27/08/2023
UN…. SABOTATORE INTERNO
Miriam era doppia. Si proprio così. Aveva la sensazione che dentro di lei abitassero due persone in una o una in due, sarebbe stato lo stesso. Miriam diligente, precisa, amorevole, simpatica e una Miriam che, a volte, le rendeva faticoso anche alzarsi dal letto, la faceva sentire incapace in tutto, poco, poco, troppo poco intelligente, troppo poco socievole ed anche “sfigata”. Insomma, con la nuvola di Fantozzi addosso. E quando, sul campo di battaglia, ad avere la meglio era l’altra Miriam era un vero disastro! Metteva il suo zampino anche nelle relazioni amorose. La portava ad incontrare sempre la stessa tipologia di uomini che la seducevano e poi l’abbandonavano lasciandola con un dolore che le sembrava, ogni volta, incolmabile e con in mano...un pugno di mosche! Belli erano belli ed anche con tanti interessi, un attore, un giornalista di reportage, uno storico... tutti però sembravano seguire lo stesso copione: “Miriam sei la cosa più bella che mi potesse capitare, sei troppo per me, non ti merito, io sono confuso ancora non ho capito cosa voglio dalla vita”. Non sapevano cosa volessero dalla vita le dicevano….stava incominciando a non capirci più niente anche lei!. “Devo fare qualcosa”- si disse. Anche perché si rendeva conto di non stimare più se stessa. Aspirava ad essere impeccabile ed invece la vergogna, l’ansia e la paura erano diventati i suoi compagni di vita. Incominciò a leggere libri di psicologia sul sabotatore interno e a seguire gli esercizi che venivano consigliati in quei libri. La mattina si svegliava ed incominciava la giornata ripetendo come un mantra: “Tu vali, sei bella, intelligente, generosa ecc ecc”; aveva comprato un quaderno su cui, ogni sera, scriveva da una parte le cose positive della giornata, dall’altra gli aspetti su cui sarebbe dovuta migliorare stando attenta a non essere troppo severa con se stessa. Il suo umore però non cambiava, l’altra Miriam non aveva certo perso la sua forza, anzi, in alcuni momenti, si sbizzarriva diventando più incalzante quanto più Miriam si avvicinava ai suoi successi o, in generale, a qualcosa che veramente desiderava. Miriam era esausta!
La sua migliore amica le raccontava che da quando aveva iniziato un percorso di psicoterapia la sua vita era cambiata, non era sempre felice, questo no, ma le sembrava di aver indossato un paio d’ occhiali che le avevano ampliato la vista e la vita aveva perso il suo grigiore diventando più ricca. Sentiva di essere “più autentica”, più consapevole e libera. “Dovresti provare ad andarci anche tu“- continuava a ripeterle.
Forse iniziare una psicoterapia l’avrebbe aiutata, ma Miriam aveva paura. Almeno l’altra Miriam, per quanto crudele a volte fosse, aveva imparato a conoscerla e, pur sapendo che non era affatto così, si illudeva in qualche modo di avere su di lei un certo controllo. Come sarebbe stato invece incontrare uno sconosciuto seppur terapeuta? Avrebbe avuto cura di lei o l’avrebbe giudicata ancor più di quanto già lei facesse con se stessa? E poi cosa avrebbe scoperto? quali traumi la riguardavano? E se fosse stato un percorso doloroso?
Da sola però non ce l’avrebbe mai fatta, nonostante si impegnasse non riusciva a mettere a tacere l’altra Miriam. Era necessario armarsi di coraggio ed incominciare a sporcarsi le mani. Ed iniziò anche per lei l’avventura della psicoterapia. Un viaggio non sempre facile, in alcune tappe faticoso, ma che le aveva permesso di comprendere l’altra Miriam. Era tornata a risignificare gli eventi della sua vita a ritroso fino alla propria infanzia. Capì di aver avuto una madre troppo presa da preoccupazioni ed un padre distratto dal lavoro. Aveva pensato così che se avesse indossato l’abito della brava bambina, che non dava problemi avrebbe reso più serena la mamma e sarebbe diventata per il padre più importante dei suoi impegni. Da bambini la paura più grande è quella di perdere l’amore dei propri genitori e proprio per questa paura, in lei, si era formata questa catena: SONO AMATA SE SONO BRAVA, SONO AMATA SE SONO SEMPRE BRAVA, SONO AMATA SE SONO PERFETTA. Miriam aveva dovuto attraversare la sofferenza contenuta nelle sue antiche ferite e abbracciare la bambina che era stata e che era rimasta in un angolo dentro di lei, consolarla e prendersene cura. Grazie alla psicoterapia aveva compreso che l’altra Miriam, non le voleva rovinare la vita, ma dopo averla accolta col cuore intelligente di chi sa ascoltare, le aveva dato la possibilità di non vivere in modo automatico, di conoscere e trasformare, di sentirsi più libera di divenire se stessa lasciando andare le rigidità della perfezione in cui si era rinchiusa. Proprio perché Miriam voleva essere perfetta l’altra Miriam le stava sabotando l’esistenza.
Ognuno di noi ha il suo personale sabotatore interno che può entrare in scena nei momenti di maggiore difficoltà o dominare completamente il nostro modo psichico. Il sabotatore interno agisce a livello inconscio e poggia le sue basi nelle nostre ferite più arcaiche. Eventi di vita traumatici e relazioni primarie con genitori incapaci di rispecchiarsi e sintonizzarsi con il loro bambino vengono interiorizzate e favoriscono lo strutturarsi di questa modalità di funzionamento così distruttiva. Ogni trauma implica una ferita che “imbottisce” il sabotatore di dolore, paura e rabbia. Dal punto di vista della fenomenologia clinica il sabotatore interno è alla base di stati mentali, atteggiamenti e comportamenti caratterizzati da sofferenza e aggressività agita su di sé a diversi livelli di intensità e in forme diverse, sabotando la capacità di differenziazione tra sé e gli altri, tra ciò che è “buono” e ciò che è “cattivo” per la crescita, tra stati mentali adulti e infantili e la possibilità di sviluppare la funzione riflessiva. Ci impedisce di riuscire in quello che vogliamo realizzare, ci spinge a procrastinare, ci fa sentire incapaci. É colui che ci fa incappare sempre negli stessi errori, in relazioni che non ci rendono felici o che ci spingono a distruggere quelle che, invece, felici lo sono! A volte ci appare come un vero destino e questo perché il sabotatore interno va “a braccetto” con un altro concetto fondamentale in psicoanalisi quello di “coazione a ripetere” ovvero quell’ostinata tendenza degli esseri umani a ripetere sempre le stesse modalità di funzionamento e di rapporto. È il grande tema dello scritto freudiano “Al di là del principio di piacere”quando Freud rimase sgomento del fatto che lui pensava che gli esseri umani cercassero il piacere invece si accorse che cercano di tornare su cose che li ha fatti soffrire. Come mai accade questo? Sembrerebbe lineare andare il più lontano possibile dal proprio trauma invece ritorniamo sempre lì. Freud capì che al trauma si ritorna sempre per due motivi essenziali: per cercare di padroneggiarlo e perché il trauma è violenza e male e la violenza e il male purtroppo ci piacciono. Proprio così! La pulsione di morte, certe volte, da più soddisfazione della pulsione di vita, godiamo più nel distruggere che nel costruire. L’unico modo per combattere la violenza che è dentro di noi è aumentare nella nostra esistenza la quantità erotica, alimentare l’amore in tutte le forme in cui si esprime