26/10/2025
XYZ stavolta è proprio avvilita ed arrabbiata.
Non le avevano detto tante cose, quando le hanno detto che si era ammalata.
Le hanno detto che doveva fare un intervento, sì, quello sì. Le hanno detto che poi doveva fare della terapia (e per fortuna non la peggiore). Le hanno detto che poi doveva prendere un farmaco per 5 anni, almeno.
Sì, quello gliel’hanno detto.
Le hanno anche detto, dopo qualche mese, che il farmaco andava cambiato, perché il primo non stava andando del tutto bene. E che il secondo poteva avere effetti collaterali anche pesanti, per qualcuno non tollerabili. Le avevano detto che però, nella maggior parte dei casi, dopo qualche mese tutto si assesta e gli effetti collaterali (se mai ci fossero stati) sarebbero spariti o comunque diminuiti.
Sì, anche questo glielo avevano detto.
Le avevano detto tanta teoria.
Ma non le avevano detto che nella pratica, oltre ai cambiamenti fisici, ci sono anche quelli emotivi. E quelli no, non li immaginava così. Sebbene XYZ non fosse una sprovveduta, né una persona che non riflette su di sé o che non lavora su sé stessa.
Aveva conosciuto anche tante persone che ci erano passate prima di lei, più o meno vicine a lei. Le aveva viste, ascoltate parlare. Le avevano detto la teoria, anche quella emotiva.
Ma XYZ non immaginava, nemmeno lontanamente, di sentirsi come si sente in alcune giornate.
Estranea a sé stessa, in una sensazione di fatica costante e continua, di continuo e costante peregrinare fra un fastidio e l’altro, fra un mal di testa incessante e un’insonnia perenne, uno sfinimento lento ed estenuante che sembra non darle mai, mai tregua. Non sono fastidi acuti ed insopportabili…ma peggio, sono quelle gocce di acqua di un rubinetto che perde giorno e notte, che ti sdrenano e corrodono lentamente, fra l’avvilimento, la tristezza e la rabbia.
XYZ era stata fortunata, era sempre stata in salute. E ora non capisce, non accetta di ritrovarsi dentro un corpo che non le risponde più come prima, che sembra quasi “tradirla”…come l’ha “tradita” silenziosamente con quella malattia che è nata dentro di lei zitta zitta, senza avvisare.
XYZ pensava di essere capace di prevedere tutto questo. E invece no, per niente.
E a volte è proprio difficile starle vicino, cercare di trovare le parole giuste per rassicurarla, per motivarla a non scoraggiarsi, a darsi tempo per assestarsi, per capire quale modo può trovare per migliorare i suoi fastidi ed abituarsi a quei cambiamenti che ora le sembrano inaccettabili…per ritornare ad essere alleata del suo corpo, giocare nella stessa squadra e non viverlo come un nemico, un avversario da odiare. Prendersi cura di lui ancora più di prima, perché è un corpo che ha bisogno di lei e delle sue attenzioni. Perché non la vuole tradire. Ma ha bisogno di essere ascoltato.
E’ difficile, perché in fondo ha ragione XYZ, ad essere arrabbiata, stanca, spaventata (Oh, quanta paura che ha!! Non lo dice spesso, ma ha il terrore ogni santo giorno, che qualcuno le dica presto o tardi che “Ops, ci era sfuggita una macchiolina anche da un’altra parte…”).
Ha ragione, ma io so che passerà, prima o poi passerà, come sempre.
Difficile viversi questo tempo-a-resa-ridotta con serenità, perché d’altro canto lei ha una gran paura di sprecarlo, il tempo, visto che ha capito che non si può mai sapere, quanto ne abbiamo. Vorrebbe ottimizzarlo, viverselo, goderselo al massimo. Ma quando si ritrova stesa senza forze per alzarsi dal letto, così all’improvviso…è difficile sapere cosa dirle e come consolarla.
Che fregature, ‘ste malattie. Che prima ti danno una mazzata per il fatto di essere arrivate. E poi ti lasciano uno strascico di fatiche, che nessuno considera, nessuno sembra comprendere e anzi, “cosa ti lamenti, sei guarita!”.
Ma va beh, vaglielo a spiegare come ne stai uscendo, da quella tempesta. Non si può spiegare, non si può davvero capire.
Faccio un lavoro che mi porta a confrontarmi costantemente con tante fatiche diverse. A volte, ingenua, penso che alcune le posso capire “bene” perché le ho vissute in maniera simile al paziente che ho davanti. Penso di potermi mettere nei suoi panni più facilmente che in altri casi.
Ma…no, non è vero. C’è sempre quel pezzo di vita propria che mi manca, quella tessera del mosaico che è sua e solo sua. E va rispettata con la più grande cura e delicatezza che ho.
Devo ancora trovare il punto di svolta con XYZ, la chiave per aiutarla ad accettare. Siamo su un’altalena molto movimentata, che giornalmente ci sorprende con un’oscillazione inaspettata.
Al momento, credo di dover solo saperle stare accanto. Esserci. Ascoltare. Accogliere le sue frustrazioni, le sue lacrime, le sue paure. Spiegarle che può sentirsi esattamente come si sente, senza per questo sentirsi sbagliata o rotta.
Va bene così, XYZ. Sei dentro un uragano.
Non è una battaglia, non ci sono nemici.
C’è un’evoluzione in corso. Ti porterà un passo più avanti.
Asseconda, accetta, piangi, urla.
Va bene così…