La Stanza della Psicologia

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02/11/2025
Picasso "AMICIZIA" 1909AMICIZIA E AMORE L'amicizia è più pura e più rara dell'amore. Per questo è fragile, basta poco a ...
01/11/2025

Picasso "AMICIZIA" 1909

AMICIZIA E AMORE

L'amicizia è più pura e più rara dell'amore. Per questo è fragile, basta poco a corromperla. Un tradimento in amore è orribile ma può avere le sue motivazioni che vanno ricercate, a volte comprese. Si può talora anche riparare, perdonare. Nell'amicizia non è così perché l'amico vero ti conosce nel profondo, ti confida tutto di sé e tu gli confidi tutto, anche le cose di cui ti vergogni e gli errori che hai fatto. Ti affidi a lui come a una madre accogliente, un padre comprensivo, un fratello, una sorella che non hai avuto o hai perduto, al di là della sua identità sessuale. Un amico vero non ti tradisce, non omette nulla per timore di giudizio.
Perdere un amico/amica che ti conosceva come nessun altro al mondo è perderti, perdere tutto il tuo vissuto depositato nell'altro. Puoi anche avere un amore, e questo, per essere vero amore, dovrà conoscere tutto di te, anche ciò che non riveleresti mai per paura di ferirlo o di perderlo.
Ma è difficile in amore creare quella totale sincerità che caratterizza l'amicizia, anche se il partner dovrebbe essere lui/lei il miglior amico, il testimone della tua vita, poiché l'amore è un sentimento umano, estremamente complesso, e, anche se lo si nega, comporta sempre bisogno di totalità, centralità, possesso, l'amore è geloso, ti vuole interamente per sé. Non puoi rivelare le contraddizioni che inevitabilmente ti abitano, nei confronti di un partner che non può corrispondere sempre e in toto alle tue attese.
Siamo sinceri, è così anche nella migliore unione. Dal partner ti aspetti l'impossibile, cosa che non ti aspettavi dall'amico che non doveva soddisfare tutti i tuoi desideri, amava la tua anima e basta e non ti doveva piacere fisicamente. Ma ci parlavi sempre, di tutto, proprio anche delle tue defaillance psicofisiche. Col partner è invece opportuno tacere su molte cose.
Quando perdi l'amica/o, resti solo coi tuoi dubbi, le cose che vanno e che non vanno come vorresti, anche nel rapporto amoroso più soddisfacente. Non hai più nessuno con cui essere te stesso e basta, senza dover fingere un buon umore che, si sa, altalena, non può sempre essere uguale ogni giorno.

Se smettessi di credere nella bellezza dell'essere umano, nelle sue potenzialità innate, anche se obnubilate dalle inevi...
27/10/2025

Se smettessi di credere nella bellezza dell'essere umano, nelle sue potenzialità innate, anche se obnubilate dalle inevitabili traversie che costellano la vita di ognuno di noi, se non mantenessi accesa la torcia che illumina il buio, il mio lavoro, la mia stessa vita sarebbe inutile, un vagare nel deserto senza orientamento. I miei tantissimi anni sarebbero privi di senso. Le parole che dico sarebbero flatus voci senza l'impegno a tradurle in azione. È mio compito amare e far amare la vita anche nella sofferenza perché la vita è tutto, è amare lo Spirito che dà vita a tutto e fidarsi, affidarsi al progetto per cui siamo nati.
Il male imperversa e dobbiamo lottare affinché non ci travolga. Il male fisico e quello morale soprattutto. Anche l'essere umano più traviato, vuoi per il condizionamento a cui è stato sottoposto, vuoi per sua libera scelta, ha sempre e comunque una possibilità di riscatto. Il male non è mai radicale. Lo credo fermamente proprio perché sono in contatto continuo col male di vivere che svia la ragione e ogni buon senso disumanizzando l'uomo e riducendolo a un livello inferiore rispetto a qualunque altro essere vivente. Il mio è un lavoro faticoso che richiede coraggio e la virtù della pazienza sorretta sempre dalla consapevolezza che il malessere psicologico non è un destino e ci si può liberare da esso.
Osservo la mia vecchia Kenzia che partorisce di continuo nuovi getti che si apriranno in foglie secondo la legge scritta nella natura.

