04/11/2025
📌 RIFLETTIAMO su questo post
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Una lama di trenta centimetri conficcata nella schiena. In pieno giorno. In mezzo alla gente.
Una donna — Anna Laura Valsecchi — colpita senza motivo, alle nove del mattino, in una delle zone più frequentate di Milano. È viva solo per miracolo, ma si trova in condizioni gravissime.
L’aggressore ha un nome e una storia che parla da sé. Vincenzo Lanni, 59 anni, uomo solitario, introverso, privo di legami, con una personalità profondamente distorta.
Già dieci anni fa aveva accoltellato due persone e confessato di voler uccidere donne come “vendetta” per la frustrazione di una vita che giudicava fallimentare.
Non aveva amici, non aveva una compagna, non era seguito da alcun servizio psichiatrico.
Era semplicemente lì, un potenziale killer in attesa di un’occasione.
Questa è la dinamica tipica di una mente malata, incapace di assumersi la responsabilità della propria esistenza, pronta a riversare sugli altri — anche perfetti sconosciuti — la colpa del proprio fallimento.
È il segno inconfondibile di una personalità disturbata, che trasforma la rabbia, l’umiliazione e l’odio verso sé stesso in violenza cieca verso il mondo esterno.
Un copione già scritto, già visto, già segnalato. Eppure ignorato.
Quante altre volte dovremo leggere la stessa storia per intero?
Quanti altri “solitari” con la mente compromessa dovranno tornare a colpire prima che si comprenda che la prevenzione psichiatrica non è un lusso, ma una necessità di sicurezza pubblica?
Non parliamo di disagio generico, ma di soggetti che mostrano da anni segnali inequivocabili di pericolosità, che vivono in una distorsione cognitiva totale, incapaci di riconoscere il confine tra realtà e frustrazione personale.
Persone che devono essere intercettate, curate, monitorate e – se necessario – contenute in strutture adeguate anche contro la loro volontà.
Questa ennesima aggressione non è una fatalità.
È il risultato diretto di un sistema che osserva, registra e dimentica, lasciando circolare soggetti ad alto rischio psichiatrico come se nulla fosse.
E ogni volta, a pagare, è una vittima innocente.
È tempo di cambiare paradigma.
Non possiamo più limitarci a raccogliere i cocci dopo il sangue.
Servono leggi, strutture, percorsi obbligatori di cura e monitoraggio.
Perché la follia non curata non scompare: si trasforma, e colpisce.
AUTRICE del post: Roberta Bruzzone - Psicologa Criminologa