14/11/2025
L’invidia è una di quelle emozioni che non ci piace ammettere. È scomoda, innominabile, quella che nascondiamo nel retrobottega di ciò che proviamo davvero.
Eppure, se ci pensiamo, l’invidia è una delle prime emozioni che ci insegnano qualcosa su di noi.
Da bambini la sentiamo come una f***a: l’altro ha un giocattolo, un’attenzione, un gesto… e noi ci sentiamo subito un passo indietro. Non sappiamo spiegalo, ma lì nasce già l’idea di valore: “Se lui sì, allora forse io no.”
Crescendo, questa dinamica non sparisce. Si fa più sottile, più silenziosa, ma resta lì: una corrente che si muove dentro quando vediamo qualcuno brillare proprio nel punto in cui noi ci sentiamo ancora incerti o incompiuti.
E lì incontriamo una difficoltà molto umana, la fatica di riconoscere che stiamo provando invidia. Perché culturalmente “è brutta”, e abbiamo paura che ammetterla significhi essere persone cattive o velenose.
Così la nascondiamo. E più la nascondiamo, più ci avvelena da dentro. Non è l’invidia in sé a renderci tossici, è l’invidia negata: quella che non ascoltiamo e che, proprio per questo, diventa giudizio verso l’altro, svalutazione, irritazione, freddezza… o addirittura auto-svalutazione.
Questa è l’invidia cattiva: quella che non guarda il desiderio, ma la persona. Quella che ci fa dire, anche solo mentalmente: “Preferirei che tu non avessi questa cosa.”
E in momenti così ci rendiamo conto di una cosa molto semplice, le emozioni non vanno cacciate, vanno guardate. Perché ogni emozione porta un messaggio, e l’invidia è forse una delle più oneste. Non mente. Non arriva per caso. Arriva per mostrarci un desiderio rimasto indietro. Questa è l’invidia buona. Quella che ci punge ma allo stesso tempo ci spinge. Quella che, se la sappiamo ascoltare, ci indica una direzione.
Un esempio quotidiano che potremmo vivere:
una persona a cui vogliamo bene trova il coraggio di cambiare vita, lavoro, città.
Una parte di noi si congratula. Un’altra parte, più nascosta, sente una f***a.
Se la ascoltiamo senza giudicarci, quella f***a ci sta dicendo: “Anch’io desidero una libertà così.”
Se la respingiamo, invece, diventa quella freddezza sottile, quella frase che ci esce un po’ velenosa: “Eh, beato lui.”
E la differenza tra queste due vie è esattamente la differenza tra invidia buona e invidia cattiva.
Poi c’è l’altra faccia: quella di sentirci invidiati. È una sensazione sottile, che spesso si percepisce più di quanto si veda. Un sorriso che cambia appena, un complimento che si ferma a metà, un entusiasmo che si smorza senza motivo. E allora ci viene spontaneo rimpicciolirci, parlare meno, ridurre la nostra luce, andare in penombra, custodire la gioia per non creare tensioni con l’altro.
Un esempio quotidiano:
raccontiamo una nostra piccola vittoria. E nei secondi successivi percepiamo un leggero gelo, una smorfia trattenuta. Subito pensiamo: “Forse ho detto troppo, dovevo stare zitto”
E quasi ci scusiamo per qualcosa che avrebbe meritato invece di essere celebrato.
Quando sentiamo l’invidia degli altri, si attiva una paura antica: la paura di perdere il legame proprio per ciò che ci riesce bene. La paura che ciò che ci rende unici diventi ciò che ci allontana.
Crescere però significa imparare a restare interi, anche quando la nostra interezza muove qualcosa negli altri. Significa ricordarci che la nostra luce non va abbassata per far sentire comodo qualcuno, che possiamo essere luminosi e gentili allo stesso tempo senza doverci scusare per ciò che siamo diventati, e che custodire le nostre conquiste non è arroganza, ma rispetto per noi stessi.
L’invidia, in qualunque direzione la viviamo, ci chiede presenza. Presenza con quello che sentiamo dentro e con quello che percepiamo fuori. L’invidia che proviamo ci indica un desiderio che abbiamo lasciato indietro e che chiede spazio. Quella che riceviamo ci ricorda che non dobbiamo rimpicciolirci per entrare nelle aspettative emotive degli altri.
Non si tratta di evitare certe emozioni, ma di non lasciare che siano quelle non comprese a guidarci. E l’invidia, se smettiamo di giudicarla, cambia forma, da nemica si trasforma in bussola. Quando la riconosciamo in noi, ci orienta. Quando la riconosciamo negli altri, ci restituisce il senso del nostro valore senza doverlo proteggere.
Alla fine, l’invidia è una domanda che la vita ci mette davanti. Una domanda su ciò che desideriamo davvero, sul coraggio di muoverci e sulla persona che stiamo diventando. E forse il punto è proprio questo: alcune emozioni non chiedono di essere risolte, ma riconosciute. E quando finalmente ci permettiamo di farlo, l’invidia smette di farci paura e comincia a parlarci.
Il resto… è quel lavoro silenzioso che ciascuno di noi continua dentro di sé, per essere ogni giorno una persona migliore. VS