Dott.ssa Corradin Ilenia Psicologa E Psicoterapeuta

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07/11/2025

Nel 1962, una donna proveniente da una piccola città della Georgia entrò in un mondo che non la voleva — e lo cambiò per sempre.
Si chiamava Nona Gaprindashvili, e in un’epoca in cui gli scacchi erano considerati un regno esclusivamente maschile, lei ribaltò la scacchiera.

Fu la prima donna nella storia a ottenere il titolo di Grande Maestro Internazionale, un riconoscimento fino ad allora riservato solo agli uomini.
Aveva appena ventun anni.
In un mondo che le diceva “non puoi”, rispondeva muovendo un pedone.
E poi uno dopo l’altro — scacco matto.

Vinse cinque titoli mondiali consecutivi.
Affrontò e sconfisse 59 uomini, tra cui 28 Grandi Maestri.
Non chiedeva rispetto: lo conquistava.

Nata a Zugdidi, in Georgia, cresciuta tra povertà e disciplina, Nona imparò presto che il vero gioco non si svolgeva sulla scacchiera, ma nella testa.
“Non ho paura di nessuno,” diceva.
E non bluffava.
Nel 1978 rifiutò persino di partecipare a un torneo mondiale perché le fu negato il permesso di portare con sé il figlio.
Era madre, campionessa e ribelle — tutto insieme.

Poi, nel 2020, Netflix lanciò La regina degli scacchi.
Il mondo applaudì la storia di Beth Harmon, la geniale e tormentata giocatrice inventata per la serie.
Ma nella finzione, c’era un insulto che Nona non poté ignorare:
un dialogo in cui un personaggio affermava che “la Gaprindashvili non si era mai confrontata con uomini.”

Una menzogna assoluta.

Aveva affrontato e battuto decine di avversari maschi quando la maggior parte delle donne non era nemmeno ammessa ai tornei.
Aveva fatto la storia, e ora veniva cancellata da una frase scritta in una sceneggiatura.

Così, a 80 anni, Nona decise di muovere ancora una volta la prima mossa.
Portò Netflix in tribunale.
Accusò la piattaforma di diffamazione e chiese 5 milioni di dollari di risarcimento.

Era una partita diversa — non più sui 64 quadrati, ma davanti a un giudice.
E anche stavolta, vinse.
Netflix fu costretta a riconoscere l’errore, a risarcirla e a scusarsi pubblicamente.

Un colpo magistrale.
Un ultimo scacco matto.

Oggi Nona Gaprindashvili ha 83 anni, e continua a giocare, a insegnare, a ispirare.
Nel 2019, a 79 anni, ha vinto il Campionato del mondo senior a squadre.
Nessuna finzione. Nessun copione. Solo fatti.

Beth Harmon non è mai esistita.
Nona sì.
E la sua storia non ha bisogno di essere romanzata —
perché è già leggenda.

07/11/2025

Aveva 73 anni quando prese per mano un gruppo di bambini. Bambini con dita mancanti, occhi spenti dalla polvere, corpi piccoli e curvi come vecchi. E li guidò per oltre duecento chilometri, a piedi, sotto il sole di luglio, fino alla porta del Presidente degli Stati Uniti.

I cartelli che portavano dicevano: «Vogliamo andare a scuola, non in miniera.»

Era il 1903. Mentre l’America si riempiva di palazzi d’oro, i bambini lavoravano. Lavoravano in miniera, nelle fabbriche, nei campi. A cinque anni, infilati tra le macchine, le mani ancora troppo piccole per reggere gli attrezzi. Perdevano dita, vista, schiena. Morivano sotto i crolli, dentro gli incendi, senza neppure un nome sui giornali. Era normale. Era l’economia.

Poi arrivò lei.

Mary Harris Jones. Tutti la chiamavano Mother Jones. Nessun titolo, nessun ruolo ufficiale. Solo una donna che aveva perso tutto. Era nata in Irlanda, emigrata negli Stati Uniti. Aveva insegnato, cucito, cresciuto quattro figli. Ma nel 1867, nel giro di una settimana, la febbre gialla le portò via marito e figli. Aveva trent’anni. Ricominciò. Ma nel 1871 p***e di nuovo tutto nel grande incendio di Chicago.

Quella volta non ricominciò.

Scelse di lottare.

Entrò nel movimento operaio, e per sessant’anni fu ovunque ci fossero lavoratori da difendere. Scioperi, miniere, assemblee. Parlava alla gente con parole semplici e con una voce che non tremava mai. Non aveva paura di nulla, diceva. E tutti, dai padroni di fabbrica ai politici, la temevano.

Ma furono i bambini delle filature a spezzarle il cuore. Avevano sei, sette anni. Lavoravano tredici ore al giorno. Respiravano polvere, perdevano le mani nelle macchine. Erano troppo stanchi per giocare. Troppo piegati per crescere.

