Annalisa Mantovan Psicologa

Annalisa Mantovan Psicologa ALICE MILLER Il mio approccio di terapia è collaborativo, empatico e non giudicante.

Psicologa, psicoterapeuta, Terapeuta EMDR
Terapeuta Dipendiamo


Cos’è davvero la dipendenza? È un segno, un segnale, un sintomo di sofferenza.
È un linguaggio che ci parla di un dolore da comprendere. Sono fermamente convinta che la relazione terapeutica possa fornire una base sicura e affidabile entro la quale esplorare i propri vissuti. Come specialista del trauma, offro un trattamento a persone che hanno subito abusi fisici, sessuali e / o emotivi. Psicologa, Psicoterapeuta e Terapeuta E.M.D.R. , CFT e svolgo la mia attività a Roma, in studio e con terapie online. Lavoro con bambini, adolescenti, adulti e il mio obiettivo è aiutare le persone a migliorare il loro benessere emotivo e relazionale.

A volte, dentro l’adulto che si racconta, c’è ancora un bambino che aspetta di sentirsi visto.Ogni bambino ha bisogno di...
20/10/2025

A volte, dentro l’adulto che si racconta, c’è ancora un bambino che aspetta di sentirsi visto.

Ogni bambino ha bisogno di sentirsi visto per ciò che è,
non per ciò che fa per essere accettato.
È un bisogno profondo che non scompare con l’età:
spesso continua a vivere, silenzioso, negli adulti che incontro nel mio lavoro.
Quel bambino interiore ha imparato a modulare la propria presenza
per ottenere amore, riconoscimento o sicurezza.
Ma dentro di lui resta il desiderio autentico
di essere guardato senza dover fare nulla per meritarselo.
Le parole di Alice Miller ci riportano a una verità essenziale:
la qualità dello sguardo con cui siamo stati visti – o non visti –
lascia un’impronta che attraversa la vita.
E riconoscere quella storia
significa restituirle dignità e senso.

Educare significa proteggereTante, troppe volte, ho accolto nella stanza di terapia angosce, paure, vergogna e confusion...
17/10/2025

Educare significa proteggere
Tante, troppe volte, ho accolto nella stanza di terapia angosce, paure, vergogna e confusione.
Nel lavoro clinico con adolescenti emergono spesso racconti di esperienze vissute senza strumenti adeguati per comprenderle pienamente o per orientarsi rispetto a ciò che stava accadendo.
Mi domando: possiamo davvero parlare di consenso in questi casi?
Il consenso, per essere tale, deve essere libero, informato, consapevole e revocabile in ogni momento.
Quando mancano conoscenza, consapevolezza o libertà, non si può parlare di vero consenso.
E, naturalmente, non parliamo solo di emozioni o relazioni.
Molte ragazze e molti ragazzi non dispongono di informazioni adeguate su protezione, contraccezione e prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.
L’assenza di educazione e di confronto apre la strada non solo a relazioni rischiose, ma anche a paura, senso di colpa e isolamento.
Limitare le occasioni di educazione sessuale e affettiva non significa proteggere, ma rischia di lasciare i ragazzi privi di strumenti per affrontare in modo consapevole le relazioni e la propria crescita.
Informare significa proteggere.
Parlare di sessualità, con linguaggi adeguati all’età e in contesti formativi corretti, significa dare ai nostri ragazzi strumenti per riconoscere il rispetto, i confini, il desiderio, la reciprocità e la responsabilità verso sé e verso l’altro.
Non è ideologia.
È prevenzione.
È cura.
È responsabilità educativa.

La violenza contro le donne è un fenomeno complesso e strutturale, radicato nella disuguaglianza di potere tra uomini e ...
07/10/2025

La violenza contro le donne è un fenomeno complesso e strutturale, radicato nella disuguaglianza di potere tra uomini e donne.
Il Libro Bianco sulla violenza maschile contro le donne (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 2024) individua otto forme principali, spesso compresenti e interconnesse.

1. Violenza domestica
Comprende ogni atto di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica all’interno di relazioni affettive o familiari, anche in assenza di convivenza. È caratterizzata da un andamento ciclico (tensione, aggressione, riconciliazione) e mira al controllo della vittima, che spesso resta intrappolata in dinamiche di dipendenza emotiva ed economica.

2. Violenza fisica
Si manifesta attraverso l’uso intenzionale della forza o del potere, provocando lesioni, danni alla salute o morte. Rientrano in questa categoria percosse, spintoni, morsi, bruciature, ferite da taglio, strangolamenti e aggressioni con oggetti o armi. Le conseguenze comprendono anche disturbi cronici e psicologici.

