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27/11/2025

UN ROSSO ALLA VIOLENZA DI GENERE, MA ANCHE ALL'IPOCRISIA DELLE CAMPAGNE ISTITUZIONALI DELLA SERIE A

✍️Articolo a cura de La Psi.

Quando si parla di violenza di genere nel contesto del calcio, il discorso non può limitarsi ai fatti e alle tempistiche dei procedimenti giudiziari: bisogna tenere conto delle peculiarità delle persone coinvolte, delle dinamiche di gruppo che seguono la notizia e delle modalità con cui istituzioni sportive e società reagiscono. Dietro ogni caso che arriva ai media c’è una storia complessa fatta di potere, controllo, narrazioni interiori e istituzionali, e di conseguenze emotive che si dispiegano ben oltre il singolo evento.

A livello individuale, la violenza di genere si innesta quasi sempre in un percorso di progressivo deterioramento delle relazioni, non in un episodio isolato. Le teorie psicologiche che studiano questi fenomeni mostrano come spesso la vittima venga soggetta a una lenta erosione dell’autonomia e dell’autostima: manipolazione, svalutazione, imposizione di ruoli e controllo economico o sociale che spogliano la persona della propria libertà decisionale e identitaria. Questo processo rende difficile sia riconoscere la violenza nella quotidianità sia agire per interromperla. Sul piano cognitivo, dinamiche come il gaslighting, ovvero la distorsione della realtà fino a far dubitare la vittima delle proprie percezioni, costruiscono una narrazione interna che giustifica l’abuso e alimenta il senso di colpa e vergogna. Quando la violenza sfocia in episodi sempre più gravi, l’escalation è spesso preceduta da pattern ripetuti: tensioni che aumentano, crisi che si manifestano, segni di attenuazione e poi riconciliazioni che ingannano e creano una parvenza di normalità. Psicologicamente, questo ciclo produce confusione, normalizzazione del dolore e una progressiva limitazione dei confini personali.

Nel caso dello sport professionistico, entrano nel quadro altri fattori psicologici e sociali che complicano ulteriormente le cose. Gli atleti operano in un contesto dove l’identità è fortemente intrecciata alla performance, all’immagine pubblica e alla lealtà di gruppo. La cultura del risultato e della visibilità può generare forme di “tolleranza” verso comportamenti inaccettabili se questi non sembrano minacciare la prestazione sul campo. Qui si attiva un meccanismo psicologico pericoloso: la dissonanza cognitiva. Club, tifosi e sponsor possono trovarsi a convivere con informazioni contraddittorie, l’ammirazione per un calciatore da un lato, l’accusa di condotte violente dall’altro e per risolvere quella dissonanza tendono a minimizzare, razionalizzare o delegittimare la portata delle accuse. Tale bisogno collettivo di mantenere un’immagine coerente può tradursi in una pressione implicita verso la “gestione interna” del problema, con il rischio che si privilegi la protezione dell’istituzione o dell’atleta rispetto alla tutela della persona offesa.

Per la vittima, le ripercussioni psicologiche sono profonde e durature. Oltre al trauma diretto dell’abuso, subentra spesso la paura della stigmatizzazione, il timore di non essere creduta, l’ansia per le conseguenze pratiche di una denuncia e il rischio di ulteriore isolamento. In ambito lavorativo o sportivo, la vittima può trovarsi schiacciata tra la necessità di proteggersi e la pressione sociale o economica che disincentiva la denuncia. È fondamentale comprendere che la lentezza o le manchevolezze della risposta istituzionale non sono mera burocrazia: producono un secondo danno psicologico, la cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, che erode fiducia e senso di giustizia.

Dal punto di vista della giustizia, ordinaria e sportiva non hanno gli stessi strumenti né la stessa logica: il diritto penale mira a stabilire responsabilità e sanzioni sulla base di prove, con procedure che richiedono tempo ma tutelano il principio della presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio; la giustizia sportiva, invece, agisce spesso più rapidamente su fronti disciplinari che mirano a preservare l’integrità del gioco e l’immagine delle competizioni. Questa differenza crea un cortocircuito. Per la comunità sportiva, una sanzione immediata può rassicurare e segnare un confine etico, ma se arriva prima di un accertamento serio può essere percepita come iniqua o simbolica. Allo stesso tempo, l’assenza di una risposta rapida provoca risentimento pubblico e un senso di impunità.