Allora organizzò una marcia. Scelse una data, raccolse i bambini, preparò i cartelli. Da Philadelphia a Oyster Bay, la residenza estiva del Presidente Roosevelt. Più di duecento chilometri. Ci vollero tre settimane.

Ogni giorno camminava accanto a loro. Parlava alle f***e. Mostrava le mani ferite dei bambini. Raccontava le ore passate al buio, il rumore assordante delle fabbriche, il silenzio delle infanzie rubate. Diceva: «Guardateli. Dovrebbero essere a scuola. E invece perdono le dita per cucire le vostre camicie.»

I giornali iniziarono a parlare di loro. Le fotografie mostrarono bambini con bende sulle mani, corpi minuscoli e spenti, volti che non somigliavano a nessun gioco. L’America vide. E per la prima volta non poté far finta di niente.

Quando arrivarono davanti alla casa del Presidente, lui si rifiutò di riceverli. Il cancello restò chiuso. Ma ormai il seme era piantato. La marcia non cambiò tutto in un giorno. Ma cambiò qualcosa. La gente cominciò a chiedere. A dubitare. A vedere.

La legge che mise fine al lavoro minorile sarebbe arrivata solo 35 anni dopo. Ma molti dei bambini che avevano marciato con lei vissero abbastanza per vederla. Per sedersi in un banco di scuola. Per sentire che qualcuno, una volta, aveva camminato al loro fianco per dire al mondo che non erano solo manodopera.

Mother Jones continuò a lottare per altri vent’anni. Fu arrestata, espulsa da interi Stati, minacciata. Ma tornava sempre.

Morì a 93 anni. Non aveva mai smesso.

Perché quando perdi tutto, hai due scelte. Spegnerti.
O camminare.
E lei scelse di camminare con chi nessuno voleva vedere.
Perché i bambini non sono fatti per le fabbriche.
Sono fatti per vivere.

Viaggio nella Storia

𝐿𝑎 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑎 𝑠𝑖 𝑏𝑎𝑠𝑎 𝑠𝑢𝑙𝑙𝑎 𝑚𝑎𝑟𝑐𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙 1903 𝑔𝑢𝑖𝑑𝑎𝑡𝑎 𝑑𝑎 𝑀𝑜𝑡ℎ𝑒𝑟 𝐽𝑜𝑛𝑒𝑠, 𝑎𝑙𝑐𝑢𝑛𝑖 𝑑𝑒𝑡𝑡𝑎𝑔𝑙𝑖 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑖𝑠𝑝𝑖𝑟𝑎𝑡𝑖 𝑎 𝑡𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑎𝑛𝑧𝑒 𝑑𝑒𝑙𝑙’𝑒𝑝𝑜𝑐𝑎 𝑒 𝑎𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑢𝑎 𝑎𝑢𝑡𝑜𝑏𝑖𝑜𝑔𝑟𝑎𝑓𝑖𝑎

31/10/2025

Lo sapete, io amo l’ombra come amo la luce.
Perché esistano la bellezza del volto,
la chiarezza del discorso,
la bontà e fermezza del carattere,
l’ombra è necessaria quanto la luce.
Esse non sono avversarie,
anzi si tengono amorevolmente per mano,
e quando la luce scompare,
l’ombra le scivola dietro.

-Friedrich Nietzsche-

𝑩𝒖𝒐𝒏𝒂 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒂𝒕𝒂 𝑨𝒏𝒊𝒎𝒆 𝒅𝒊 𝒍𝒖𝒄𝒆 𝒆 𝒐𝒎𝒃𝒓𝒂 🖤🏵️☕

31/10/2025

«Non potete almeno mettere tra noi una donna sana di mente?»
La supplica disperata arrivava da una paziente del manicomio femminile di Blackwell’s Island.
Non sapeva che quella donna dall’aria calma e lucida non era una paziente, ma una giornalista: Nellie Bly.

Era il 1887. A New York correvano voci terribili sui manicomi: abusi, violenze, donne scomparse per sempre dietro porte chiuse. Ma erano solo voci. Nessuna prova, nessun testimone.
A soli 23 anni, Nellie Bly decise di scoprirlo con i propri occhi: fingersi pazza, farsi internare e raccontare la verità.

Con l’appoggio del suo editore, Joseph Pulitzer, mise in scena la follia. Bastarono poche ore di comportamenti strani perché un giudice la dichiarasse malata di mente. Il 25 settembre 1887 fu rinchiusa a Blackwell’s Island.

Da quel momento smise di recitare. Parlava chiaramente, ragionava lucidamente. Non importava: una volta dentro, eri pazzo per sempre.

Quello che scoprì era peggio di qualsiasi voce.
Oltre 1.600 donne rinchiuse: povere, immigrate che non parlavano inglese, mogli scomode, ragazze stuprate considerate “rovinate”. Non malate, ma scartate dalla società.

