05/12/2025
Vitrectomia per Floaters: i problemi e le complicanze come “reverse indicators”
Le ultime settimane sono state impegnative. Ho operato tanti pazienti, e alcuni di loro hanno vissuto un post-operatorio più complesso del previsto, il che mi ha portato a riflettere sul significato reale della “bravura” in chirurgia vitreoretinica.
La bravura non sta nel garantire che tutto vada sempre bene, ma nella consapevolezza di saper intervenire quando qualcosa non va. Perché in chirurgia, non tutto dipende dal chirurgo. Alcune variabili sono controllabili, altre no. I problemi, piccoli o grandi che siano, fanno parte del processo: vanno previsti, riconosciuti e gestiti. Paradossalmente, sono proprio loro a renderci migliori.
Un caso recente
Un paziente si è sottoposto a una vitrectomia per floaters circa due settimane fa. L’intervento è andato in modo impeccabile: dieci minuti, nessuna complicazione, nessun bisogno di aria, laser o suture. Il giorno dopo il controllo è stato perfetto.
Poi, a distanza di qualche giorno, mentre era tornato nel suo Paese, ha iniziato a descrivere una visione scura, la difficoltà nel distinguere gli oggetti, la percezione di una massa gelatinosa che si muoveva. Sintomi che, in un paziente operato, generano un’angoscia comprensibile. Gli dico con calma che, secondo me, si tratta di un po’ di sangue residuo, un fenomeno relativamente frequente, innocuo e transitorio dopo un intervento di questo tipo.
Per precauzione, gli consiglio di recarsi da un optometrista che però non riscontra nulla di significativo. Di conseguenza, dato che i sintomi non migliorano, si fa visitare da un oculista, il quale conferma che la retina e il nervo siano a posto, ma che non capisce come mai la vista non sia buona. Soprattutto gli dice di non vedere alcuna emorragia, concludendo con un’affermazione che pesa come un macigno:
“Non posso fare nulla per lei.” Come se l’intervento avesse portato danni irreparabili. Almeno così mi dava l’idea.
Dopo aver ricevuto questi pareri, il paziente perde la pazienza e decide di prendere un volo intercontinentale per tornare da me. Avrei preferito aspettare ancora una o due settimane, perché molte alterazioni post-operatorie si risolvono spontaneamente, ma comprendo benissimo la necessità di essere visitato dal chirurgo che lo ha operato, e non obietto. La paura, quando riguarda la vista, non permette attese.
Il quadro cambia in pochi giorni
Già nel giro di tre giorni, dal nostro ultimo contatto alla visita, la situazione migliora notevolmente. La vista comincia a migliorare da sola: le immagini diventano più nitide e meno scure. Rimane però l’ombra fluttuante, che trattandosi di un paziente operato per floaters, non è il massimo.
Ero tranquillo, avevo rivisto il video dell’intervento e la possibilità che ci fossero residui vitreali era nulla. La visita risolve definitivamente il puzzle. La vista è 10/10, appena meno che perfetta, a due settimane dall’intervento. L’OCT è impeccabile: nessun segno di trazione, nessuna patologia retinica. Tutto appare regolare. Solo qualche piccolo puntino, del tutto normale.
E allora, cosa aveva provocato quei sintomi così disturbanti?
Osservando con attenzione, si notano piccole cellule sospese nel vitreo residuo, non un emovitreo evidente, ma i segni di un minimo gemizio di sangue pregresso, frequente dopo una vitrectomia. Nulla di preoccupante. Questo sangue aveva un po’ sporcato il vitreo residuo dietro al cristallino (che non si può mai rimuovere), generando l’effetto visivo descritto dal paziente: una sorta di ombra mobile, fastidiosa ma innocua, destinata a risolversi da sola. E che nei giorni precedenti probabilmente era stata più massiccia di quanto non la vedessi io oggi, riducendo la vista del paziente.
Ciò che colpisce è che né l’optometrista né l’oculista che lo avevano visitato avevano identificato questo reperto, che invece era evidente. Ed era proprio la chiave dei sintomi.
La soluzione
Spiego tutto al paziente, che unendo la mia spiegazione al fatto che i suoi sintomi stavano effettivamente migliorando, se ne va molto più sollevato.
Perché racconto tutto questo?
Perché la vitrectomia per floaters non è un intervento cosmetico, né un gesto tecnico banale. È una procedura seria, che agisce in uno degli organi più delicati del corpo umano e coinvolge pazienti particolarmente sensibili ai cambiamenti visivi.
Anche quando tutto procede nel modo migliore, possono comparire sintomi o disturbi transitori che non indicano per forza una complicanza, ma sono parte del normale post-operatorio.
Questi fenomeni, come tanti altri che i pazienti mi riportano spesso ansiosamente dopo l’intervento, non sono segnali di complicanze: sono reverse indicators. Indizi del fatto che c’è un processo di guarigione in atto. D’altronde, con la vitrectomia, anche se solo per i floaters, stiamo cercando di curare un problema. Un processo di guarigione è quindi normale.
E per il chirurgo sono un richiamo all’umiltà, alla prudenza e alla responsabilità. La bravura non sta nell’essere infallibili — perché nessuno lo è — ma nel riconoscere e gestire ciò che accade, nel rimanere presenti, nel dare risposte, nel non sottrarsi.
Conclusione
Viviamo in un’epoca in cui ci si aspetta tutto e subito. Ma in chirurgia esiste ancora una cosa chiamata tempo biologico, che non si può accelerare.
Il recupero dopo una vitrectomia richiede pazienza, attenzione, prudenza.
Richiede fiducia.
E richiede di accettare che, anche quando tutto è stato fatto nel modo corretto, il percorso può presentare ostacoli che, una volta superati, consolidano il risultato finale.
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