È il caso di Michael Liguori, calciatore della Salernitana, che è stato giudicato colpevole in primo grado dal Tribunale di Teramo per violenza aggravata nei confronti di una quattordicenne e condannato a tre anni e quattro mesi, ma continua a giocare. È il caso di Manolo Portanova, calciatore della Reggiana, giudicato colpevole in primo grado con sei anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo. Sul caso Portanova la Corte FIGC ha espresso un concetto importante che, purtroppo, farà scuola: difetto di giurisdizione sul caso, spiegando in sostanza che un tesserato può essere giudicato solo se il fatto oggetto dell’addebito disciplinare è riferito a un contesto "prettamente sportivo".

La sfida futura è, quindi, trovare modalità che sappiano contemperare la tutela della vittima, il rispetto delle garanzie processuali e la responsabilità etica delle organizzazioni.

Le società sportive, i club e le federazioni hanno dunque un ruolo cruciale non solo nel sanzionare, ma soprattutto nel prevenire. Prevenzione non significa tingersi di rosso la faccia, dire quattro parole in croce contro la violenza ogni 25 novembre e predisporre codici disciplinari: implica interventi formativi, cultura del rispetto, canali sicuri e protetti per la segnalazione, e percorsi di supporto psicologico. In termini psicologici, serve lavorare sulla mentalità collettiva: ridurre la tolleranza verso il linguaggio svalutante, contrastare gli stereotipi di genere che legittimano comportamenti controllanti e promuovere modelli relazionali basati sull’empatia e sui confini sani. I programmi di prevenzione devono inoltre considerare la dinamica del gruppo: allenare dirigenti, staff tecnico e compagni di squadra non solo a riconoscere segnali di violenza, ma anche a saper intervenire in modo sicuro e a sostenere chi denuncia. Le Leghe e la FIGC come si sono mosse in questo senso?

Infine, è importante chiedersi quali siano le conseguenze psicologiche per il pubblico e per i tifosi. L’esposizione mediatica a questi casi può polarizzare opinioni e alimentare dinamiche di difesa o di condanna a prescindere; la responsabilità dei media è quindi alta: informare in modo accurato, evitare processi sommari e dare voce alle vittime senza re-vittimizzarle. Allo stesso tempo, il mondo del calcio può trasformare la crisi in opportunità educativa: rendere pubblica la consapevolezza che la performance sportiva non legittima comportamenti violenti, e che il rispetto è un requisito tanto professionale quanto morale.

Nel concludere, vale la pena sottolineare che le risposte efficaci devono essere multilivello: sostenere la persona offesa, applicare procedure giuste e trasparenti, promuovere politiche preventive e trasformare la cultura sportiva. La tensione tra la necessità di decisioni rapide sul piano disciplinare e la lentezza della giustizia ordinaria non deve tradursi in silenzio o in scelte affrettate; piuttosto, richiede procedure chiare che tutelino i diritti di tutti e priorità ben definite: sicurezza della vittima, rispetto delle indagini e impegno concreto delle organizzazioni a cambiare pratiche e mentalità.

Ricordatevi che fino a domani potete ascoltare lo streaming audio sul portale di Medicina Regione Lazio 🗣️Abbiamo parlat...
31/07/2025

Ricordatevi che fino a domani potete ascoltare lo streaming audio sul portale di Medicina Regione Lazio 🗣️

Abbiamo parlato dell'efficacia di un percorso terapeutico ✔️

29/07/2025

THIERRY HENRY E LA DEPRESSIONE: QUANDO VINCERE NON BASTA

✍️Articolo a cura de La Psi.

Thierry Henry è stato un simbolo di eleganza calcistica, uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio francese e del calcio internazionale a cavallo tra fine anni '90 e i primi dieci degli anni 2000. Tra club e nazionale maggiore Henry ha disputato complessivamente 917 partite segnando 411 reti, con la media di 0,45 gol a partita. Eppure, dietro al talento, ai gol alla notorietà, ai soldi e ai trofei vinti c’è una storia che pochi conoscono.

