Dott.ssa Francesca Ponziani

Dott.ssa  Francesca Ponziani Psicologa evolutiva e clinica. Opero in campo evolutivo, giuridico e clinico. Target coppie , adolesc visite domiciliari per interventi acuti 100 euro l’ora .

Compensi orari : da 70 a 80 euro l’ora , coppie 90 euro , perizie da valutare caso per caso , sistema familiare 100 euro .. consulenze ad aziende sul danno biologico e ed esistenziale , mobbing da valutare caso per caso .. Nuovo studio Via Sistina 121

17/10/2025

Ieri è stato approvato un emendamento della Lega che vieta l’educazione sessuale e affettiva alle medie, mentre sarà possibile con molte restrizioni alle superiori.
Come possiamo sconfiggere la violenza di genere se abbiamo davanti una politica sorda che decide di non ascoltare.
Una politica che distrugge il lavoro quotidiano che facciamo, senza pensare alle conseguenze.
Ma sopratutto una politica che crea muri dove dovrebbe costruire ponti, e cioè nella scuola.
L’educazione affettiva e sessuale non è una moda passeggera, ma uno strumento essenziale per crescere uomini e donne consapevoli e rispettosi. Vietarla significa alimentare quella cultura dell’odio e della disparità che porta al fenomeno della violenza e nelle situazioni più gravi al femminicidio.
Ancora una volta si sceglie di non investire nel futuro e nelle giovani e nei giovani.
Noi non possiamo accettarlo.
Sappiamo cosa comporta e questo ci spaventa.

17/10/2025

DDL Educazione sessuale e affettiva, vietarla non protegge i giovani: li espone alla disinformazione.

La Presidente del CNOP, Maria Antonietta Gulino, richiama l’attenzione del Legislatore sul valore dell’educazione affettiva e sessuale come tutela della salute psicologica e prevenzione della violenza. In assenza di percorsi educativi adeguati, ragazze e ragazzi rischiano di apprendere modelli disfunzionali e stereotipi dannosi.

La scuola deve restare luogo di conoscenza, dialogo e crescita emotiva, nel rispetto della dignità di ogni persona.

Leggi il comunicato stampa ---> https://www.psy.it/ddl-educazione-affettiva-gulino-cnop-vietarla-significa-esporre-i-giovani-a-disinformazione/

12/10/2025
12/10/2025

I Maneskin di nuovo insieme per una notte, anche se non sul palco. Ieri sera, nella prima delle due date romane al Palasport di Roma del concerto di Damiano David, tra il pubblico sotto palco...

12/10/2025
Provenza
18/08/2025

Provenza

08/08/2025

Sempre più persone si rivolgono all’intelligenza artificiale per ricevere supporto psicologico. Ma come affrontare questo cambiamento in modo consapevole?

«Gli strumenti esistono, le persone li usano. Ha poco senso far finta di niente. Il nostro obiettivo è comprendere come utilizzarli al meglio», afferma la Dottoressa Valentina Di Mattei, Presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, su Il Salvagente.

Il CNOP ha avviato un gruppo di lavoro dedicato che dialoga anche con l'Ordine della Regione Lombardia, per definire linee guida e buone pratiche. L’obiettivo è duplice: cogliere le opportunità, ma anche evidenziare le criticità.

L’IA può rappresentare un primo passo verso la terapia, rendendola più accessibile. Ma non può sostituire la relazione terapeutica. L’elemento umano resta centrale nei percorsi di cura: empatia, presenza, risonanza emotiva sono dimensioni non replicabili da alcuna tecnologia.

🗣«Molti giovani si rivolgono all’intelligenza artificiale perché non si sentono a loro agio in un confronto diretto. Preferiscono un contesto dove sentono di potersi esprimere senza paura di essere giudicati. È comprensibile. Per questo è importante mantenere aperto il dialogo, trovare modi per avvicinare queste persone anche ai servizi tradizionali», ha sottolineato la Dottoressa Di Mattei.

Parallelamente, emerge con forza la necessità di un rafforzamento strutturale del servizio pubblico di salute psicologica, sollecitato da una domanda crescente e trasversale. Il bonus psicologo ha rappresentato un segnale chiaro in questa direzione: una volta rimosse le barriere economiche, moltissime persone si sono rivolte a un supporto professionale.

👉 Il futuro della psicologia passa anche dalla capacità di integrare strumenti innovativi, senza mai perdere di vista il cuore della professione: la relazione.

16/07/2025

Inviato a Stato-Regioni. Focus teenager. 'Molti rinunciano alle cure' (ANSA)

15/07/2025

🔴 AUPI: Piano Nazionale per la Salute Mentale 2025–2030, un’occasione mancata

Il Piano Nazionale per la Salute Mentale 2025–2030 nasce con l’ambizione — almeno nelle intenzioni — di offrire risposte nuove a una società in profonda trasformazione. Avrebbe dovuto rappresentare un punto di svolta, capace di intercettare i bisogni emergenti, orientare la programmazione dei servizi e valorizzare le competenze professionali. Tuttavia, la sua lettura restituisce un quadro confuso, anacronistico e distante dalle reali esigenze della collettività.

