28/10/2025
Non è la prima volta che parlo con una ragazza autolesionista eppure ogni volta sento un pugno nello stomaco nel sentire parole come "a un certo punto ho preso il coltello da cucina, quello grande, e ... (lacrime) mi sono tagliata" e tra i singhiozzi mi dicono che il dolore del taglio era niente in confronto a quello dell'anima, e che la vista del sangue provocava sollievo.
Non giudicare mai una persona che arriva a farsi del male così.
Il suo dolore è insopportabile e urla per farsi sentire, per farsi vedere.
Se hai un figlio adolescente autolesionista non rimproverarlo, ascoltalo.
L’autolesionismo può servire a trasformare un dolore emotivo invisibile in un dolore fisico visibile e concreto.
In quel momento la persona sente di riprendere un minimo di controllo: “almeno questo lo decido io”. Il taglio diventa una valvola per liberare tensione, rabbia, paura o senso di vuoto.
Una 16enne che seguivo anni fa riferiva di sentirsi “intorpidita” e “vuota” a livello emotivo. Il dolore fisico la aiutava a rompere quella sensazione di anestesia, come se permettesse di sentire qualcosa.
Spesso c’è un forte senso di colpa, vergogna o disprezzo di sé. Ferirsi può diventare un modo distorto di “espiare” qualcosa o di dare un corpo al proprio giudice interiore.
Per altri il gesto è un grido silenzioso: non un tentativo di attirare attenzione superficiale, ma un modo estremo di dire “sto male, aiutami” quando non si riescono a trovare le parole o quando in famiglia quelle parole non vengono prese in considerazione.
Se tua figlia, tuo figlio è ripetitivo è il segnale che crede che le sue parole siano inefficaci. Dai peso a ciò che dice. Dai importanza.
Tuo figlio, tua figlia potrebbe aver subito traumi emotivi o relazionali o abusi;
può avere difficoltà a gestire emozioni intense (verifica se negli ultimi tempi in casa sono avvenute situazioni preoccupanti);
può avere scarsa autostima; può sentirsi abbandonato.
So che come genitore soffri nel vederlo così ma è inutile dirgli di non farlo più, è utile invece stare vicino, non giudicare, offrire aiuto incluso la possibilità di parlare con un esperto.
Nei casi che ho seguito sono stati sempre i ragazzi a chiedere ai genitori di poter parlare con qualcuno.
Nel confronto con i colleghi abbiamo sempre visto la remissione del disturbo quando cura, amorevolezza, ascolto, considerazione, complicità venivano fornite in pienezza.