Negli ultimi anni Henry ha parlato pubblicamente della sua mentale, non ultimo ai microfoni nel podcast “Diary of a Ceo” di Steven Bartlett. Non si è limitato a raccontare i sintomi: ha voluto scavare più a fondo. In riferimento al padre: "Disse che sarei stato un grande calciatore e sono stato programmato per riuscirci. Cercavo sempre la sua approvazione". Un ricordo tenero all’apparenza, ma che rivela una dinamica complessa: il valore personale subordinato alla performance.

L’amore condizionato alla prestazione.
Durante l’infanzia, ogni bambino impara qualcosa su di sé e sul mondo attraverso il modo in cui viene guardato, accolto, amato. Se un genitore trasmette — anche senza volerlo — l’idea che l’affetto dipenda da ciò che il figlio fa, ottiene o rappresenta, quel bambino potrebbe iniziare a credere di dover “meritare” l’amore, anziché sentirsi degno a prescindere.

Questo tipo di dinamica si osserva spesso nei contesti familiari in cui almeno una delle figure genitoriali è rigida, autoritaria, centrata sul sacrificio per essere meritevoli del raggiungimento di un qualche obiettivo. Il messaggio implicito è: vali solo se raggiungi risultati e se sudi per raggiungerli. Quando questi messaggi vengono veicolati quotidianamente, possono dare origine a veri e propri schemi disfunzionali: convinzioni profonde di inadeguatezza, di non essere amabili, di non valere abbastanza se non si eccelle.

Sport, identità e vulnerabilità emotiva. Lo sport professionistico può amplificare queste dinamiche. Da un lato, offre struttura, motivazione, obiettivi chiari. Dall’altro, espone l’individuo a una costante valutazione esterna: da parte degli allenatori, dei media, del pubblico, dei compagni.
Per molti atleti, la prestazione non è più solo una parte della propria identità, diventa il nucleo principale della rappresentazione di sé stessi. Si finisce per confondere ciò che si fa con ciò che si è. E se “essere” significa “vincere”, cosa succede quando si perde?

Nei momenti di crisi — un infortunio, la fine della carriera, l’assenza di risultati, una sovraesposizione mediatica — tornano a galla i bisogni emotivi insoddisfatti dell’infanzia. Il bisogno di essere accettati, ascoltati, amati anche senza primeggiare. Se questi bisogni sono stati trascurati, si apre la porta a sentimenti profondi di vuoto, isolamento, disperazione.

Depressione: quando si perde il proprio valore
La depressione non è semplicemente “sentirsi giù”. È una condizione complessa, spesso invisibile, perché fraintesa. Non a caso, molte persone depresse non riescono a spiegarsi il proprio malessere: “Ho tutto, ma sto male lo stesso”. Il punto è che il benessere autentico non si costruisce solo su successi esterni, ma su un senso interno di valore, sicurezza e appartenenza.

Lo sapevi? Uno studio pubblicato su British Journal of Sports Medicine ha rilevato che circa il 34% degli atleti professionisti mostra sintomi depressivi o ansiosi durante o dopo la carriera. Henry non è un’eccezione. È solo uno dei pochi ad aver avuto il coraggio di raccontarlo.

Cosa possiamo imparare da questa storia
La testimonianza di Henry ci offre uno spunto per riflettere, ben oltre il mondo del calcio. Che tipo di messaggi trasmettiamo ai nostri figli, ai nostri allievi, ai nostri amici? Siamo capaci di amarli per quello che sono, anche quando non vincono?

La buona notizia è che si può imparare a riscrivere queste convinzioni profonde. E la psicoterapia può essere uno spazio per riconoscere gli schemi appresi, esplorare i bisogni emotivi insoddisfatti e costruire una nuova idea di sé, fondata sull’accettazione e sull’autenticità. Perché sì, vincere è bello. Ma sapere di valere anche quando si perde è ciò che davvero ci salva.

È online, da oggi, la mia intervista con  sul tema dell'  di un     ✔️Al momento puoi trovare lo streaming audio al link...
26/07/2025

È online, da oggi, la mia intervista con sul tema dell' di un ✔️

Al momento puoi trovare lo streaming audio al link sottostante (sono la n.11), ma presto sarà disponibile anche il video completo!

