Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa

Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa Criminologa Investigativa, Psicologa Forense, Esperta di Analisi della Scena del Crimine
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È gravissimo. Sentire un ministro della Repubblica affermare, alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazi...
22/11/2025

È gravissimo. Sentire un ministro della Repubblica affermare, alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che «nel codice genetico dell’uomo c’è una resistenza alla parità dei sessi» è inaccettabile.

È ancora più inquietante che una ministra affermi, senza supporto empirico, che «non c’è correlazione tra l’educazione sessuo-affettiva a scuola e una diminuzione dei femminicidi».

Facciamo chiarezza.

Le dinamiche patriarcali, la sopraffazione maschile, la violenza di genere NON sono “codificate nel DNA” dei maschi. Sono cultura, potere, stereotipi, narrazioni sociali e modelli familiari che si tramandano, non predisposizioni biologiche inevitabili.

Affermazioni del tipo “è nel codice genetico” servono solo a naturalizzare la violenza maschile, a sminuire la responsabilità degli uomini e della società, a nascondere che dietro ogni femminicidio c’è una scelta, c’è una storia, c’è un contesto.

Dichiarare che l’educazione sessuo-affettiva “non serve” alla prevenzione dei femminicidi è un passo indietro. Negare o minimizzare l’importanza della prevenzione culturale e relazionale significa ignorare decenni di ricerche che evidenziano come l’educazione al rispetto, al consenso, all’uguaglianza agisca come fattore protettivo. (Anche se non è l’unica risposta, è parte imprescindibile.)

Quando il governo affida toni, parole e significati a ministri che parlano di “tara mentale” o di “codice genetico” che resiste alla parità, significa che non è davvero al lavoro su una strategia di cambiamento culturale, ma su una retorica che giustifica l’immobilismo.

Significa che il discorso pubblico sulle donne, sulla violenza maschile, sulle relazioni di potere è ancora dominato da logiche patriarcali, da mentalità che vedono l’uguaglianza come un ostacolo da “naturalizzare” anziché un obiettivo da costruire.

Significa che chi è vittima di violenza, chi subisce discriminazioni, chi si impegna quotidianamente nella prevenzione, viene ignorato o banalizzato. Perché “non è colpa dell’uomo”, è “il suo DNA”.

Dobbiamo usare parole chiare, senza scuse, per descrivere il fenomeno: violentatori che agiscono in un sistema di potere, culture che legittimano la sopraffazione, istituzioni che spesso tergiversano. Non “tara genetica”, non “resistenza subconscia”.

Chi ha potere (anche istituzionale) ha anche responsabilità precise.

Se un ministro agisce come magistrato da anni, come nel caso di Carlo Nordio, quando pronuncia concetti di questo tipo, dovrebbe misurare bene la gravità delle parole perché queste parole investono, coinvolgono, definiscono le politiche, il tono pubblico, le priorità. Eppure lui parla come se la violenza contro le donne fosse una conseguenza inevitabile dell’essere “maschio”. Non è così. Non può esserlo.

Se una ministra per le pari opportunità, come Eugenia Roccella, sminuisce l’educazione affettiva e relazionale scolastica come strumento marginale, sta fraintendendo gravemente il ruolo della prevenzione nelle scuole: la scuola non è solo luogo di trasmissione di nozioni, ma di trasformazione relazionale, di modelli. È da lì che devono passare il rispetto, il consenso, la parità.

Basta con queste metafore genetiche che aboliscono la responsabilità degli adulti.

Investiamo nella cultura del rispetto, nelle scuole, nelle famiglie, nella giustizia riparativa e nella prevenzione.

Rifiutiamo chi propone che “la violenza maschile è nel DNA”. Perché se è così, allora non resta che rassegnarsi m…e non accetterò mai la rassegnazione su un punto così fondamentale.

…non possiamo tollerare che al vertice delle istituzioni ci siano voci che parlano di incapacità di tollerare la parità tra i generi come di un male da “rimuovere dal subconscio degli uomini”. O, addirittura, dal loro DNA.