In "Menzogna romantica e Verità romanzesca" René Girard fa una splendida recensione del romanzo di Dostoevskij "L'eterno...
17/10/2025

In "Menzogna romantica e Verità romanzesca" René Girard fa una splendida recensione del romanzo di Dostoevskij "L'eterno marito". I due protagonisti sono un esempio eclatante della sua teoria del desiderio mimetico. Avevo letto questo romanzo tempo addietro e non ne avevo compreso la grandezza e la profondità psicologica così bene come quando ho letto il saggio di Girard. È un romanzo scritto dopo Delitto e castigo e L'idiota, poco noto fra le molte opere di Dostoevskij, ma bellissimo e importante per chi vuole esplorare verità nascoste nell'animo umano.
Velcianov, eterno amante, e Pavlovic, eterno marito, sono legati da un desiderio mimetico reciproco, diventando quasi due parti di una stessa persona in un'attrazione ossessiva che porta entrambi a un'intima e distruttiva complementarità. L'oggetto d'amore, la donna sposata con Pavlovic e amante di Velcianov, è morta e non ha alcuna importanza. I protagonisti, Velcianov e Pavlovic, sono legati da un desiderio mimetico reciproco che li attrae, rendendoli quasi due parti di una stessa persona in un'attrazione ossessiva che li porta a un'intima e distruttiva complementarità.
Il "desiderio mimetico" di cui parla Girard non è diretto verso un oggetto, è triangolato attraverso la mediazione di un altro soggetto di per sé insignificante. Il desiderio tra i due protagonisti è distorto e ossessivo e crea tra loro una fusione psicologica.
Velcianov e Pavlovic diventano pertanto sia soggetto del desiderio che mediatore l'uno per l'altro. Non c'è una "sposa" (oggetto del desiderio) di mezzo, poiché è già morta, e il desiderio si realizza ossessivamente sull'altro uomo tra una costante oscillazione tra attrazione e repulsione. Nonostante l'ossessione che li lega, i due personaggi sono continuamente in conflitto tra il bisogno di stare insieme e il desiderio di allontanarsi. Questa ambiguità si manifesta in comportamenti contraddittori: Pavlovic si prende cura di Velcianov malato, per poi tentare di ucciderlo poco dopo con un rasoio.
Girard ritiene Dostoevskij lo scrittore per eccellenza del "male metafisico", proprio perché i personaggi sono incapaci di un desiderio autonomo e il legame tra Velcianov e Pavlovic è tale che uno non possa esistere senza l'altro.
L'appellativo "eterno marito" non si riferisce dunque al matrimonio, ma alla rivalità che ossessiona l'uno nei confronti dell'altro, eterno amante, un'ossessione che si trasforma in una sorta di amicizia, creando una situazione di ipocrisia masochista in cui ciascuno dei due è spinto a replicare le dinamiche del suo copione, di eterno marito ed eterno amante, in una nuova triangolazione che serve solo a permettere un'analoga messa in scena.
Non abbiamo qui nulla a che vedere con l'amore che non è il motore della vicenda, ma ben altro. Abbiamo a che vedere con l'invidia, la gelosia dello "status sociale" che i protagonisti rivestono. È un romanzo straordinario, a volte anche umoristico, ma crudo, sulle vere motivazioni che sostengono tutto il comportamento ambiguo dei due personaggi. Lo trovo estremamente attuale e si potrebbe oggi tranquillamente rivoltare la vicenda immaginando al posto dei due uomini due donne.

