10/07/2021
L’attesa in Ospedale. Tra rabbia e desiderio di accudimento.
La fila agli sportelli prenotazione, gli appuntamenti rimandati a tempi lunghissimi, l’incontro di altri pazienti con il tuo stesso orario, ore passate in sala d’attesa in cui hai l’impressione di essere invisibile. Si sa, in Ospedale si aspetta. Ma qual è il significato dell’attesa?
Ci sono diverse variabili sulle quali varrebbe la pena soffermarsi; a partire da alcuni rapporti di consulenza in contesti ospedalieri, abbiamo colto una differenza interessante su come viene vissuta l’attesa nel rapporto medico-paziente, tra una situazione di richiesta di una nuova diagnosi e una situazione di monitoraggio di una patologia cronica. Ci sembra che queste differenze facciano riferimento a modalità diverse di organizzare un servizio sanitario.
Incontriamo un gruppo di tecnici radiologi. I tecnici ci dicono: “incontriamo persone arrabbiate fuori la porta, che dentro si tranquillizzano”. Immaginiamo la situazione: il personale sanitario tende ad evitare con ogni mezzo lo sguardo delle persone in attesa. Tutto ciò che accade “dentro” è di propria competenza, ciò che c’è “fuori” non è oggetto di interesse né di intervento. Raccontano poi che le persone in attesa, non appena le porte si aprono, assalgono qualsiasi persona esca da lì per chiedere qualcosa.
I pazienti, dal canto loro, cosa pensano? Un reparto di radiologia, la richiesta di un approfondimento diagnostico da parte di uno specialista, l’incertezza, il desiderio di sapere ma anche il suo contrario, accompagnato dalla volontà di non entrare in rapporto alla patologia. Dentro questo sistema di attese e di angosce (legato al rapporto con una potenziale patologia, con un nuovo mondo nemico), si incontra un personale che ostenta indifferenza, sicuramente poco interessato a viversi quella singola relazione – “chissà di quante altre cose più importanti di me si stanno occupando”. Tralasciare il mondo delle attese del paziente, anche se può apparire una cosa scontata, non lo è affatto. Ed ha i suoi costi. Il personale sanitario, nel tentativo di tutelarsi da relazioni difficili, perde l’occasione di bonificare le attese dei pazienti, contribuendo a costruire un contesto insicuro, potenzialmente nemico.
Entriamo nella sala di attesa di un reparto di diabetologia. Le persone ritrovano facce conosciute, si scambiano idee e raccontano come stanno. Alcuni pazienti sono venuti con largo anticipo, hanno tutta la giornata a disposizione. Non c’è fretta. Gli infermieri parlano con i pazienti, si fanno un’idea delle analisi e visite programmate per quel giorno, poi ne parlano con i medici e velocemente definiscono una scaletta di visite, analisi, stampa di documenti, etc.
In questo caso il tempo assume un significato molto diverso dalla prima situazione. Qui i pazienti si sentono accolti in una relazione di accudimento, definitoriamente buona. Come se al cospetto del medico ci si possa sentire finalmente pazienti diabetici, in cui “dar sfogo” alle proprie frustrazioni. Il mondo esterno al contrario non è fatto a propria misura, con lui ci si scontra quotidianamente.
In questo contesto è il medico a soffrire l’attesa! “ma a che ora è venuto T.? E che mi deve racconta stavolta?”. Il paziente ha voglia di parlare con il medico, di dirgli cosa sta succedendo nella sua vita e che ruolo sta avendo il diabete in tutto questo. Il medico lo sa e dà importanza a queste attese, ma spesso non sa come trattarle. Si può sentire invaso, obbligato a sentirsi una “valvola di sfogo”, o quando gli va bene di “educatore”, prima di poter applicare una competenza strettamente diagnostica e terapeutica.
Siamo partiti da due diversi modi di viversi l’attesa in Ospedale, per arrivare a porre un problema più generale: pensiamo che il mondo della cronicità ponga delle criticità molto forti al rapporto medico-paziente, che possono diventare una potenziale risorsa anche nel mondo non-cronico, nel contesto dell’intervento medico sulle acuzie. Che Ospedale sarebbe quello in cui il personale comunica l’interesse ad occuparsi dei pazienti in attesa? Un luogo in cui c’è interesse, si è autorizzati a provare affetti diversi, non legati alla sola soggezione verso il medico o al timore della patologia. Un mondo alla rovescia!