La parità non è un optional, non è un favore, non è un “obbligo che pesa”.

È un fondamento civico, è un diritto, è una condizione della convivenza democratica. E chi non lo capisce, o lo ostacola con retoriche tossiche, va chiamato fuori dal campo di battaglia perché non è in grado di affrontarla.

Ancora una volta, purtroppo, le mie previsioni e le mie teorie trovano conferma.Questi “ragazzi perbene”, figli di famig...
21/11/2025

Ancora una volta, purtroppo, le mie previsioni e le mie teorie trovano conferma.
Questi “ragazzi perbene”, figli di famiglie rispettabili, con un contesto socio-economico apparentemente protetto, avevano già dato segnali enormi, inequivocabili, di problematiche gravissime. Segnali che chiunque, con un minimo di competenza e responsabilità genitoriale, avrebbe dovuto cogliere e affrontare.
E invece no.

Perché la verità, quella scomoda, quella che da anni continuo a ripetere, è che non esistono famiglie immuni dal fallimento educativo solo perché vivono in quartieri benestanti, solo perché i genitori hanno un buon lavoro, solo perché si frequentano le “scuole giuste”.

I fatti di Milano lo dimostrano in maniera devastante.
Ragazzi tra i 16 e i 18 anni, già noti alle forze dell’ordine, pluribocciati, disinteressati a qualunque forma di costruzione identitaria sana, immersi in dinamiche deviate che i genitori non hanno visto, non hanno compreso, o peggio ancora hanno scelto di minimizzare, nella speranza che “tanto poi passa”.

Non è passato proprio niente.
È esploso tutto.

Ed eccoci qui, davanti all’ennesimo episodio di violenza cieca, brutale, agita per una banconota da 50 euro, con una vittima di 22 anni che oggi rischia la paraplegia permanente.

Alla fine, come ripeto da anni, dietro questa nuova generazione che sta mostrando derive violentissime, c’è un fallimento genitoriale catastrofico.
Un fallimento collettivo, profondo, che si radica nella totale incapacità di vedere il disagio, di porre limiti, di esercitare la funzione genitoriale nella sua dimensione più complessa: quella contenitiva, regolativa, responsabilizzante.

Non è un caso, non è una fatalità, non è “sfortuna”.
È il risultato di ciò che non si è fatto quando era il momento.

E finché continueremo a raccontarci che “erano bravi ragazzi”, che “vengono da buone famiglie”, che “si sono solo lasciati trascinare”, questo disastro culturale ed educativo continuerà a produrre vittime. Sempre più giovani. Sempre più arrabbiati. Sempre più pericolosi.

La realtà è semplice:
il male non nasce nel disagio sociale, nasce nelle famiglie che non vedono, non ascoltano, non guidano.
E adesso ne stiamo pagando tutte le conseguenze.

Il 24 novembre a Mirano
21/11/2025

Il 24 novembre a Mirano

21/11/2025

Sono stati allontanati dal tribunale dei minorenni dell'Aquila i tre figli della coppia anglo-australiana che aveva deciso di vivere nei boschi di Palmoli rivendicando uno stile di vita alternativo, a stretto contatto con la natura e gli animali. Il mio commento a Ore 14, forse un po’ controcorrente.

Poi aggiornamenti sul caso di Noemi, uccisa dal fratello a Nola.

Intanto sono cominciati gli interrogatori di garanzia per i due 18enni che insieme ad altri tre ragazzi di 17 anni hanno accoltellato uno studente nei pressi di corso Como. Emergono notizie sconcertanti dal loro atteggiamento…

21/11/2025

Valeria riferisce di aver ospitato Manuela a dormire in casa loro, la notte dopo l’omicidio di Pierina Paganelli. Cosa può significare questo? Ne ho parlato a Ore 14 sera.