08/10/2025

Prestare attenzione a qualcuno che ci parla è un grande dono che facciamo all'altro, non gli diamo solo la nostra presenza ma la mente e il cuore. A volte ci accorgiamo di non essere ascoltati come vorremmo e la cosa dà fastidio.
Accade a volte di essere fisicamente presenti ma distratti dai nostri pensieri, dalle nostre preoccupazioni. L'altro si sente trascurato, quasi non esistesse.
Un terapeuta che non dà tutta l'attenzione al suo paziente, risponde al telefono o anche semplicemente messaggia, oppure è distratto da problemi personali, non fa di certo un buon lavoro.
La prima cosa di cui un paziente ha bisogno è avvertire che la sua persona è importante, dal momento che molti disagi psicologici derivano proprio dal fatto che non si è ricevuta la giusta considerazione dalla famiglia e dal mondo esterno.
Per questo motivo ho sempre consigliato ai miei allievi, futuri terapeuti, di non prendere appunti durante un colloquio e di non distogliere gli occhi dal loro viso e da tutto il loro corpo che dice molto più delle parole.
Non dobbiamo avere timore di dimenticare.
Se diamo vero ascolto accogliamo l'intero vissuto dell'altro ed è impossibile non ricordare.
Eppure c'è chi appunta, anche dopo il colloquio, per predisporsi alla seduta successiva. Si perde in tal modo la naturalezza e la spontaneità.
Ogni incontro è un atto creativo, sempre nuovo, contenente in sé tutto il patrimonio di ciò che è stato insieme costruito.

Mi sono soffermata a riflettere su questo passo tratto dal libro che ho finito da tempo e che ora, dopo grande indecisio...
27/09/2025

Mi sono soffermata a riflettere su questo passo tratto dal libro che ho finito da tempo e che ora, dopo grande indecisione per via dell'autocritica che sempre mi caratterizza nei confronti di quanto scrivo, è in via di pubblicazione. Mentre correggo le bozze, queste parole che avevo dimenticato ( chissà perché non rileggo mai ciò che scrivo) mi fanno riflettere e forse faranno riflettere chi legge.

"Raccontarsi non è mai veritiero. Ricordare, riflettere sul passato, comporta il rischio di potenti deviazioni dalla realtà che viene trasfigurata ora in un modo, ora in un altro, a seconda dell’umore del momento. Si cercano e si trovano ragioni che rispondano agli infiniti perché insoluti, destinati a non avere mai risposta certa. Infinite e insondabili sono le ragioni che possano offrire spiegazioni plausibili alle nostre vite ingarbugliate e irrisolte. Fino a che capiamo che non c’è mai un perché dei nostri dialoghi labirintici interiori e ci rendiamo conto che la nostra storia, che per noi è unica e irripetibile, e pensiamo addirittura irrimediabile, non è altro che un dettaglio di un affresco immenso che ci sfugge nella sua interezza quando lo guardiamo da troppo vicino. Quando poi lo guardiamo dalla giusta distanza, assume il preciso significato che non a caso ha [...]

Ma questo sguardo complessivo lo può dare solo il tempo e allora, solo allora, comprendiamo che quella minuta sagoma è ben definita e non è altro che la nostra storia, la nostra piccola storia, degna di significato nella sua apparente inezia."

26/09/2025

La vita ci sorprende sempre, anche se non ci rendiamo conto dei continui micromutamenti che accadono fuori e dentro di noi. Di questi difficilmente accorgiamo. Poi, all'improvviso, si verifica un evento esterno che sovverte pensieri, convinzioni, lo stato d'animo, e percepiamo il mondo tutto, le persone, le cose e noi stessi diversamente. Questo fenomeno ci può turbare sia in senso positivo che in senso negativo. Se ci disturba neghiamo, poniamo in essere potenti manovre di evitamento che riconducono alle vecchie abitudini per ristabilire l'omeostasi del sistema che, per sua natura, non tollera sconvolgimenti.
Ma possono accadere eventi inaspettati molto piacevoli e che non ci saremmo mai immaginati o non ci aspettavamo più che accadessero. Sembrano miracoli e non ci rendiamo conto che non sono certo fenomeni soprannaturali ma solo frutti del caso. Come quando si vince una lotteria.
L'essere umano desidera novità, emozioni, cambiamenti, ma raramente possiede in sé gli strumenti atti a gestirli poiché tende a esaltarsi, a superare il limite. Le parti emotive prendono il sopravvento.
Per una vincita al gioco ci si può rovinare. Così per un grande successo dopo anni di insuccessi, tanto nel lavoro quanto nella vita affettiva. Ci si sente forti, potenti, vincenti nella partita a scacchi con la vita. Si dimentica che tutto può cambiare dal momento che l'essere umano è imprevedibile per le sue innate contraddizioni.
È qui che la ragione deve tenere le briglia strette e governare i facili entusiasmi. Quanti amori nati a prima vista svaniscono se non si è allineati interiormente.
Il successo raggiunto con il proprio lavoro non inorgoglisce. L'amore conquistato con ponderazione e saggezza non è un falò che si spegnerà alla prima pioggia.
Tutto ciò che viene dal caso è affidato al caso.
La vita è così, imprevedibile come la natura, oggi c'è il sole e domani chissà.
Il problema è che l'essere umano si lascia travolgere dal momento.
Credo sia opportuno non credere al caso né al destino ma nell'impegno che mettiamo.per raggiungere i nostri obiettivi.

