Dott.ssa Simona Longo Psicologa Psicoterapeuta

Dott.ssa Simona Longo Psicologa Psicoterapeuta Psicologa clinica
Psicoterapeuta sistemica integrata

25/11/2025

Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, scegliamo di rivolgere l’attenzione a un elemento decisivo e spesso sottovalutato: il linguaggio.
Le scienze psicologiche e sociali mostrano con chiarezza che le parole non sono un semplice strumento descrittivo: influenzano la percezione della violenza, la possibilità di riconoscerla e le strategie per contrastarla.

Esistono espressioni che spostano la responsabilità dalla condotta dell’autore alla condizione della vittima:
«perché non se n’è andata?», «avrebbe dovuto denunciare», «ma com’era vestita?», «stava al gioco».
Queste frasi ignorano dinamiche strutturate e ampiamente documentate: paura, controllo, isolamento, dipendenza emotiva ed economica.

Altre narrazioni giustificano la violenza:
«era stressato», «ha perso la testa», «non era in sé», «era un brutto momento».
Altre ancora la patologizzano impropriamente:
«un raptus», «un blackout», «un impulso incontrollabile».
La letteratura scientifica è chiara: la violenza non è improvvisa, ma segue pattern, escalation e segnali precoci.

Esistono poi le narrazioni che romanticizzano l’abuso:
«amava troppo», «la passione lo ha travolto», «era accecato dall’amore».
E quelle che minimizzano:
«sono litigi familiari», «sono cose che succedono», «un momento di stress».
Infine, ci sono le espressioni che normalizzano culturalmente:
«è fatto così», «è un uomo all’antica», «un carattere forte», «nelle famiglie capita», «un bravo ragazzo che ha sbagliato».
Sono tutte narrazioni che attenuano la responsabilità e rendono l’abuso socialmente tollerabile.

In questo quadro, il ruolo della politica è determinante.
Le istituzioni non possono limitarsi a “commentare” la violenza: devono costruire narrazioni fondate sulle evidenze scientifiche e non su spiegazioni semplicistiche o pseudo-biologiche.
È particolarmente problematico che rappresentanti del governo affermino che "nel codice genetico dell'uomo c'è una resistenza alla parità dei sessi" o che "Non c'è una correlazione fra l'educazione sessuale nella scuola e una diminuzione delle violenze contro le donne".
Attribuire la violenza, o la disparità di genere, a presunte predisposizioni naturali o inevitabili, non solo non trova alcun riscontro scientifico, ma rischia di legittimare proprio ciò che la ricerca contrasta: l’idea che la violenza sia inscritta nella natura, e non costruita nei contesti culturali e relazionali.

Per chi esercita una funzione pubblica, narrazioni non basate sulle evidenze non sono in alcun modo giustificabili: contraddicono la conoscenza, ostacolano la prevenzione e minano la responsabilità istituzionale.

In una giornata che richiama al dovere collettivo di riconoscere e contrastare la violenza, ribadiamo che la precisione linguistica è parte integrante della prevenzione.
Il modo in cui ne parliamo orienta ciò che consideriamo credibile, ciò che vediamo e ciò che siamo disposti a trasformare.

Contrastare la violenza sulle donne significa anche contrastare le parole che la minimizzano, la romanticizzano, la giustificano o la presentano come inevitabile.
Perché le parole non descrivono soltanto il mondo: contribuiscono a costruirlo.
E un linguaggio fondato su scienza, responsabilità e rigore è già un intervento di tutela.

05/05/2025

𝗟𝗮 𝘁𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗹𝗮 𝗱𝗼𝗿𝗮𝘁𝗮 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗯𝗿𝗮𝘃𝗮 𝗯𝗮𝗺𝗯𝗶𝗻𝗮: 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘁𝗶 𝘀𝗽𝗲𝗴𝗻𝗲 𝗲 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘂𝘀𝗰𝗶𝗿𝗻𝗲

“Sii una brava bambina.”

Ce lo siamo sentite ripetere mille volte.
Sii gentile.
Non alzare la voce.
Non dare fastidio.
Fai felici gli altri.
Non arrabbiarti.
Non chiedere troppo.
Non far vedere quanto vali, non far vedere quanto soffri.

Siamo state educate a compiacere, non a scegliere.
A piacere, non a splendere.
A contenere, non a creare.

E così, da adulte, quel copione invisibile si insinua nella vita:
– in ambito lavorativo, ci autosabotiamo o accettiamo ruoli troppo piccoli per noi;
– nelle relazioni, ci adattiamo, anche quando dentro stiamo urlando;
– nella creatività, rimandiamo, ci censuriamo, ci sentiamo “non pronte”.