Le condizioni erano disumane: bagni gelidi usati come punizione, cibo marcio, ratti ovunque. Le infermiere picchiavano e legavano le pazienti, ridicolizzandole e lasciandole senza cure.

Per dieci giorni Nellie sopportò tutto: freddo, fame, violenze. In silenzio memorizzava ogni dettaglio.
Il 4 ottobre fu liberata grazie a un avvocato del giornale. Cinque giorni dopo il New York World pubblicò il suo reportage: “Dieci giorni in un manicomio”.

Lo scandalo fu enorme. Un’inchiesta ufficiale confermò ogni parola. New York stanziò un milione di dollari per riformare gli istituti: più controlli, più diritti, più dignità. Alcune donne furono liberate, altre finalmente curate.

Il libro rese Nellie Bly famosa in tutta America e diede vita al giornalismo investigativo sotto copertura.
Due anni dopo avrebbe compiuto un’altra impresa: il giro del mondo in 72 giorni.

Ma la sua eredità più grande restano quei dieci giorni che cambiarono per sempre la storia della salute mentale.

Aveva 23 anni.
Finse la pazzia. Sopportò l’inferno.
E trasformò il dolore di 1.600 donne in giustizia.

Perché dimostrò che una sola persona, con il coraggio di rischiare tutto, può cambiare il mondo.

31/10/2025

Nel 1910, all’interno delle mura fredde e spente di un manicomio in Germania, una donna decise di non arrendersi.
Si chiamava Katharina Detzel. Era stata rinchiusa da anni, isolata dal mondo, privata di ogni contatto umano, di ogni sguardo, di ogni voce gentile.
Un nome archiviato, una vita sospesa.
Ma qualcosa, dentro di lei, non si spense mai.

In quel vuoto opprimente, Katharina prese una decisione silenziosa e coraggiosa: con la sola paglia del suo materasso, creò un uomo.
Non una bambola, non un gioco. Un uomo di paglia, a grandezza naturale.
Non lo fece per romanticismo, ma per bisogno. Per sopravvivere alla solitudine, per non impazzire davvero.
Per ricordare che esisteva.

Per gli infermieri, quel gesto fu subito classificato come un ulteriore segno della follia.
Ma in realtà era tutto il contrario.
Katharina non stava cedendo all’oscurità.
Stava lottando contro di essa.
Creare quell’uomo era il suo modo per non scomparire del tutto, per sentirsi ancora viva, ancora degna di essere ascoltata, abbracciata, vista.

Il suo atto non fu un sintomo. Fu un atto di resistenza.
Un atto di umanità.
Un sussurro contro il silenzio che la inghiottiva ogni giorno.

Decenni dopo, la sua storia è riemersa.
E con essa, una fotografia inquietante e potente.
L’immagine di quell’uomo di paglia, creato con mani stanche ma ancora piene di speranza.
Non era solo una figura. Era una dichiarazione. Un grido trattenuto. Una preghiera muta.

Perché anche nell’angolo più oscuro del dolore umano, il desiderio di essere visti, toccati, amati… non muore mai.

𝗩𝗶𝗮𝗴𝗴𝗶𝗼 𝗻𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗦𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮

29/10/2025

Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona porta l’altra a mettere in dubbio le proprie percezioni, emozioni o ricordi.
È un processo relazionale graduale, che può manifestarsi in ambito affettivo, familiare, amicale o professionale.

Le principali conseguenze del gaslighting includono:
• confusione e perdita di fiducia in sé
• senso di colpa e vergogna immotivati
• dipendenza emotiva
• isolamento e difficoltà nel chiedere supporto

Comprendere queste dinamiche è fondamentale per riconoscere la portata psicologica del fenomeno e superare la visione riduttiva della manipolazione come semplice conflitto relazionale.
Interventi psicologici mirati, orientati alla consapevolezza e al rafforzamento dell’autonomia personale, sono efficaci per ristabilire fiducia e benessere.

28/10/2025

Jessica aveva chiesto aiuto.

Aveva denunciato, aveva fatto tutto ciò che una donna dovrebbe fare per salvarsi.
Eppure è morta, sotto le coltellate di un uomo che la legge aveva già fermato.
Fermato sì, ma solo a metà.

Perché un braccialetto elettronico non cura la rabbia.
Non ferma il possesso.
Non educa chi pensa che l’altro gli appartenga.

Serve un sistema che controlli chi fa del male, non chi cerca di salvarsi.
Serve che ogni uomo che esercita violenza venga obbligato a un percorso di responsabilizzazione e trattamento psicologico, fin da subito, non quando è troppo tardi.
Serve che lo Stato capisca che la tutela non è un foglio firmato, ma un percorso umano, fatto di protezione, di presa in carico, di presenza.