21/11/2025

La mia denuncia a Ore 14 Sera sulle minacce di morte che ho ricevuto a seguito di una campagna persecutoria montata nei miei confronti da mesi.
Ho già denunciato alcuni dei responsabili e adesso andrò avanti contro quella che ritengo essere un’associazione a delinquere.

21/11/2025

A proposito di diagnosi farneticanti, ormai assistiamo sempre più spesso a soggetti con poche idee e peraltro molto, molto confuse, privi di qualsiasi competenza o formazione specifica, che si arrogano il diritto di formulare valutazioni psicologiche come se fossero professionisti del settore.

Una deriva pericolosa e, diciamolo chiaramente, grottesca.

Persone che non hanno la minima preparazione tecnico-scientifica si sentono autorizzate a parlare di strutture di personalità, disturbi clinici, psicopatologia, come se bastasse leggere due post sui social per diventare psicologi, criminologi o psichiatri.

Questo fenomeno non riguarda me soltanto: riguarda chiunque lavori seriamente in ambito psicologico e forense.
Ed è il segnale più evidente di un clima in cui:
• l’ignoranza si traveste da competenza,
• la superficialità viene scambiata per opinione autorevole,
• e la presunzione diventa megafono pericoloso nelle mani sbagliate.

Chiunque abbia davvero a cuore la tutela delle persone fragili dovrebbe indignarsi di fronte a queste derive, non rilanciarle.

La scienza, la psicologia, la criminologia sono discipline serie, che richiedono studio, titoli, responsabilità e deontologia.
E chi non possiede nulla di tutto questo farebbe bene a evitare diagnosi creative degne di un romanzo fantasy.

Qualche mese fa — è tutto pubblico — la Bugamelli si è permessa di formulare una diagnosi psicologica su Alberto Stasi…Definendolo
“Parafilico e autistico”…si si avete capito bene…ma gli avvocati di stasi continuano a frequentarla senza particolari difficoltà…
Una diagnosi.
Pubblica.
Senza competenze.
Senza abilitazione.
Senza alcun titolo.
Senza nessuna conoscenza dei fatti clinici.
E senza avere, la minima formazione professionale per farlo.

Uno scenario che, se non fosse tragico, sarebbe comico.

Gli stessi soggetti che accusano me di aver fatto “diagnosi superficiali” (accusa falsa, costruita e smentita dagli atti), non muovono un dito davanti alle affermazioni deliranti di una persona che non ha alcuna competenza per parlare di psicopatologia, di strutture di personalità o di disturbi clinici.
Anzi: la rilanciano. La amplificano. La normalizzano.

E questo dovrebbe far riflettere chiunque.

Perché non è solo incoerenza.
Non è solo malafede.
È proprio la misura del livello a cui siamo giunti:

👉 persone prive di qualunque preparazione si arrogano il diritto di formulare diagnosi a distanza;
👉 le stesse persone si ritengono titolate a giudicare il lavoro di chi nella psicologia e nella criminologia opera da una vita, con titoli, esperienza e responsabilità istituzionale;
👉 tutto questo mentre alimentano una campagna d’odio costruita sulla manipolazione sistematica della propria community.

Se volete un termometro della serietà (o della gravità) di certi personaggi, eccolo qui.

Niente altro da aggiungere.

Quello che sto per spiegare chiarisce, una volta per tutte, la portata della manipolazione che un gruppo molto ristretto...
21/11/2025

Quello che sto per spiegare chiarisce, una volta per tutte, la portata della manipolazione che un gruppo molto ristretto di soggetti sta mettendo in atto da anni contro di me. Non è un’impressione. Non è una sensazione. È documentato, verificato, dimostrato.

Procediamo per punti:

1. IL METODO BUGAMELLI: INVENTARE, MANIPOLARE, INGANNARE

La propensione di Francesca Bugamelli a inventare circostanze di sana pianta, a manipolare la sua community e a truffare la gente non è una novità.
La conosciamo bene.
La documentiamo da anni.
Le sue bugie sono seriali, compulsive, patologiche, persino per sua stessa ammissione.