Il mito della brava bambina è una prigione con sbarre d’oro.
Apparentemente sicura, ma profondamente castrante.
Ci allontana dalla verità del nostro essere, dal nostro fuoco, dalla missione dell’anima.

⛓️Ma da dove nasce tutto questo?
1. Ferite transgenerazionali e paura del giudizio sociale
I nostri genitori hanno spesso trasmesso l’adattamento come forma di protezione. Ci hanno insegnato a essere “buone” per essere amate, non libere per essere felici.
2. Il ruolo dei genitori custodi inconsapevoli dei condizionamenti sociali: la famiglia ha insegnato a reprimersi per sopravvivere in un sistema che non lascia spazio alla verità del femminile.
3. Famiglie disfunzionali e bisogni negati
Quando una bambina cresce regolando l’umore degli adulti, impara a non disturbare.
A diventare invisibile.
A chiamare amore ciò che è controllo.
4. Modelli culturali e religiosi
Le storie che ascoltiamo, i personaggi che ammiriamo, i ruoli che ci vengono assegnati rinforzano lo stesso messaggio: non farti vedere troppo. Non brillare troppo. Non sentire troppo.
5. Premi per chi si adatta, punizioni per chi osa:
Chi compiace viene amata. Chi si ribella viene isolata. Questo condiziona profondamente la nostra libertà di espressione.
6. Assenza di modelli femminili autentici e potenti
Senza rappresentazioni vere del femminile integro, molte donne crescono senza sapere chi sono. E cercano sé stesse in ruoli che non le rappresentano.

🦋Come si spezza questa catena?
1. Ascolta la tua rabbia. È la voce della tua anima che chiede giustizia.
2. Smetti di giustificarti. Non devi scusarti per esistere.
3. Domandati: sto compiacendo o sto scegliendo?
4. Dai voce alla tua parte selvaggia. La creatività è guarigione.
5. Circondati di spazi e persone che ti permettono di essere tutta te stessa.
6. Ricorda: non sei nata per essere educata. Sei nata per essere vera.

🙋🏼‍♀️E tu, in quale parte della tua vita stai ancora cercando di essere una brava bambina?
Scrivilo, sentilo, onoralo. È da lì che si inizia il cammino verso casa.

𝓒𝓵𝓪𝓾𝓭𝓲𝓪 𝓒𝓻𝓲𝓼𝓹𝓸𝓵𝓽𝓲

16/09/2024
09/08/2024

L'INCOMPRENSIONE RECIPROCA

G. I. Gurdjieff diceva: "Prima di discutere con qualcuno occorre realizzare fino a che punto quella persona può capire le nostre parole. Il parlare nonostante l'impossibilità di essere compresi dall'altro è sempre una perdita di tempo e di energia. Chi è consapevole, parla solo quando è certo che chi ascolta è in grado di comprendere."

La malcomprensione è la regola tra gli esseri umani. Dalla più piccola lite alla guerra in larga scala. Perché? perché ogni parola assume per ognuno di noi un significato diverso a seconda del proprio vissuto e sopratutto dal livello di coscienza soggettivo. Ecco perché non comprendersi, tra le persone, e' la norma.

Se credete che ogni essere umano debba comprendere le vostre parole o quelle dei Maestri, come arrivano a voi, vi illudete. L'illusione è un fenomeno mentale che ci allontana dalla realtà e dalla sua complessità. La vita segue una sua "logica" che va oltre il nostro concetto di "giusto" e "sbagliato". La vita non è morale e nemmeno immorale ma amorale.

Le nostre credenze sulla realtà non sono la realta' "oggettiva" ma una sua rappresentazione interna delle nostre credenze. Una credenza è un costrutto mentale inserito nella nostra mente dall'esterno. Noi entriamo in conflitto per le credenze che sono spesso più idee che esperienze.

Una persona che, per esempio, non ha mai vissuto l'esperienza dell'amore incondizionato o del perdono potrà parlarne sul piano analitico ma non può sapere di cosa parla se non è passato per quella esperienza. Lo stesso vale per la sessualità, la malattia e il lutto. Come può un prete parlare di sesso senza averlo provato? Come può un terapeuta curare un depresso senza aver mai esperito una depressione?

Esperire vuol dire morire a se stessi… passare attraverso l'esperienza… per andare oltre la logica razionale. Per crescere bisogna morire alle proprie credenze.