16/09/2025

"Ci sono persone che avere accanto mettono a disagio, ma è impossibile lasciare."
È una frase estratta dal libro che sto per pubblicare. È il pensiero che attraversa la mente della protagonista di questo racconto. Ci sto riflettendo sopra e dico che è di una verità sconcertante.
Siamo abitati da contraddizioni costanti poiché siamo umani. La ragione non può darne spiegazioni anche se vorremmo sempre trovare un perché a ogni moto dell'anima. Neanche il cuore le sa trovare, anzi, svia suggerendo ora una verità e ora un'altra. Credo che sia meglio fare silenzio e lasciare il punto interrogativo. Tutto ciò che proviamo accade e basta, senza un motivo a noi comprensibile. Che fare allora? Stare fermi e rimanere nel dubbio fino a che non si scioglierà da solo quando avvertiremo una voce sottile, non un rumore fragoroso, un tuono. Solo nell'assoluto silenzio della mente potrà filtrare quella verità nascosta che ci sussurra ciò che è bene e ciò che è male, se fuggire o rimanere lì dove siamo. Dobbiamo solo ascoltare.
Solo un'analisi di quanto accade nel nostro sé profondo può permetterci di contattare i nostri dilemmi interiori, comprenderli, accettarli e infine scioglierli. Se non mi conosco e non mi riconosco nella continua lotta interiore, se non la vedo e non la accetto, non mi libero. La vita sembra un caos e si prende la decisione più comoda, quella che passa per la via larga. Scappo via da me e basta.
La protagonista del mio romanzo ha la capacità di rivedere tutta la sua vita, con dolore e orrore, e infine trova la forza di agire, non di continuare a porsi domande inutili. L'azione sblocca e apre a svolte imprevedibili.
Quando siamo indecisi e proviamo sentimenti contraddittori, è necessario dire stop. Passiamo all'azione che quella voce sottile ci suggerisce e non è altro che la coscienza morale, non quella razionale. Ci fidiamo e procediamo sicuri. Sappiamo distinguere il bene dal male.
La protagonista del mio libro così farà.

Ritornare sui propri passi, riconoscere gli errori commessi, chiedere scusa e perdono con sincerità di cuore, è un passo...
11/09/2025

Ritornare sui propri passi, riconoscere gli errori commessi, chiedere scusa e perdono con sincerità di cuore, è un passo di grande maturità. Come del resto è atto maturo accogliere le scuse e perdonare il torto ricevuto. Quando accade questa riconciliazione proviamo un senso di leggerezza, ci siamo liberati dal passato e siamo pronti a una vita rigenerata.
Accade nella vita di riprendere un rapporto quando chi lo ha interrotto si pente di averlo fatto e si rende conto di quanto smarrimento ha causato.
Può accadere che una persona cara che credevamo perduta per sempre, avesse invece incontrato un ostacolo che in quel momento gli sembrava insormontabile e si fosse allontanata determinando in noi, ignari della situazione che stava attraversando, tanto disorientamento.
Si ripresenta, dopo molto tempo, sinceramente contrita e dispiaciuta del disagio arrecato e ci dice che si può ora di nuovo percorrere insieme il cammino.
È un'immensa gioia. La vita si riaccende e si riprende il filo buono interrotto, perché il filo può essere davvero buono.
Questa è la strada per risanare contrasti, sciocche incomprensioni.
Dobbiamo sempre accogliere un sincero pentimento, comprendere e saper perdonare, riconoscendo in primis anche le nostre responsabilità, se ne abbiamo, di quanto è accaduto.
Non accade tra i popoli in guerra, no, non accade, per presunzione, delirio di supremazia e infinite perverse ragioni.
Cerchiamo almeno noi, nel nostro piccolo, di fare il nostro meglio.