E tra poco pubblicherò elementi molto chiari su di lei e sul suo compagno Mirko Zeppellini (ossia emme. Team), entrambi coinvolti – secondo gli atti in mio possesso – in un disegno criminale costruito per truffare, sistematicamente, i familiari di persone decedute in circostanze tragiche.
Un livello di sciacallaggio che si commenta da sé.

https://www.iene.mediaset.it/video/emme-team-chi-c-e-dietro-gli-scoop-americani-di-cronaca-nera-in-tv_1279427.shtml

2. LA BUGIA DELLA “CONDANNA PER ASSOCIAZIONE A DELINQUERE”

La Bugamelli è arrivata persino a far credere alla sua community che io sia stata condannata per associazione a delinquere.
Una falsità gigantesca.

La realtà è semplice e pubblica:

👉 L’unica condanna riguarda un solo soggetto: Lucio Lipari.
👉 Non è mai stato ipotizzato alcun concorso da parte mia.
👉 Non è mai esistito, né mai esisterà, alcun “sistema Bruzzone & co”.

Il riferimento utilizzato dalla Bugamelli è tratto da quanto dichiarato da Elisabetta Sionis nel processo Lipari, processo in cui io:
• non ero parte,
• non ero presente,
• non potevo difendermi.

Ed è proprio lì che la Sionis ha inventato di tutto: gruppi, ruoli, capibranco, dinamiche inesistenti.
Falsità che ho già denunciato come calunnia e atti persecutori.

3. IL CONTROESAME DI ROMA: LA VERITÀ EMERGE

E ora arriva il punto che smonta tutto.

Nel processo di Roma, dove invece io ero presente, dove i miei legali avevano in mano ogni documento necessario, la Sionis è stata messa davanti a domande precise, chiare, circostanziate in merito alla fantomatica cyber gang da me capeggiata:

La risposta?

«Preferisco non rispondere perché non ne ho le prove.»

Fine.
Game over.
Crollo totale della narrazione.

La stessa persona che a Cagliari parlava di gruppi, ruoli, capibranco e presunte associazioni criminali, davanti ai miei avvocati:
• non conferma nulla,
• non fa un solo nome,
• ammette sostanzialmente di non avere alcuna prova.

Questa è la realtà.
Tutto il resto è fumo, manipolazione, menzogna.

4. IL RUOLO DELLA BUGAMELLI NELLA CAMPAGNA D’ODIO

Il post pubblicato dalla Bugamelli, con il chiaro intento di manipolare e prendere per il cxxo la sua community, è l’ennesimo esempio della strategia che porta avanti da anni.

Secondo la documentazione in mio possesso, la Bugamelli è uno dei soggetti più attivi in quella che definisco – con elementi concreti – una vera e propria associazione a delinquere finalizzata a istigare odio nei miei confronti.

Perché questa ossessione?

Semplice:
ho smontato il loro piano criminale per sfruttare persone nel loro momento di massima fragilità.
E da quel momento non me l’hanno più perdonata.

La Bugamelli è già rinviata a giudizio a Roma per diffamazione.
Quello sì, è un dato ufficiale.
Non c’è bisogno di inventare nulla.

5. LA VERA ASSOCIAZIONE A DELINQUERE

E arriviamo all’ironia finale.

Mentre questi soggetti cercano di far credere che io sia stata condannata per associazione a delinquere (mai accaduto, mai ipotizzato, mai esistito), la realtà è un’altra:

👉 quella che pare configurarsi come una vera associazione a delinquere è la loro.
E non ci vorrà molto prima che questa vicenda arrivi nelle opportune sedi giudiziarie.

Questo è solo un esempio di come viene scientemente alimentato l’odio nei miei confronti da anni, con falsità, distorsioni, invenzioni e manipolazioni.

La differenza tra loro e me è semplice:
• loro hanno bisogno di mentire per attaccarmi,
• io ho bisogno solo dei fatti per difendermi.

E i fatti, ancora una volta, hanno parlato.