Non credete a nessuno, neanche alle parole dei cosiddetti "Maestri" o a quelle che, secondo voi, sono le autorità o si proclamano tali. Non credere neanche a te stesso ma credi solo all'esperienza… nessuno può dirti cosa è giusto o sbagliato e tu non puoi dire a nessuno cosa è giusto o sbagliato.

Decidi cosa è "giusto" o "sbagliato" per te attraverso l'esperienza e prenditi la responsabilità della tua vita ma ricorda che nessuno potrà comprenderti veramente perché siamo sempre soli nella nostra esperienza.

Le parole sono il mezzo con cui comunichiamo anche se ci scontriamo perché utilizziamo termini diversi, secondo noi oggettivi, per dire a volte la stessa cosa. Quello umano è un mondo intersoggettivo e la relazione si basa proprio sulla negoziazione del significato delle parole. E' nella relazione che si costruiscono i significati. Ma la relazione non è fatta solo di parole, anzi le parole spesso ci allontanano.

Le parole dette senza coscienza feriscono, uccidono.

Funzioniamo così: "io ho ragione, secondo i miei schemi mentali, mentre l'altro ha torto perché ha schemi mentali diversi dai miei". Questo fenomeno è amplificato sui social dove ci si irrita, si giudica, si offende l'altro per imporre la propria visione del mondo.

L'Arte, per esempio, nasce all'anima perché usa il linguaggio simbolico che è universale e arriva direttamente al cuore… quella che viene definito "Centro Emotivo Superiore" da Gurdjieff. Senza una comunicazione da cuore a cuore gli esseri umani sono impossibilitati a comunicare.

Dovremmo imparare il valore del silenzio, non per presunzione, ma perché è necessario capire se quello che voglio dire l'altro possa capirlo veramente oppure no.

Ho speso tanto tempo e fiato con persone che pensavo potessero e dovessero capirmi e ho compreso che a sbagliare ero io. Non puoi parlare a chi è sordo e non puoi mostrare il tuo mondo interiore a chi è cieco. Non puoi pretendere che l'altro ti capisca… perché l'altro non è te. L'altro è diverso da te. L'altro non è dentro di te.

Le donne vorrebbero che gli uomini le capissero… gli uomini che le donne li capissero… gli islamici che i cristiani li capissero… i cristiani che gli islamici li capissero… i buddhisti che gli islamici li capissero… è sempre stato così ma niente è mai cambiato.

Chi ha deciso di "svegliarsi" e compiere un lavoro su di sé è pronto per cogliere la verità a seconda dell'impegno che mette nel conoscersi. La Verità non si ottiene volendo avere ragione a tutti i costi e urlandola agi altri ma ascoltando più i silenzi che le parole. Nel silenzio in cui Dio stesso si esprime.

Tiziano Cerulli

31/05/2024

È un grande atto d'amore permettere ai bambini di vivere un problema e lasciare loro lo spazio e il tempo perché piano risolvere in autonomia...

22/03/2024

Il desiderio di «voler fare tutto bene» logora la mente e sottrae gioia di vivere. Oggi iniziamo a concederci una PAUSA dai nostri standard, iniziamo a fare un passo indietro: permettiamoci di sbagliare, di essere fuori posto, di lasciarci andare alle sbavature e, nel mentre, impariamo ad accogliere noi stessi e le emozioni che emergono.

Concediamoci, finalmente, del tempo per conoscerci davvero, per guardarci dentro, per guarire le nostre ferite, perché è sempre così: più grandi sono le ferite che ci portiamo dentro, più grande sarà il bisogno di controllo e perfezione che percepiamo fuori!

22/12/2023

"Sir, ha già scritto la lettera a Babbo Natale?"
"Lloyd, Babbo Natale non esiste"
"Ma esiste ciò che gli potrebbe scrivere, sir"
"Questo non vuol dire che a Natale riceverò quello che ho chiesto"
"Non si preoccupi, sir. Per allora il regalo l'avrà già ricevuto"
"E quale sarebbe, Lloyd?"
"Il coraggio di desiderare, sir"
"Portami carta e penna, Lloyd"
"Con molto piacere, sir"

[Di Lloyd, di sir, di lettere e desideri nelle linee di Iris Biasio - NeroVite ]