07/09/2025

Il disturbo narcisistico della personalità è fra i più severi diagnosticati. Per esprimersi su di esso è necessaria una profonda conoscenza e comprensione della sofferenza che comporta.
È molto difficile da trattare per noi analisti. Vi è un'infinita gamma di variabili e spesso è in comorbilità con altri disturbi.
Sia nella sua manifestazione più grandiosa, più manifestamente riconoscibile, sia in quella più nascosta, si caratterizza da stati depressivi a volte di lunga durata. Sono pazienti con alta vulnerabilità, estremamente dipendenti dal giudizio esterno.
Le cause sono varie: sono stati bambini dotati per natura di particolare sensibilità al condizionamento familiare che può averli spinti al successo, al primato, o al contrario ha demolito la loro autostima proponendo traguardi irraggiungibili. In entrambi i casi non hanno potuto sviluppare un'immagine realistica di sé.
Si rivolgono a un terapeuta solo nei momenti in cui avvertono la loro fragilità, ma spesso vanno avanti inconsapevoli avendo appreso strategie per nasconderla a sé stessi e agli altri.
La cura farmacologica risulta inefficace, anche se nello stato depressivo grave è opportuno l'aiuto farmacologico. Tuttavia non risolve il problema quando la personalità si è già strutturata.
Le relazioni che queste persone stabiliscono, soprattutto in ambito affettivo, producono gravi danni non solo agli altri, considerati oggetti per colmare il vuoto interiore e la costante insoddisfazione, ma anche a loro stessi poiché vivono pessimamente ogni insuccesso, critica, abbandono.
Vivono male la solitudine poiché mancano di una reale percezione di sé e del mondo.
Le convinzioni sono distorte, tendono a giustificare il loro comportamento e a colpevolizzare chi non li apprezza come vorrebbero. Possono arrivare ad atti autolesionistici dovuti all'incapacitá di regolare le emozioni.
Le persone che si relazionano con loro vanno incontro a grandi sofferenze per le manipolazioni subite e l'assoluta mancanza di sincerità. Purtroppo sono inconsapevoli dei loro problemi, hanno anch'esse bassa capacità di discernimento e autostima e sono attratte da chi sembra inizialmente farle sentire importanti ed uniche.
Quando si rendono conto, rivolgendosi a un terapeuta, di questo bisogno infantile rimasto vivo e si impegnano in un lavoro di analisi che va in profondità, se ne possono liberare attraverso un percorso lungo e doloroso di comprensione di sé e dell'altro superando giudizi e desideri inutili di vendetta.
È necessario comprendersi e comprendere, eliminando sensi di colpa e colpe da attribuire all'altro.
Il narcisismo patologico è un disturbo grave ed è necessario rendersi conto che si è avuto a che fare con una persona gravemente danneggiata e inconsapevole delle conseguenze delle sue azioni. Altrimenti non si esce mai dalla spirale di odio e risentimento, sentimenti sempre autodistruttivi.
Chi è portatore del disturbo narcisistico è talmente radicato nei suoi schemi compulsivi che raramente potrà guarire da esso. Potrà forse in parte migliorare sottoponendosi con impegno a un trattamento psicoanalitico o psicoterapico che può durare anche tutta la vita.
La compulsione a ripetere schemi di pensiero e comportamento acquisiti negli anni può in un attimo distruggere il lavoro di anni. Devono essere costantemente monitorati, e spesso non basta neanche questo.
Invecchiando il disturbo non può, senza aiuto, che peggiorare e l'ultima stagione della vita può essere vissuta molto male dopo infiniti tentativi e fallimenti.
Dobbiamo comprendere la grande sofferenza cui vanno incontro. Sono persone razionalmente intelligenti, ma la loro intelligenza non è accompagnata dalla capacità di vivere il sentimento.
È mancata una vera e propria educazione al sentire il dolore e la gioia che fanno parte della vita.
Per fuggire dal nulla interiore, dal vuoto che non saprebbero come gestire, hanno eliminato la capacità di sentire. Così vivono una vita che avvertono come priva di senso se non riempita dalla ricerca spasmodica di effimere emozioni.
Hanno un sé frammentato, le funzioni del mondo interiore sono scisse.
La cura deve basarsi sulla ricerca della loro ricomposizione ma raramente riusciranno a contattare il loro vero sé. Rimangono il più delle volte ancorati all'Io fittizio che hanno dovuto costruire e che è destinato continuamente a disgregarsi lasciandoli in un senso di vuoto incolmabile e di insopportabilità della vita.
Questo stato può portare a tentare anche più volte il suicidio.
Ecco perché dico che dobbiamo comprendere e non infierire.
Chi entra in relazione con queste persone deve comunque allontanarsene per propria autoconservazione e non essere complice del male che l'altro causa, anche a sé stesso.