A proposito dell’ennesima “rivelazione” rilanciata dalla Bugamelli, vale la pena chiarire un punto che sfugge completamente alla sua narrativa – ed è questo, per inciso, che mostra quanto sia profondamente concentrata nel costruire versioni distorte sul mio conto, senza neppure comprendere ciò che pubblica.

La Bugamelli ha diffuso un passaggio tratto dal processo Lipari, ma quel passaggio non è altro che la mera dichiarazione della persona offesa, Elisabetta Sionis.
Non un accertamento.
Non un fatto provato.
Non un elemento oggetto di imputazione.
Semplicemente ciò che la Sionis ha raccontato sulla base del proprio punto di vista.

E proprio su questo va fatta chiarezza:

👉 nel capo d’imputazione non era previsto alcun concorso con altri soggetti,
👉 il processo riguardava esclusivamente Lucio Lipari,
👉 ed è un procedimento che, peraltro, sarà discusso in appello.

Quello che la Bugamelli presenta come “prova”, infatti, è solo la trascrizione di ciò che ha detto la Sionis.
Nient’altro.

Ed è qui che emerge la parte più rivelatrice:

…tutte quelle circostanze, quando la Sionis è stata ascoltata a Roma – davanti a me e alla mia difesa – non le ha confermate.
Anzi, come ormai è noto, ha dichiarato esplicitamente di non avere alcuna prova e si è rifiutata di fare un solo nome.

Questi sono i fatti.

Il resto è il solito copione:
– estrapolare frammenti non contestualizzati,
– ignorare completamente la loro natura,
– trasformare una dichiarazione non riscontrata in una “verità” da spacciare alla propria community.

Ed è proprio questo che dimostra, ancora una volta:

- quanto questa persona sia completamente assorbita dall’ossessione di costruire narrazioni contro di me,
- e quanto sia disattenta nel distinguere ciò che è una dichiarazione soggettiva da ciò che è un dato giuridicamente rilevante…evidentemente non capisce la differenza 😂😂😂

Quello che pubblica, infatti, non smentisce nulla di ciò che ho detto:
al contrario, conferma esattamente la dinamica che abbiamo ricostruito.

Presto pubblicherò tutto.

Quando il predatore indossa la divisa e la vittima è ancora più a rischio.La recente sentenza della Corte d’Assise di Bo...
21/11/2025

Quando il predatore indossa la divisa e la vittima è ancora più a rischio.

La recente sentenza della Corte d’Assise di Bologna – che ha condannato all’ergastolo Giampiero Gualandi per l’omicidio della vigilessa Sofia Stefani del 16 maggio 2024 – ci consegna-non solo una vittoria formale della giustizia, ma un grido contro la manipolazione affettiva che troppo spesso resta invisibile. 
Questa storia racchiude un modello — agghiacciante ma purtroppo frequente — di relazione predatoria e manipolatoria.

Alcuni punti chiave che meritano la nostra attenzione professionale:
- Si parla di una relazione segreta, extraconiugale, che si protraeva nonostante le rassicurazioni dell’imputato alla moglie, e le insistenze della vittima verso la verità. 
- La vittima soffriva di una fragilità psicologica – un disturbo della personalità – e l’accusa parla chiaramente di un soggetto che «ha approfittato delle sue fragilità esercitando una feroce manipolazione, sia professionale che sessuale». 
- Uno degli elementi più inquietanti: un “contratto di sottomissione sessuale” firmato tra l’imputato e la vittima. Per la difesa «un gioco», per la Procura e la Corte «sintomatico di una relazione di potere dove lui era il dominatore e lei la persona sottomessa». 
- Il soggetto manipolatorio indossava una divisa, aveva potere e autorità, e ha usato questo ruolo per tenere legata la vittima (promessa di “diventare sua vice” quando avesse preso il comando). 

La sentenza: l’ergastolo e l’aggravante del legame affettivo (caduto il “futili motivi”).

