone comincia a diventare sempre più frequente. A quel punto non è solo il nome che scappa via, ma anche la forma, la natura stessa di ciò che abbiamo davanti agli occhi.
Perdiamo il senso del tempo, cominciamo a non ricordare più in che anno siamo, in che mese, perfino in che stagione dell’anno, nonostante la temperatura teoricamente dovrebbe darci delle indicazioni.
Prendiamo in mano una penna e la nostra scrittura diventa incerta, tremolante e ampia, incapace di seguire una direzione netta.
La paranoia si impossessa di noi, ci rende intrattabili, aggressivi. La perdita delle nostre abituali luci interiori ci sconvolge al punto da cambiare il nostro carattere e il nostro modo consueto di reagire agli avvenimenti. Anche persone dolcissime cominciano a usare parole offensive o turpiloquio, gridano senza motivo, aggrediscono i propri cari a volte con una forza insospettata.
Nella confusione che si genera, tutto va a gambe all’aria. Anche i nostri consueti ritmi. Ci si alza durante la notte convinti che sia mattino. Si dorme di giorno. Si chiede cibo in orari bizzarri e lo si rifiuta durante i pasti. La nostra mente diventa a poco a poco un cielo in cui esistono ormai poche chiazze di stelle separate da ampie zone buie. Ci aggrappiamo disperatamente a quelle poche stelle e cerchiamo di ricostruire gli spazi mancanti. Poche isole di ricordi vengono collegate da pure invenzioni che però per noi diventano a loro volta ricordi veri e propri.
Ci sentiamo piccoli, indifesi, fragili. Chiamiamo la mamma, vogliamo tornare fra le sue braccia e scappiamo dalla nostra casa per cercare di raggiungere quella dei nostri genitori. Che ovviamente non ci sono più da tanti anni. Quando un figlio ci trova e ci riaccompagna alla nostra abitazione, piangiamo, gridiamo e spesso lo aggrediamo . Non possiamo vedere la pena nei suoi occhi perché anche quella nostra stella è ormai troppo flebile.
Chi ci sta vicino è confuso, spaventato, ferito, spesso offeso. Vede trasformarsi sotto ai suoi occhi la persona che ama, stravolgere lentamente – a volte neppure tanto – il proprio modo di essere e di agire, vede spegnere in lui o in lei via via tante funzioni della sua vita, lo stesso carattere e le capacità affettive della persona amata sono stravolte.
La persona forte e decisa che abbiamo conosciuto, quel pezzo di roccia, caposaldo della famiglia non è più lui, non è più nostro padre. Non può più trovare le parole adatte e sagge per indirizzarci verso la soluzione o l’accettazione di un problema, non possiamo più chiedergli consiglio e aiuto. Quella persona che sapeva fare di tutto, che aggiustava qualunque cosa ora non sa più vestirsi né farsi la doccia da solo.
Colei che ci ha accudito negli anni della scuola, a volte anche con severità, la donna che ci preparava da mangiare, consolava le nostre lacrime, rimproverava le nostre mancanze e ci ha instradato alla vita, ora si è trasformata in un essere bizzarro e imprevedibile, dallo sguardo vacuo e spento. Non riconosciamo più nostro padre o nostra madre. Si trasforma progressivamente nel fisico, negli atteggiamenti ma soprattutto la sua stessa anima sembra andar via pezzo a pezzo, lasciando in quel corpo solo una vita biologica.
L’Alzheimer è una malattia devastante, sia per l’individuo che ne è affetto che per coloro che lo circondano. Fra tutte le forme di demenza è quella che maggiormente stravolge le caratteristiche individuali per arrivare a spegnerle progressivamente e a lasciare il cielo completamente vuoto e buio. Non ha cure, se non delle terapie palliative che a volte ne rallentano il decorso ma non sono in grado di arrestarlo. Qualche volta con i farmaci si può contrastare l’aggressività del malato, alcune stranezze comportamentali, ripristinare almeno in parte i ritmi del sonno.
Tuttavia accudire una persona affetta da Alzheimer è un impegno assai gravoso e fonte di infinite sofferenze. Si è costretti a controllare il malato praticamente 24 ore al giorno perché non metta in atto comportamenti pericolosi. Si è costretti a vedere che lentamente del nostro caro non rimarrà altro che un guscio vuoto e fragile. Non sempre i familiari riescono ad accollarsi un peso così grande e spesso sono costretti ad affidare ad istituti specializzati il proprio parente, attirandosi frequentemente feroci critiche da parte di chi non sa e non vuole capire.
E a poco a poco arriva il momento in cui anche l’ultima stella si spegne e anche quel guscio vuoto smette di esistere."
Nessuno di noi è esente dalla sofferenza, dal dolore e dalla malattia. Credo che tener presente questa realtà possa contribuire a renderci più umani e condividerla possa aiutare a capire che non si è soli, anche altri vivono esperienze simili.
Pensando te che mi hai lasciato quel 4 maggio di quattro anni fa ma che in fondo sei sempre rimasta con me.