https://youtu.be/pknugftP5Jg?si=BVkZNF99RKxAff2q

I pazienti inguaribiliPerché non dire la verità?  Si sa che la verità è scomoda, soprattutto per chi come me ha dato la ...
27/08/2025

I pazienti inguaribili

Perché non dire la verità? Si sa che la verità è scomoda, soprattutto per chi come me ha dato la sua vita a curare pazienti di ogni genere. Ma la verità bisogna pur dirla, anche rischiando aspre critiche.

Leggo, sento affermare che non vi è disturbo psichico, anche il più serio (e mi riferisco ai più compromettenti disturbi della personalità) dal quale non si possa guarire. E poi "guarire" è un verbo che non mi piace, sa di miracolo, e noi terapeuti non abbiamo poteri taumaturgici. Diciamo meglio liberarsi da qualcosa che affligge l'essere umano e non lo rende capace di trovare il senso della propria vita.

Alcuni pazienti, pochi in verità, pur sottoposti a ogni tentativo di cura farmacologica e psicologica, pur avendo raggiunto la consapevolezza delle cause della loro infelicità e conoscendo il modo per uscirne, rimangono bloccati negli schemi appresi e non riescono a operare quella vera e propria conversione di marcia che apparentemente desiderano. Eppure hanno trascorso una vita in psicoterapie o psicoanalisi di ogni genere, tutte risultate inefficaci e dichiarate fallimentari. Hanno cambiato non so quanti terapeuti, sono stati e continuano a essere assidui nell'assumere i farmaci prescritti.

Niente da fare. Può anche darsi che nessun terapeuta sia stato all'altezza e che i farmaci prescritti siano sbagliati. Può essere certamente che in certi casi tutti gli psicoterapeuti, gli psichiatri, gli psicoanalisti, i guru, i maestri di saggezza, di ogni setta e indirizzo, abbiano fallito nel loro intento o che a volte qualsiasi metodo di cura psicologica sia per natura inefficace.

È una possibilità, chi può dirlo. È comunque senza dubbio la convinzione di coloro che non ne hanno tratto alcun beneficio.

C'è sempre tuttavia da domandarsi se vi sia una ragione del fallimento di ogni possibile cura, e quale sia, dal momento che si è tentato di tutto e di più. Chissà, la scienza ha anch'essa i suoi limiti e chi può mai arrivare a comprendere razionalmente le contraddizioni della psiche umana, perché mai un essere umano, a differenza di qualunque altro animale, ami a volte più l'autodistruzione che la preservazione della vita. Quella sorta di necrofilia di cui parlava Fromm.

Ciò accade ovviamente ai pazienti affetti da gravi disturbi della personalità. Si sono a tal punto identificati col loro modo di pensare e di relazionarsi che fuoriuscirne rappresenterebbe la perdita della loro identità, del loro Io cui non vogliono, non possono rinunciare. Sarebbe come perdere il corpo, la pelle e tutti gli organi che tengono in vita. Sarebbe contattare e non combattere quel vuoto di senso che in verità è da sempre presente e non si può sostenere, si deve in qualche modo combattere, riempire, anche con cibo avariato.