È stata un'occasione preziosa per divulgare e promuovere una cultura della salute mentale attraverso la voce dei professionisti 🗣️

Ascoltala qui: https://www.medicinaregionelazio.it/streaming/

🤯 Pensieri intrusivi e ossessioniI     sono un'esperienza comune a tutte le persone. Quando arrivano, ci infastidiscono ...
23/03/2024

🤯 Pensieri intrusivi e ossessioni

I sono un'esperienza comune a tutte le persone. Quando arrivano, ci infastidiscono e vorremmo solamente farli sparire nel minor tempo possibile.

La loro caratteristica principale è quella di essere fastidiosi, li percepiamo come un intruso, appunto.

Diventano quando la loro importanza per noi diventa così alta che perdiamo tanto tempo ed energie a mandarli via.

L'importanza che diamo ai pensieri che giungono alla nostra consapevolezza dipende da tanti fattori, tra cui gli eventi di vita che abbiamo sperimentato nel corso degli anni.

Vi è mai capitato di avere dei pensieri intrusivi? Quali?

Scrivetelo nei commenti! ⬇️

🤯 Pensieri intrusivi e ossessioniI     sono un'esperienza comune a tutte le persone. Quando arrivano, ci infastidiscono ...
23/03/2024

🤯 Pensieri intrusivi e ossessioni

I sono un'esperienza comune a tutte le persone. Quando arrivano, ci infastidiscono e vorremmo solamente farli sparire nel minor tempo possibile.

La loro caratteristica principale è quella di essere fastidiosi, li percepiamo come un intruso, appunto.

Diventano quando la loro importanza per noi diventa così alta che perdiamo tanto tempo ed energie a mandarli via.

L'importanza che diamo ai pensieri che giungono alla nostra consapevolezza dipende da tanti fattori, tra cui gli eventi di vita che abbiamo sperimentato nel corso degli anni.

Vi è mai capitato di avere dei pensieri intrusivi? Quali?

Scrivetelo nei commenti! ⬇️

⚠️ Solastalgia ⚠️Neologismo che indica la   per un   pur continuando a risiedervi. E' uno stato emotivo contemporaneo ch...
20/03/2024

⚠️ Solastalgia ⚠️

Neologismo che indica la per un pur continuando a risiedervi. E' uno stato emotivo contemporaneo che ha trovato spazio negli ultimi decenni a causa dei mutamenti repentini dell'ambiente e del .

L'individui si sente uno spettatore impotente nei confronti del proprio ambiente che sta cambiando in modi ritenuti profondamente negativi.

Secondo il filosofo australiano Albrecht, la solastalgia genera stati d'animo tipici di quelle persone deportate dalla propria terra d'origine. Dolore e disorientamento sono i più frequenti.

Inizialmente osservata tra gli abitanti della Upper Hunter Valley a seguito dell'estrazione del carbone che aveva modificato il paesaggio circostante, è diventata una condizione globale che sta diventando sempre più condivisa.

E tu? Hai mai provato questa sensazione?

Racconta la tua esperienza nei commenti ⬇️

🔴 Psicopatologia del     Il binomio cambiamento climatico e salute mentale è l'ultima frontiera con cui la psicologia si...
14/02/2024

🔴 Psicopatologia del

Il binomio cambiamento climatico e salute mentale è l'ultima frontiera con cui la psicologia si sta confrontando.

Nuove e nuovi termini stanno emergendo nello scenario contemporaneo. Una di queste è , una sensazione di crescente incertezza e angoscia relativa a situazioni inerenti il cambiamento climatico.
La consapevolezza di quest'ultimo, le preoccupazioni ambientali, l'impegno in azioni individuali e collettive a favore dell'ambiente e l'esposizione alla comunicazione dei media sono fattori psicologici importanti da considerare.

Soprattutto quest'ultima contribuisce notevolmente alla crescente sensazione di angoscia e all'ansia, in particolare nella popolazione giovanile dei Paesi del Nord del mondo, compresa l'Europa 🌎

Vi è capitato di provare l'ecoansia?

Scrivetelo nei commenti ⬇️

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