3. Violenza sessuale
Ogni atto sessuale non consensuale, imposto con coercizione fisica o psicologica. Il consenso deve essere libero, chiaro e continuo. Le conseguenze possono includere disturbi post-traumatici, ansia, depressione, perdita di autostima e alterazioni della sfera relazionale.

4. Violenza psicologica
Si esprime attraverso umiliazioni, isolamento, svalutazione, minacce, controllo e manipolazione emotiva. Mira a distruggere l’identità e l’autonomia della vittima, inducendo senso di colpa e dipendenza. È spesso la base su cui si innestano le altre forme di violenza.

5. Violenza economica
Consiste nel controllo o nella privazione delle risorse economiche, nell’impedimento di lavorare o nel sottrarre denaro e beni. Genera dipendenza materiale e limita la capacità della donna di autodeterminarsi.

6. Violenza assistita
Riguarda i figli e le figlie che assistono, direttamente o indirettamente, a episodi di violenza domestica. È riconosciuta come forma autonoma di maltrattamento, con gravi ripercussioni sullo sviluppo cognitivo, emotivo e relazionale dei minori.

7. Cyberviolenza
Comprende le forme di aggressione mediate da strumenti digitali: diffusione non consensuale di immagini intime, minacce online, stalking, molestie o campagne diffamatorie. Provoca danni psicologici, perdita di reputazione e isolamento sociale.

8. Tratta e sfruttamento sessuale
Coinvolge coercizione, privazione della libertà, violenza e sfruttamento a fini sessuali o economici. È una delle forme più estreme e sistematiche di violazione dei diritti umani delle donne.

Fonte:
Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità (2024). Violenza maschile contro le donne. Libro Bianco per la formazione, a cura del Comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio sul fenomeno della violenza nei confronti delle donne e sulla violenza domestica.

Una paziente racconta in terapia:“So che questa relazione mi ferisce, ma se finisse mi sentirei persa. Quando non ricevo...
20/08/2025

Una paziente racconta in terapia:
“So che questa relazione mi ferisce, ma se finisse mi sentirei persa. Quando non ricevo risposta dall’altro, provo un vuoto che mi fa temere di non esistere più”.
Questo vissuto illustra bene la dipendenza affettiva patologica. Come osservano Iannucci e colleghi (2021), in queste relazioni “il partner viene vissuto come un oggetto nutriente esclusivo e sempre a rischio di perdita, mentre il sé è percepito come eternamente bisognoso, incapace di auto-sostenersi”.
La dinamica presenta caratteristiche comuni alle altre forme di dipendenza: la vicinanza dell’altro funziona come ricompensa, la tolleranza cresce (serve sempre più conferma e presenza), e l’assenza scatena vere e proprie crisi di astinenza emotiva.
Per questo, non è raro che la persona resti legata anche in contesti abusanti: “la vittima, pur soffrendo, fatica a interrompere la relazione, poiché l’altro diventa insieme fonte di dolore e unico contenitore del proprio vuoto”.
Il lavoro terapeutico non consiste nel ridurre l’amore, ma nel restituire autonomia e capacità di scelta. Come scrive Villegas (2023): “Non si tratta di imparare ad amare di meno, ma di amare senza annullarsi, camminando verso l’autonomia”.
Solo così è possibile costruire relazioni in cui entrambi possano, come ricorda Perrone (2013), “conservare momenti di solitudine e riflessione senza sentirsi minacciati o abbandonati”.

Ci vuole un coraggio enorme per parlare. E un solo sguardo per far tacere per sempre.Quando un bambino trova la forza di...
06/08/2025

Ci vuole un coraggio enorme per parlare. E un solo sguardo per far tacere per sempre.
Quando un bambino trova la forza di raccontare un abuso, la risposta dell’adulto può cambiare il corso della sua vita.
La letteratura scientifica è chiara:
il primo racconto può essere anche l’unico.
Spesso è frammentato, esitante, confuso. Ma è reale. E fragile.
Perché credere è così importante?
• I bambini parlano quando si sentono al sicuro.
• Lo fanno in modo incerto, testando la reazione dell’adulto.
• Una risposta di paura, dubbio o rabbia può chiudere quella porta per sempre.
• Quando l’adulto nega o minimizza, il bambino spesso si convince che ciò che ha vissuto non sia mai accaduto.
Nella mia esperienza clinica, molte pazienti adulte raccontano di aver cercato, da bambine, di parlare.
Ma di fronte a reazioni adulte spaventate o arrabbiate, hanno taciuto.
Hanno finito per pensare: "Mi sarò sbagliata. Me lo sarò immaginato."
I ricordi riemergono, spesso, quando si diventa madre, o quando l’abusante muore.
È in quei momenti che la psiche riesce, finalmente, a nominare l’esperienza e iniziare a elaborarla.
Credere è un atto clinico. È un atto di cura.
È ciò che può trasformare un dolore taciuto in un percorso di protezione, consapevolezza e guarigione.
Se un bambino parla, è perché si fida.
Non facciamo crollare quella fiducia.