21/11/2023

Il clamore giustamente cresciuto intorno alla morte assurda di Giulia ha dato luogo a molte discussioni e proposte. Il rischio che corriamo però è quello di commuoverci e di esaltarci inutilmente se non prendiamo finalmente sul serio, accanto ai fattori di ordine culturale, la psicopatologia all’origine di queste violenze.
Possiamo concretamente affermare, infatti, come psichiatri e come psicoterapeuti che nei casi in cui si arriva o si può arrivare a gesti estremi come il femminicidio, la violenza di genere è borderline quando è impulsiva, non premeditata e seguita da pentimento, narcisista-antisociale quando è decisa lucidamente e lucidamente organizzata e più raramente paranoidea quando si iscrive all’interno di un vero e proprio delirio di gelosia. Quello che l’esperienza ci insegna quotidianamente, però, è che al gesto estremo queste persone arrivano al termine di una sequenza importante di gesti meno gravi che dovrebbero essere letti come segnali importanti di pericolo da parte di chi li subisce. Denunciare, il più presto possibile, è sicuramente fondamentale, dunque, ma quali sono poi in realtà gli effetti della denuncia ?
Nessun dubbio, ovviamente, sul fatto, mille volte verificato, che il tentativo di interrompere definitivamente la relazione e/o la denuncia abbiano effetti non gravi nelle situazioni in cui colui che viene lasciato o denunciato ha un equilibrio sufficiente per valutare le conseguenze di quello che sta facendo. Lasciar perdere accettando il lutto della separazione è sicuramente possibile per molti anche se molti sono quelli che insistono, per un certo tempo, o rendono difficile la separazione, soprattutto se ci sono dei figli : contrattaccando e lanciando altre accuse mentre si difendono da quelle che ricevono di fronte al Giudice, all’interno di vicende giudiziarie collegate alla separazione o al divorzio.
E che cosa accade, tuttavia, nei casi in cui ad essere denunciato è una persona che sta male o molto male ? Letta come prova ulteriore di un rifiuto inaccettabile dal paziente più borderline, come una sfida carica di disprezzo dal paziente più narcisista-antisociale o come una prova ulteriore del complotto da cui si sente perseguitato dal paranoideo, la denuncia e/o il tentativo di interrompere definitivamente il rapporto possono innescare reazioni folli di cui il femminicidio, la strage famigliare o l’omicidio-suicidio sono il tragico epilogo.
Se tutto questo è vero, però, qual è il modo in cui questo tipo di situazioni estreme può essere prevenuto?
Due sono le cose, secondo me, che si potrebbero o dovrebbero fare.
Di fronte ad una denuncia di maltrattamento o di stalkeraggio, prima di tutto, la convocazione separata delle parti da parte della polizia dovrebbe essere immediata e l’incontro dovrebbe essere svolto, come accade oggi già per i minori vittime di violenza, da personale esperto. Quella che dovrebbe essere proposto in quella sede, da subito, è la possibilità di un sostegno psicoterapeutico e rieducativo per il coniuge violento del tipo di quello portato avanti in Belgio, a Bruxelles, Liegi e Lovanio, con finanziamenti dello Stato, dal Collectif contre les violences familiales: con la possibilità, prevista dalla legge belga, per chi lo accetta e lo segue con successo di aprire una mediazione e di ottenere la revoca della denuncia. Quella che dovrebbe essere disposta, in caso di mancata risposta alla convocazione o di evidente difficoltà della persona, d’altra parte, è una valutazione specialistica della pericolosità. Con l’adozione delle misure di sicurezza più opportune e con l’avvio alle cure di cui chi sta male fino al punto di essere pericoloso per se e per gli altri ha bisogno e diritto.
Quello che sto proponendo è evidentemente un modo nuovo e diverso di confrontarsi col problema della violenza di genere e del femminicidio ed io ho ben chiaro che proporre in modo sistematico interventi di questo tipo chiede una riorganizzazione profonda (ma necessaria) degli interventi di Pubblica Sicurezza e del funzionamento dei Centri di Salute Mentale. Difficile non vedere però che interventi di questo tipo darebbero un contributo molto più significativo di tanti altri alla prevenzione di questi crimini che sono sì assurdi ma che sono anche prevedibili ed evitabili. Braccialetti, divieti di avvicinamento e codice rosso servono purtroppo assai poco se usati da soli, nell’attesa di un processo che ha inevitabilmente tempi sempre assai lunghi, nei confronti di persone che stanno davvero male.

Foto
Autore: Università di Pavia
Copyright: MauriRphoto

14/11/2023

“Ciò che conosciamo di noi è solamente una parte, e forse piccolissima, di ciò che siamo a nostra insaputa.”
(Luigi Pirandello)

Indirizzo

Corso Fratelli Cervi
Riccione
47838

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 20:00
Martedì 09:00 - 20:00
Mercoledì 09:00 - 20:00
Giovedì 09:00 - 20:00
Venerdì 09:00 - 20:00
Sabato 09:00 - 20:00

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