03/04/2024
Il cibo è una specie di droga?
E’ corretto definire il cibo come una vera e propria droga? Per gli obesi e le persone in forte sovrappeso possiamo dire decisamente di sì, nel senso che in costoro è stato ormai dimostrato, con raffinate indagini su varie aree del cervello in volontari umani, che mangiare o anche solo persare ad un alimento gradito stimola circuiti cerebrali gratificanti, portando a modifiche delle cellule nervose simili a quelle che si hanno in chi abusa di alcool o usa sostanze stupefacenti.
Il fatto è che quando mangiamo noi modifichiamo la biochimica del cervello nel senso che provochiamo la sintesi e la messa in circolo di vari neurotrasmettitori. Con questo termine indichiamo dei messaggeri chimici con i quali le cellule del sistema nervoso comunicano fra di loro e stimolano cellule di tipo muscolare o ghiandolare. Questi messaggeri (nel caso specifico principalmente serotonina, dopamina, anandamidi ed endorfine: la banda dei quattro…) vanno a stimolare determinate aree del cervello, fra le quali il sistema cerebrale del piacere e quello della memoria, provocando così una serie di risposte gradevoli capaci di determinare i successivi comportamenti. Questo significa che se quando consumo un certo cibo provo una esperienza sensoriale piacevole, questo fatto viene memorizzato dal cervello, cosicché in seguito rivedere o ripensare a quel cibo o essere sotto stress, depresso o di cattivo umore scatenerà il desiderio di mangiarne ancora per riassaporare lo stesso piacere provato in precedenza e comunque per migliorare lo stato d’animo. Come già accennato tutto questo avviene in modo molto più spiccato in chi è in sovrappeso rispetto a che è in normopeso.
In sostanza, il consumo di certi cibi dal particolare sapore e ricchi di zuccheri, grassi o sale (dolci, patatine, chips, snacks, fritti, alimenti molto grassi , ecc.) è letteralmente “ripagato” da un sistema cerebrale - definito “circuito della ricompensa” – che dà rapidamente sensazioni di piacere, di benessere, di soddisfazione, fino ad euforia. E non basta: col tempo si verificano anche particolari adattamenti agli effetti dei neurotrasmettitori, adattamenti che possono portare sia ad una assuefazione (necessità di assumere dosi maggiori di quel cibo per ottenere lo stesso effetto) che ad una vera dipendenza (impulso incontrollabile ad assumere quel cibo, al di là di ogni effettiva necessità). Con le conseguenze che è facile immaginare per quando riguarda gli equilibri della alimentazione abituale e quindi la salute.
Questi sembrano quindi essere i principali processi attraverso i quali quello che mangiamo finisce col determinare
Le successive scelte alimentari (cosa mangio e quanto ne mangio)
2) lo stato dell’umore.
Una doverosa precisazione. Gli stimoli arrivano anche dall’intestino, ove è localizzato una specie di secondo cervello, con neuroni trasmettitori e recettori gastrointestinali. Anche costoro, se stimolati dal gusto amaro, dolce o grasso, inducono la sintesi di trasmettitori (oppiacei, endorfina, ecc.) che agiscono sia sul cervello che sugli organi gastrointestinali medesimi.