05/08/2025
03/08/2025
A volte non si riesce ad andare via. Nonostante tutto.Non sempre si tratta di relazioni apertamente disfunzionali.A volt...
03/08/2025

A volte non si riesce ad andare via. Nonostante tutto.
Non sempre si tratta di relazioni apertamente disfunzionali.
A volte è più sottile. Si vive in uno stato di allerta emotiva costante, dove l’attenzione all’altro occupa tutto lo spazio interno. Basta un silenzio, un messaggio che non arriva, uno sguardo sfuggente, e si attiva un dolore sproporzionato, ma reale.
Chi attraversa questo tipo di esperienza non si riconosce come “dipendente”.
Spesso si descrive come molto sensibile, molto legata, molto coinvolta.
Eppure, dietro quella intensità, c’è qualcosa che merita attenzione.
Nel mio lavoro clinico incontro spesso donne autonome, lucide, capaci — tranne che nel campo affettivo.
Quando il legame diventa l’unico baricentro possibile, tutto il resto si riduce a sfondo: i propri bisogni, le scelte, persino la percezione di sé.
Non è una fragilità di carattere. È un’organizzazione affettiva costruita nel tempo, spesso fin dall’infanzia, in contesti dove la presenza dell’altro era instabile, condizionata, o imprevedibile.
E in quei contesti, adattarsi ha voluto dire sopravvivere.
La dipendenza affettiva è, prima di tutto, una forma di lealtà.
A un modello relazionale antico, che oggi non serve più — ma che continua a operare, silenziosamente.
Non si supera con la forza di volontà, né con un generico “amati di più”.
Serve tempo. Serve uno spazio sicuro. Serve un lavoro paziente, che non imponga rotture ma accompagni a riconoscere, senza colpa, le proprie strategie di protezione.
La terapia non giudica i legami. Non forza separazioni.
Lavora nel tempo lungo della ricostruzione: restituire alla persona uno spazio interno in cui poter stare, anche senza l’altro.
Rendere possibile un modo di amare in cui la vicinanza non costi ogni volta la perdita di sé.
Nel mio lavoro clinico, continuo a imparare da chi, con coraggio e fatica, prova a stare dentro i propri legami senza perdersi. A loro è dedicata questa riflessione.

Il deficit affettivo alla base delle dipendenze.La madre di tutte le dipendenze? La fame d’amore.Non è il cibo, né la so...
01/08/2025

Il deficit affettivo alla base delle dipendenze.
La madre di tutte le dipendenze? La fame d’amore.

Non è il cibo, né la sostanza, né il lavoro.
Le vere dipendenze iniziano molto prima.
Quando ciò che mancava non era qualcosa, ma qualcuno.
Molti comportamenti compulsivi non sono spinti da un desiderio di piacere, ma dal bisogno disperato di lenire un vuoto affettivo originario.
Come sottolinea la
Maria Chiara Gritti Dipendiamo - Centro per la cura delle New Addiction questa fame d’amore nasce dalla mancata soddisfazione di bisogni primari – protezione, accudimento, ascolto, riconoscimento – in età precoce.
Quando l’ambiente non li accoglie, quel vuoto diventa parte dell’identità.
E la persona, pur non sapendolo, inizia a cercare fuori ciò che è mancato dentro.
Cibo, sostanze, relazioni, tecnologia… diventano tentativi di riempimento.
Soluzioni momentanee a un dolore che non ha parole, ma guida azioni.
Le dipendenze, allora, non sono altro che strategie di sopravvivenza affettiva.
Una lotta silenziosa per sentire, finalmente, di esistere.
Ma nessun “tappo” può nutrire davvero.
Finché quella fame non viene vista, accolta e riconosciuta, continuerà a chiederci qualcosa.
Solo allora potremo smettere di rincorrere sostituti,
e iniziare – davvero – a guarire.

