19/08/2025
LA CINQUECENTO BLU: IL CORAGGIO DI PARTIRE, LA BELLEZZA DI RESTARE.
In certi pomeriggi d’agosto, l’aria di montagna ha un sapore speciale: quello delle attese che si compiono e degli incontri che lasciano il segno.
A Gambarie, tra il verde dell’Aspromonte e il profumo resinoso dei pini, la letteratura si è fatta ponte di solidarietà, unendo storie di carta e storie di vita vera. È in questo scenario, sospeso tra frescura estiva e calore umano, che si è svolta la presentazione de "La Cinquecento Blu", un romanzo che racconta la Calabria con occhi innamorati e feriti, e che al tempo stesso ha voluto tendere una mano concreta a chi affronta il tratto più fragile e prezioso del cammino.
In una splendida cornice agostana, avvolta dalla brezza fresca dell’Aspromonte, l’Hotel Centrale di Gambarie ha ospitato la presentazione del libro "La Cinquecento Blu" del prefetto e scrittore Franco Musolino.
La sala, calda di presenze e di attesa, si è riempita di volti attenti, strette di mano e sguardi curiosi, uniti dal desiderio di ascoltare storie che sanno di vita vera. Dopo i saluti e le presentazioni del dott. Alfredo Vadalà, presidente dell’Accademia Aspromontana della Cultura, la conduzione è passata al dottor Eduardo Lamberti-Castronuovo, che ha guidato i diversi momenti della serata con la consueta passione e vivacità. Accanto a loro il prof. Stefano Iatì, che ha curato la recensione dell’opera, e il sig. Nicola Saggese, presidente dell’Associazione di Volontariato "Amici dell’Hospice di Reggio Calabria", in rappresentanza dell’Hospice “Via delle Stelle”.
È stato quindi lo stesso autore, Franco Musolino, ad aprire il cuore del suo romanzo, con la voce calma di chi sa di parlare di una storia che gli appartiene profondamente. Non si è limitato a raccontare la trama, ma ha invitato il pubblico a entrare con lui nei luoghi e nei ricordi che hanno dato forma al libro. Ha evocato le strade polverose dell’Aspromonte, il rumore lontano del mare, l’odore acre della legna bruciata nelle sere d’inverno, le feste di paese dove le musiche popolari si mescolavano ai sussurri della gente.
Con ironia e commozione, Musolino ha sottolineato come "La Cinquecento Blu" sia, per lui, un atto d’amore verso la Calabria: una terra aspra e luminosa, capace di bellezza struggente, ma segnata da ombre antiche. Ha spiegato che, nel romanzo, la ’ndrangheta non è un elemento spettacolare, ma una presenza silenziosa, quasi invisibile, che però plasma le vite e i destini, condizionando anche ciò che dovrebbe restare puro, come l’amore.
L’autore ha raccontato di aver scelto "la cinquecento blu” come simbolo di libertà e di sogno, “un piccolo guscio di latta” che negli anni Sessanta permetteva di varcare confini non solo geografici, ma soprattutto interiori. Ha sorriso ricordando che quell’auto, piccola e apparentemente fragile, era in realtà capace di grandi viaggi: un po’ come le persone che, pur con mezzi semplici, hanno il coraggio di inseguire ciò che amano.
Musolino ha insistito sul valore evocativo di quell’auto: non un dettaglio di colore, ma un filo conduttore della vicenda. Negli anni Sessanta la Cinquecento non era soltanto un mezzo di trasporto: rappresentava il desiderio di riscatto di un’intera generazione, la possibilità di spingersi oltre il perimetro del proprio paese, di sognare un futuro diverso. Nella tinta blu, che richiama il mare e il cielo dell’Aspromonte, si riflettono la profondità e l’inquietudine di un tempo di cambiamento, con le sue luci e le sue ombre.
Diventa così la custode silenziosa di attese e di speranze: accompagna i protagonisti nei loro incontri, li protegge nei silenzi, li conduce lontano dalle paure. Ogni curva della montagna, ogni strada polverosa percorsa con quel piccolo motore che ronza, diventa una metafora del viaggio interiore che ciascuno di noi è chiamato a compiere, tra sogni, ostacoli e imprevisti.
E forse è proprio questo il senso più profondo della Cinquecento blu: ricordarci che la libertà non ha bisogno di grandi mezzi o di scenari grandiosi, ma della capacità di partire, di mettersi in cammino, anche con poco, anche con quello che si ha. Perché ciò che conta davvero non è la cilindrata del motore, ma la forza del desiderio che ci abita.
Dopo l’intervento dell’autore, il presidente Nicola Saggese ha portato i saluti del dott. Vincenzo Nociti, presidente della Fondazione “Via delle Stelle” e di tutto lo staff della Fondazione e dell'Hospice. Un ringraziamento sentito é stato rivolto agli organizzatori ed al pubblico presente perché appuntamenti come questo, che ogni anno coniugano cultura e solidarietà, permettono di far conoscere da vicino la realtà delle Cure Palliative e di sostenere concretamente un servizio che restituisce dignità e umanità al tempo della fragilità.
