02/11/2025
Questa donna è Alda Merini.
Una delle più grandi, forse la più grande poetessa italiana del Novecento.
Nasce a Milano nel 1931, in una casa modesta di viale Papiniano da un padre colto, affettuoso. Il suo primo regalo è un vocabolario, quando Alda ha cinque anni.
La madre, invece, austera e bigotta, vorrebbe per lei un futuro da “moglie e madre”.
Alda si vendica andando a mendicare tutta vestita di stracci, a tutti racconta di essere orfana. È ribelle per indole più ancora che per dispetto, in un’Italia in camicia nera che sta scivolando sempre più verso il baratro della guerra e in cui non c’è spazio per una come lei.
Dopo il 1943, si rifugerà per tre anni in un cascinale con la zia e la madre a Vercelli.
Quando torna a Milano, fa due cose che segneranno la sua vita per sempre: esordisce come autrice a 15 anni e, a 17, viene internata per la prima volta in una clinica, dove le viene diagnosticato un disturbo bipolare.
Ci convive per quasi vent’anni, tra cadute, risalite, stigmi, ma anche i grandi amori (su tutti quello con Giorgio Manganelli), il matrimonio, i figli, la scrittura, la consacrazione letteraria.
Fino al 1964, quando in seguito a un episodio, viene rinchiusa nel manicomio Pini di Milano, dove Alda subisce una degradazione fisica e umana indicibile fatta di elettroshock, isolamento, umiliazioni.
Quando ne uscirà, otto anni dopo, non sarà più la stessa persona.
Le ci vorranno anni di travaglio e riflessione, ma quando riprende a scrivere, nel 1979, mette in versi l’esperienza dell’ospedale psichiatrico e dà alle stampe il suo grande capolavoro: “Terra Santa”.
Racconta la follia da un punto di vista che nessuno aveva anche solo azzardato, la traduzione in versi della rivoluziona basagliana. Restituisce dignità e una dimensione umana ai “matti”, ne farà diario personale e insieme manifesto politico. Lo farà fino alla fine dei suoi giorni.
Alda Merini se n’è andata l’1 novembre del 2009, 16 anni fa esatti.
Ogni tanto sento il bisogno di rifugiarmi nei suoi versi, nelle sue canzoni, per cercare una forma laica di consolazione.
Un giorno scrisse ne “La pazza della porta accanto”:
“Ho la sensazione di durare troppo, di non riuscire a spegnermi: come tutti i vecchi le mie radici stentano a mollare la terra. Ma del resto dico spesso a tutti che quella croce senza giustizia che è stato il mio manicomio non ha fatto che rivelarmi la grande potenza della vita.”
Alda Merini è stata una delle più grandi intellettuali, pensatrici e rivoluzionarie degli ultimi cento anni. L’abbiamo capito tardi. Alcuni non l’hanno capito proprio. Altri ancora non lo capiranno mai.
Ciao Alda.