Il panico da abbandono è una risposta emotiva intensa che prende forma quando, in una relazione, percepiamo l’altro come...
01/08/2025

Il panico da abbandono è una risposta emotiva intensa che prende forma quando, in una relazione, percepiamo l’altro come distante, assente o meno coinvolto.
In quei momenti, qualcosa dentro si attiva in modo automatico e travolgente: non si tratta solo di tristezza o paura, ma di un senso di pericolo profondo, che può includere tachicardia, confusione, difficoltà a respirare, bisogno urgente di ristabilire il contatto. Il corpo reagisce come se fosse in gioco la sopravvivenza.
Questo accade perché la separazione attuale va a toccare un vissuto antico: il senso di essere soli, senza protezione, senza qualcuno che ci veda e ci rassicuri. È come se dentro si risvegliasse una parte di noi molto giovane, che non ha ancora imparato a stare da sola, che non conosce alternative alla fusione con l’altro.
Spesso, in queste situazioni, manca uno spazio interno capace di contenere la paura, di calmarla, di metterla in prospettiva. La parte adulta — quella che sa riflettere, rassicurare, decidere — in quei momenti non è accessibile, o è troppo debole per essere di aiuto.
Il panico da abbandono non è segno di fragilità, ma il riflesso di un conflitto interiore profondo tra bisogno di legame e bisogno di autonomia.
La distanza emotiva dell’altro attiva una crisi perché non abbiamo ancora un legame stabile e sicuro con noi stessi.
Nel mio lavoro clinico come psicoterapeuta, all'interno del network Dipendiamo - Centro per la cura delle New Addiction fondato dalla Dott.ssa Maria Chiara Gritti accompagno le persone a esplorare questi vissuti, riconoscerli nella loro origine e costruire nuovi modi per attraversarli — senza esserne più travolti.
Comprendere che il panico ha una radice, un significato e una storia è il primo passo per trasformarlo.

Due ruote, due modi di stare in relazioneCi sono relazioni che si fondano sul rispetto reciproco, e relazioni in cui una...
31/07/2025

Due ruote, due modi di stare in relazione

Ci sono relazioni che si fondano sul rispetto reciproco, e relazioni in cui una persona esercita un controllo sistematico sull’altra.
Nel lavoro clinico con le relazioni disfunzionali, è utile osservare due modelli che sintetizzano queste dinamiche: la ruota del potere e del controllo e la ruota dell’uguaglianza.
La ruota del potere e del controllo descrive i comportamenti attraverso cui un/una partner può esercitare dominio sull’altro/a:
Intimidazione, manipolazione, colpevolizzazione
Isolamento dalla rete familiare o sociale
Uso dei figli come strumento di pressione
Svalutazione sistematica, distorsione della realtà, gaslighting
Controllo economico, decisionale, affettivo
Negazione dell’abuso e inversione delle responsabilità
Questi comportamenti non sono semplici difficoltà comunicative. Sono strategie relazionali disfunzionali e sistemiche, attuate da un/una perpetratore/trice e subite da una vittima.
La violenza non è solo fisica o sessuale: spesso è emotiva, psicologica, economica. Più difficile da riconoscere, ma altrettanto invalidante.

All’opposto, la ruota dell’uguaglianza evidenzia i pilastri delle relazioni sane:
Rispetto e ascolto reciproco
Condivisione delle responsabilità e delle decisioni
Fiducia, trasparenza e supporto
Accoglienza delle differenze e dei bisogni individuali
Cura dei figli come compito comune
Nessun uso del potere per dominare
In una relazione sana, ciascuno può esistere pienamente, sentirsi al sicuro, libero/a di esprimersi e di essere se stesso/a.
Il lavoro psicologico parte da qui: nominare, comprendere, ricostruire.

Indirizzo

Piazza Dei Navigatori 8 Roma
Rome
00147

Orario di apertura

Lunedì 09:00 - 18:00
Martedì 09:00 - 18:00
Mercoledì 09:00 - 18:00
Giovedì 09:00 - 18:00
Venerdì 09:00 - 18:00

Telefono

+390693578998

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Annalisa Mantovan Psicologa pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta Lo Studio

Invia un messaggio a Annalisa Mantovan Psicologa:

Condividi

Share on Facebook Share on Twitter Share on LinkedIn
Share on Pinterest Share on Reddit Share via Email
Share on WhatsApp Share on Instagram Share on Telegram

Digitare