Un linguaggio datato e un impianto confuso

Uno dei primi elementi che colpiscono è il linguaggio: vetusto, per certi versi ancora ancorato a una visione psichiatrica degli anni ’70. Si tratta di un lessico che fatica ad abbracciare la complessità della società contemporanea e che, soprattutto, non riconosce in modo pieno e sostanziale il bisogno psicologico come componente centrale del benessere individuale e collettivo.

La struttura del documento presenta inoltre una marcata confusione tra ambiti, ruoli e finalità. Emblematico è il caso della figura dello psicologo di primo livello, introdotto senza una chiara definizione e con tratti che si sovrappongono — ma solo apparentemente — a quelli dello psicologo delle cure primarie. Le differenze sono sostanziali: cambiano i contesti di intervento, cambiano gli obiettivi, e soprattutto cambia l’impostazione di fondo. Nel piano, lo psicologo viene ancora una volta collocato dentro la cornice della salute mentale intesa in senso clinico-psichiatrico, piuttosto che come professionista centrale nelle politiche di prevenzione e promozione della salute.

Un’altra deriva: il sistema sanitario a servizio del sistema giudiziario

Preoccupa, inoltre, un altro aspetto che emerge con crescente frequenza: la tendenza a richiamare il sistema sanitario, e in particolare le professioni psicologiche, a supporto del sistema giudiziario. Così facendo, si crea una pericolosa commistione tra ambiti diversi, in cui luoghi deputati alla prevenzione, come i Consultori, vengono progressivamente trasformati in spazi di gestione di problematiche giuridiche, dove spesso la cura non è nemmeno prevista.

Ancor più grave è il fatto che in questo processo vengano utilizzate risorse economiche e professionali del Servizio Sanitario Nazionale — quindi fondi destinati alla salute dei cittadini — per affrontare problematiche di natura giudiziaria. Un impiego distorto delle risorse pubbliche, in palese contrasto con i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che rischia di privare i cittadini di prestazioni realmente sanitarie, a favore di compiti impropri e non di competenza.

Conclusioni: spunti interessanti, ma un impianto inadeguato

Non si può negare che nel documento vi siano spunti interessanti: il riferimento al benessere bio-psico-sociale come dimensione integrata della salute è un segnale importante. Tuttavia, questi elementi positivi risultano schiacciati da un impianto generale inadeguato, frutto di un’impostazione culturale e linguistica superata, e forse anche della mancanza di un reale coinvolgimento delle professioni psicologiche nella stesura del piano.

In conclusione, il Piano Nazionale per la Salute Mentale 2025–2030, così com’è formulato, non rappresenta un passo avanti. Al contrario, rischia di sancire una sconfitta culturale e professionale, alimentando confusione nei ruoli, indebolendo l’identità dello psicologo e mancando l’opportunità di costruire un modello moderno, efficace e realmente vicino alle persone.

| www.aupi.it

11/07/2025

Facendo on line una ricerca con la parola Neet si trovano iniziative un po’ dappertutto in Italia: dal comune di Castelfidardo alla regione Emilia-Romagna, dalla diocesi di Como al comune di Genova. Esistono anche programmi specifici finanziati da Bruxelles. È segno di quanto sia sentito il problema dei giovani che non studiano e non lavorano, l’acronimo «Neet» viene dall’inglese «Not in Education, Employment or Training». Nel nostro Paese, nel 2024, sono oltre 2 milioni le persone, fra i 15 e i 34 anni, in questa situazione secondo i dati appena presentati dal Progetto DEDALO – Laboratorio permanente sul fenomeno NEET, promosso da Fondazione Gi Group in collaborazione con l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo. Si tratta di una delle percentuali più alte d’Europa. Nella fascia 15-29 anni sono il 15,2% dice l'ISTAT nella sua più recente rilevazione, quasi 1,4 milioni di persone, con una perdita economica pari a 24 miliardi e mezzo di Euro per il Paese. Guardando al picco di 23,7 del 2020, anno della pandemia, il dato è in miglioramento, ma è uno dei peggiori nell'Ue, secondo solo alla Romania che è al 19,4%. La media Ue è dell’11% con l’obiettivo di arrivare al 9% nel 2030 e con l’Olanda che è già sotto il 5%. Nel Mezzogiorno l’incidenza è più che doppia rispetto al Centro-Nord, dice sempre l’Istat. Il dato varia anche per genere: la quota di Neet è più alta fra le femmine, 16,6%, rispetto ai maschi, 13,8%. A fermare maggiormente le donne negli studi e nella ricerca di un’occupazione sono le responsabilità familiari: lo dice il 20,6% delle giovani donne fra i 15 e i 34 anni appartenenti al bacino dei Neet per motivare la propria posizione. Spiega il report del progetto: «Un alto numero di giovani ai margini del sistema formativo e produttivo non solo frena la competitività economica del continente, ma mina anche la fiducia nelle istituzioni e può alimentare tensioni sociali». Che cosa ne pensate?

Di Chiara Pizzimenti

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Rome

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