La tecnologia non basta.
Serve una cultura che insegni a perdere senza distruggere, a separarsi senza annientare, ad accettare un “no” senza trasformarlo in una condanna.

Finché continueremo a proteggere solo chi denuncia, senza curare chi agisce violenza, continueremo a contare le vittime.
Perché il problema non sono le donne che denunciano, ma gli uomini che non cambiano.

Non serve più dire “mai più”.
Serve dire “da ora in poi” e cominciare dagli uomini.

23/10/2025

La cura di sé è un atto di libertà.
Essere autentici, anche quando non si è compresi, è la più alta forma di fedeltà a se stessi.
Chi non teme di mostrarsi per ciò che è, non ha più bisogno dell’approvazione altrui.

18/10/2025

E aggiungo…da anni lavoro dentro questi scenari, li studio, li analizzo e li documento in aula di giustizia davanti ai giudici.

Ecco perché lo dico chiaramente: non denunciare non significa “non voler uscire”, significa essere intrappolate in una gabbia psicologica costruita con metodo e precisione chirurgica da chi esercita il controllo.

Dietro ogni donna che non denuncia c’è una strategia manipolatoria strutturata, un percorso fatto di annientamento progressivo dell’identità, di isolamento relazionale, di distruzione della percezione di sé e del proprio valore.

La vittima arriva a credere che non possa sopravvivere senza il suo carnefice, che non verrà creduta, che sarà punita se osa parlare.

È la dipendenza traumatica, un legame tossico che funziona come una sostanza e alterna fasi di violenza a momenti di pseudo-tenerezza, che generano confusione, ambivalenza e paralisi decisionale.

Questo è ciò che noi operatori del settore — psicologi, criminologi, forze dell’ordine, sanitari, assistenti sociali — conosciamo perfettamente.

Non è un mistero, è letteratura scientifica consolidata, è esperienza quotidiana.

E allora mi domando, anzi domando a voce alta:
com’è possibile che ancora oggi, nel 2025, davanti a una donna che arriva al pronto soccorso o in un consultorio con i segni evidenti di una coercizione psicologica o fisica, non scatti automaticamente il Codice Rosso?
Com’è possibile che, di fronte a chi trova il coraggio di chiedere aiuto — anche senza formalizzare una denuncia, come spesso accade nelle prime fasi di disvelamento — nessuno muova un dito, nessuno attivi una segnalazione, nessuno costruisca una rete di protezione immediata?

Non ci sono scuse, non esiste l’alibi dell’ignoranza perché queste dinamiche sono note, studiate, insegnate nei corsi di formazione, presenti nei protocolli.

Chi lavora nei distretti sanitari, negli ospedali, nei consultori sa benissimo che una donna che arriva spaventata, esitante, con un linguaggio frammentato e una narrazione confusa, non è una donna poco chiara, è una donna terrorizzata, una donna manipolata, una donna che sta cercando di sopravvivere.

E allora sì, è inaccettabile — profondamente inaccettabile — leggere che tutti gli indicatori di rischio c’erano, che la situazione era nota, che il Codice Rosso andava attivato, e scoprire invece che non è stato fatto nulla.
Nulla.
Nemmeno un tentativo di protezione minima.

È ora di finirla con le omissioni camuffate da burocrazia.
Quando una donna chiede aiuto, anche solo con gli occhi, quel momento è il punto di svolta.

Se lo perdiamo, la perdiamo.

E a quel punto, nessuna relazione, nessun verbale, nessun convegno, nessuna panchina, nessuna fisccolata potrà restituirle la vita che abbiamo lasciato che il suo carnefice le strappasse via.

18/10/2025

Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.

C.Pavese

23/09/2025

Essere spirituali non significa essere sempre buoni o positivi, ma essere autentici. La vera spiritualità include tutte le emozioni umane, anche quelle che spesso vengono considerate "negative", come rabbia o paura. Non si tratta di negare ciò che si prova, ma di accogliere ogni emozione con consapevolezza e radicamento nel proprio corpo e nella propria interiorità.

La spiritualità non è un allontanamento dalla realtà terrena, ma un’esperienza incarnata, vissuta nel corpo e nelle sensazioni. Essere spirituali vuol dire anche permettersi di sentire tutto ciò che si muove dentro di noi, senza colpevolizzarsi o giudicarsi.

Negare le proprie emozioni o reprimere parti di sé porta sofferenza; solo accogliendo e integrando ogni aspetto della nostra esperienza, luce e ombra, possiamo sentirci davvero completi e in equilibrio. Questa è la spiritualità autentica: vivere pienamente e con verità ciò che siamo.
🔺️

21/09/2025

Il grande Fabrizio De André ❤️

Indirizzo

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Reggio Nell Emilia
42123

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Lunedì 09:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00
Sabato 09:00 - 12:00

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