Ha poi tracciato, con parole semplici ma profonde, la figura del volontario in cure palliative: una presenza silenziosa, capace di stare accanto senza invadere, di offrire ascolto e vicinanza nei momenti più delicati della vita. Non porta soluzioni, ma tempo e cuore, modulando il passo su quello di chi affronta l’ultimo tratto del cammino.
Quando abbiamo iniziato – ha ricordato – eravamo pochissimi volontari, ci potevamo contare sulle dita di una mano, a portare avanti il nostro progetto. Oggi possiamo contare su una squadra di circa venti persone, tutte animate dalla stessa passione e dallo stesso impegno verso i nostri ospiti e le loro famiglie. Negli ultimi mesi abbiamo formato quattordici nuovi volontari, che hanno completato il loro percorso teorico e pratico e sono già operativi all’interno della nostra associazione».
L’hospice, ha proseguito Saggese, non è solo una struttura di cura: è un crocevia di vite, di storie che si intrecciano nel tratto finale del cammino. Un luogo in cui l’umanità, fragile e potente, si rivela con disarmante sincerità.
In questo spazio così particolare, il volontario non porta soluzioni: porta presenza. Non offre risposte, ma ascolto. Non cura con farmaci, ma con sguardi, parole semplici, silenzi rispettosi. Il suo compito non è salvare, ma accompagnare. Stare accanto, restare, esserci. Senza pretendere nulla. Senza voler cambiare il corso degli eventi. Solo per condividere un tratto di strada, spesso il più faticoso, ma anche il più vero.
Essere volontario in cure palliative significa scegliere di abitare una soglia: quella tra la vita e la morte, tra la parola e il silenzio, tra la paura e il conforto. È una scelta controcorrente, in una società che rifugge la sofferenza, che rimuove la morte, che teme la fragilità. Ma proprio qui sta la sua forza: nell’andare là dove molti non vogliono andare, e nel farlo con umiltà, delicatezza, rispetto.
Non servono competenze straordinarie per diventare volontari in hospice. Servono attenzione, ascolto, disponibilità. Serve la capacità di accogliere l’altro per quello che è, nel punto esatto in cui si trova, senza giudicarlo, senza voler consolare a tutti i costi. Serve la volontà di esserci anche quando non si sa cosa dire. Di restare anche quando il dolore sembra troppo grande. Di custodire ciò che accade, con discrezione e rispetto.
Chi svolge servizio in cure palliative scopre quanto sia necessario restituire umanità ai momenti più duri della vita. Là dove tutto sembra ridursi a numeri, parametri, terapie, il volontario ricorda che c’è una persona, unica e irripetibile, che ha ancora bisogno di essere guardata negli occhi. Che ha ancora qualcosa da dire, da raccontare, da sentire. Che ha bisogno di qualcuno che non si tiri indietro.
In hospice si impara a custodire anche ciò che non si comprende subito, a lasciare spazi di sospensione, a non dire tutto, a non dire troppo,
A non ferire mai.
Essere volontari in cure palliative significa modulare il proprio passo su quello dell'altro. E soprattutto significa sapere che la parola, se non non è accompagnata dalla cura, può diventare pietra.
E qui non servono pietre.
Servono mani.
Servono silenzi buoni.
Serve la disponibilità a rallentare insieme, a sostare, a non voler avere l'ultima parola.
E allora sì, il volontariato in cure palliative è una forma altissima di servizio. Ma, prima ancora, è un modo di vivere la propria umanità fino in fondo — ricordando che, a volte, il dono più grande che possiamo fare è semplicemente esserci.
La serata si è chiusa in un clima di gratitudine e di condivisione. Non solo per le emozioni suscitate dal romanzo, ma anche per il gesto concreto di generosità: l’intero ricavato della vendita del libro è stato devoluto all’Hospice “Via delle Stelle”, luogo in cui ogni giorno si coltivano ascolto, cura e dignità. Così, tra le pagine di un romanzo e le strade di un borgo d’Aspromonte, la letteratura ha incontrato la solidarietà, trasformando una serata d’agosto in un viaggio condiviso: quello verso un’umanità più attenta, capace di riconoscere valore tanto nelle storie scritte, quanto in quelle vissute.
SN
Vincenzo Nociti Francesca Arvino Ines Barbera Anna Tiziano mercuri Barbera mercuri Maria Assunta Catanese Giovanna Toscano Rosanna Squillaci Nicola Saggese macri Costantino Francesca Amorini Francesco Nocera Francesco Bagnato Valentina Rognetta mallamace Irene Polimeni cutrupi Garofano Angela Milella @ Francesco Nocera Francesco Bagnato Valentina Rognetta Marzia Costantino mallamace Irene Polimeni Garofano Angela Milella cortese Donatella Scopelliti Bagala'