04/12/2020
Ogni tanto è utile puntare i piedi ed esprimere una propria posizione forte. Si chiama etica.
Ciao! Stiamo lentamente per uscire dalla pausa "estiva" che ci eravamo presə, ritorneremo a gennaio con alcune novità 🔜
Nel frattempo pubblichiamo un contributo di Angelo Toso - Psicologo, che ci parla del ruolo di personaggi come Marco Crepaldi nel campo della psicoterapia, e di come quest'ultima venga utilizzata in modo strumentale contro il femminismo.
Marco Crepaldi, tra giudizi e colpe
di Angelo Toso - Psicologo
Due premesse.
1) Chi scrive ha venduto la sua anima alle scienze psicologiche. Chiunque mi conosce sa che Freud, Skinner, Vigotskij, Bowlby e tanti altri autori sono stati i miei punti di riferimento per tanto tempo.
2) Chi scrive fa parte anche di quella parte di maschi bianchi etero che vengono da una posizione di privilegio e che avendo per vie traverse sviluppato una coscienza politica, devono farci i conti, in un modo o nell'altro.
Queste premesse sono utili per spiegare come mai devo addentrarmi in un argomento spinoso e non proprio a me congeniale: i parlare di chi strumentalizza i saperi clinici ed empirici per farne una pappa omogeneizzata, al fine non solo di far passare una posizione ideologica come scienza, ma anche di evitare il confronto con il suo privilegio.
Non voglio dilungarmi nello spiegare che anche il nostro privilegio ha un prezzo, che gli uomini sono minoranza nelle professioni di cura, che l'impronta educativa del maschio è ancora basata su modelli incredibilmente competitivi e sulla colpevolizzazione del fallimento e che questo fallimento viene punito duramente dalla società. È importante, a mio avviso, sottolineare che questo prezzo deriva dal nostro voler a tutti i costi ancora occupare una posizione egemone.
Vorrei però mostrare come il tema del giudizio e della colpevolizzazione siano temi pesanti per chiunque cerchi sistematicamente di eludere il confronto con il femminile e come questi temi vengano usati molto spesso solo per indicare dei nemici.
Nel mondo di Marco Crepaldi i nemici sono tanti, ci sono i genitori colpevoli di pretendere troppo dai figli, c'è la scuola che concorre alla loro alienazione, ci sono gli psicologi incompetenti incapaci di comprendere realmente il fenomeno hikikomori. Ma nel mondo di Marco Crepaldi c'è soprattutto il femminismo incarnato in una sorta di mostro spaventoso che esclude gli uomini e demonizza le loro potenzialità.
Quello che sta facendo Crepaldi fuoriesce dal ruolo di tutela della salute mentale e promozione del benessere psicologico e diventa creatore di un immaginario. Un immaginario semplice, e anche un po' infantile, in cui essere portatori di un disagio significa essere vittime di qualcuno. Da un punto di vista etico, trovo che questa posizione danneggi in primo luogo proprio le persone che vorrebbe tutelare, e che per questo motivo sia inaccettabile.
Chi viene da una scuola psicologica di matrice relazionale sa o almeno sceglie di credere che il sintomo esprima una domanda e che la relazione di cura fa si che questa domanda possa mettere in contatto l'individuo con il mondo.
Questo è un punto di divergenza fondamentale tra il professionista e il dilettante ed è uno dei prerequisiti etici del voler davvero aiutare le persone: non importa quanto traumatica possa essere la tua storia, quanto sofferente sia la tua mente, quanto alienante sia il tuo contesto di vita, io devo credere in te e nel fatto che hai o avrai gli strumenti per migliorare la tua condizione.
E per farlo non posso giudicare la tua persona né indicare quali sono i tuoi nemici: sei tu a doverli scegliere nel tuo pieno diritto. Con scegliere i propri nemici intendo posizionarsi, costruire attivamente la propria identità sociale e mettere il proprio pensiero in opposizione a quello di un altro. Ok, qualcuno dirà: "e se arrivasse veramente un ragazzo socialmente isolato a dirti che il femminismo è la causa dei suoi problemi? Lui ha già scelto i suoi nemici, come la mettiamo?"
Nella relazione di cura chi porta la sua domanda in forma di sofferenza porta anche i suoi giudizi, le sue posizioni e le sue passioni, e chi risponde sospende il suo giudizio, mette in luce le sue posizioni e placa le sue passioni. Perché il vissuto altrui è sempre valido, ma c'è una forte differenza tra comprendere e giustificare, tra indirizzare e giudicare e tra formare e consigliare: è in questo divario che si gioca la nostra professionalità. Esserne consapevoli è il primo passo per aiutare veramente chi ci sta di fronte, perché ci aiuta a comprendere il suo vissuto, a separarlo dal nostro e a capire entrambi che la realtà è qualcosa di più complesso.
Crepaldi questo aspetto fondamentale del lavoro di cura non lo ha ancora compreso.