La Corte ha ritenuto non credibile la versione dell’imputato – che parlava di “tragedia non voluta”

Perché questa storia ci riguarda come professionisti della psicologia, della criminologia e del supporto alle vittime
1. La manipolazione affettiva non è solo “una storia romantica finita male”, è un’agenda intenzionale, graduale e strutturata di soggezione psicologica. Quando la vittima ha una fragilità (scarsa autostima , trauma pregresso, bassa autostima), il manipolatore seleziona, promette, alterna carezze e minacce, crea dipendenza — fino ad arrivare al silenzio, alla sottomissione, alla distruzione.
2. Il contratto di schiavitù sessuale è una spia chiare: non è solo “fantasia erotica” come vorrebbero presentarli i colpevoli, ma spesso – in queste dinamiche – la ritualizzazione di un potere che viene anticipato, accettato, interiorizzato dalla vittima perché costretta a credere che l’amore sia condizione subordinata all’obbedienza.
3. Il contesto istituzionale e di autorità amplifica la trappola: quando colui che “te la fa” indossa una divisa, un ruolo, una funzione sociale, la vittima percepisce meno possibilità di chiamare in causa la responsabilità dell’altra, meno spazio di resistenza. Ed è per questo che la Corte ha rilevato l’aggravante della relazione affettiva.

La sensibilizzazione precoce è la chiave: capire i segnali — alienazione, richieste di sottomissione, isolamento, promesse irrealistiche, contratti sessuali, manipolazione del ruolo professionale — è fondamentale per intervenire prima che la storia “arrivi alla sua tragica conseguenza”.

Questa vicenda è un segnale dei nostri tempi: storie di abuso psicologico, manipolazione affettiva e distruzione della vita altrui sono molto più frequenti di quanto ci piacerebbe credere. È un’epoca profondamente travagliata — e il nostro impegno come professionisti, formatori, operatori, divulgatori deve essere costante e intensificato.

Oggi è arrivata una conferma fondamentale.La nostra attività consulenziale in Corte d’Assise ha retto pienamente: De Pau...
20/11/2025

Oggi è arrivata una conferma fondamentale.
La nostra attività consulenziale in Corte d’Assise ha retto pienamente: De Pau è stato condannato all’ergastolo, riconosciuto pienamente capace di intendere e di volere, esattamente come abbiamo ricostruito sul piano psichiatrico, criminodinamico e comportamentale.

È un passaggio cruciale.
Perché quando si ha a che fare con soggetti di questa pericolosità, con questa struttura predatoria, con questa violenza lucida e reiterata, la competenza tecnica diventa l’unico strumento per evitare che la narrazione distorca la realtà clinica.

E la realtà, oggi, è stata riconosciuta in tutta la sua gravità.

Si tratta di un caso emblematico, che segna l’importanza di una valutazione psicoforense rigorosa, libera da suggestioni, ancorata ai fatti e ai comportamenti:
nessuna perdita di controllo,
nessuna incapacità,
nessuna giustificazione psicopatologica.

Solo la lucida, brutale, devastante violenza di un predatore estremamente pericoloso.

Questa sentenza non è solo un punto fermo sul piano giudiziario.
È un atto di tutela collettiva.
È la garanzia che un soggetto capace di infliggere sofferenze indicibili, e di farlo con modalità da aggressore esperto, non potrà più nuocere a nessuno.

Un risultato importante, frutto di competenze integrate e di una lettura psichiatrico-criminologica che ha restituito alla Corte la vera natura del soggetto, senza filtri, senza attenuanti, senza distorsioni.

Oggi è una vittoria della scienza, della giustizia e — soprattutto — della protezione delle potenziali vittime future.

Ed è questo, alla fine, il senso più profondo del mio lavoro.

20/11/2025

Noemi, 22enne, è stata uccisa a coltellate dal fratello nella casa di Nola.

A quanto emerge, entrambi i ragazzi erano in cura presso un centro di salute mentale e i litigi fra loro erano frequenti.

Un’altra tragedia annunciata. Ne ho parlato a Ore 14.

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Rome

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