Non tutti i pazienti sono in grado di affrontare questo stato, vissuto come un tremendo dèmone, e compiere una vera e propria rivoluzione che li liberi non tanto da esso quanto da sé stessi. Ci può essere un qualche miglioramento, ma bisogna vedere se sia momentaneo, apparente, non destinato a produrre una reale trasformazione. Del resto, qualunque essere vivente ha una sua natura, una sua "forma" e un cespuglio di rovi non potrà mai diventare un baobab. Potrà liberarsi da qualche intreccio spinoso ma non potrà procedere oltre. A meno che... C'è sempre un almeno che: accettare la propria natura e migliorarla seguendo la sua precipua traiettoria. In natura tutto ha un suo valore, dal filo d'erba alla pianta più maestosa purché non sia deviata dal suo naturale processo di evoluzione.

Purtroppo accade che gli esseri umani si affezionino al malessere esistenziale, alle spine che li pungono, e alcuni non se ne vogliano in alcun modo liberare. Pensano che, ripetendo schemi cognitivi e comportamentali acquisiti e ben radicati in qualche area del cervello, se ne libereranno, provando e riprovando sempre alla stessa maniera. Come un giocatore che, pur avendo perso tutto, riprova con l'assurda convinzione che si rifarà alla prossima giocata e punta tutto, anche se pieno di debiti insoluti, sempre allo stesso modo e sullo stesso numero.

Sono processi che accadono nelle profondità della psiche e di cui non ci si rende minimamente conto.

La "guarigione" non accade se non si vuole veramente guarire, con tutta l'anima e l'impegno necessario. Nei Vangeli perfino Gesù sa bene che il miracolo non accadrà se non sinceramente richiesto dal profondo del cuore. "Vuoi tu guarire?", questa è la domanda rivolta al paralitico bloccato da trentotto anni sul bordo della piscina. "Sì, lo voglio" è la risposta, una risposta che indica non solo il desiderio di recuperare la salute, ma la fiducia assoluta nella potenza della vita, del bene sul male, una fiducia nell'altro e nelle proprie possibilità.

Purtroppo, disgraziatamente, questa fede-fiducia in alcuni esseri umani non sussiste, non si è potuta sviluppare, vuoi per l'ambiente, vuoi per chissà quale altra oscura causa, forse biologica, o forse no. Fatto sta che il seme è germogliato a modo suo.

Io terapeuta non posso "volere" al posto del mio paziente. Mi impegnerò con tutta me stessa, ma non ho il potere di piegare la volontà di nessuno. Il paziente inguaribile afferma di volere, ma in lui è presente una controvolontà che lo conduce in tutt'altra direzione.

Il lavoro terapeutico si fa in due, remando nella stessa direzione. Se il paziente, pur sempre accondiscendente nell'ora di terapia, tornato sui suoi passi agisce a modo suo, disfacendo come Penelope la tela, il lavoro è improduttivo e dannoso tanto per il paziente quanto per il terapeuta che si è tanto adoperato.

Pertanto, quando ho davanti a me un paziente che nonostante tutto l'impegno dei tanti colleghi che mi hanno.preceduto e nonostante la mia totale dedizione
si rivela resistente a ogni pur minimo cambiamento, anzi, fa di tutto per contrastarlo, dopo avere chiarito bene, sia dentro di me che nell'altro, quanto accade, lo invito garbatamente, con il massimo rispetto e con tutta la comprensione del suo stato di sofferenza, a prendere atto che non intendo più seguirlo.
Sarebbe un dispendio di tempo e denaro per lui inutile e per me disonesto.

Non voglio ingannare nessuno, non mi interessa il mio tornaconto. Sono consapevole delle mie possibilità e dei miei limiti e sono responsabile nei confronti dell'altro che è responsabile infine solo lui dell'uso che farà del tempo di vita che gli è dato.

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