09/11/2025
Liste d’attesa: il problema non è solo quante prestazioni facciamo, ma soprattutto quante non dovremmo farne
Quando si parla di liste d’attesa, la risposta istintiva è sempre la stessa: servono più prestazioni, più slot, più diagnostica, più specialisti. È il riflesso condizionato della politica e di una parte dell’opinione pubblica: al problema della domanda si risponde aumentando l’offerta. Ma se la domanda è malata, aumentare l’offerta non cura il sistema, lo intasa più velocemente.
Lo ha detto chiaramente Michele De Pascale, con un’onestà che raramente si ascolta in pubblico: «Dentro una lista d’attesa di mille persone, ce ne sono alcune che non avrebbero bisogno di quella prestazione. […] Ogni prestazione erogata a chi non ne avrebbe bisogno viene tolta a chi invece ne ha l’effettiva necessità».
Impallinato il cuore del problema. Non mancano solo le risorse. Manca un argine. Manca il filtro. Manca qualcuno, o qualcosa, che dica questo sì, questo no, questo non ora, questo non serve.
Scale infinite di impegno specialistico consumate da percorsi clinici che nessuno ha il coraggio di interrompere: noduli tiroidei benigni seguiti per anni, spesso decenni, senza che un clinico scriva nero su bianco che il viaggio può finire. Radiologie refertate con il pilota automatico che sfornano “si consiglia controllo annuale”, formule preconfezionate buone per ogni stagione e nessuna in particolare, dermatologie perfette che si concludono con “rivedersi tra 12 mesi”, ipertensioni ben controllate rimpallate al cardiologo come se il numero sul referto fosse un talismano da esorcizzare in ospedale.
E a ogni riga di quei referti qualcuno, inevitabilmente, resta incastrato: il medico di medicina generale, che dovrebbe fare da filtro, da regista, da interprete del bisogno reale, si ritrova troppo spesso nel ruolo di bersaglio. Se non invia il paziente richiesto dallo specialista temendo un contenzioso relazionale o medicolegale, rischia di essere percepito come quello che “nega gli accertamenti”. Se lo invia, alimenta quel meccanismo che tutti fingono di non vedere: la lista cresce non per eccesso di malattia, ma per eccesso di abitudine prescrittiva.
Certo, esiste anche l’inappropriatezza delle richieste di noi medici di medicina generale, e va riconosciuta. Mandare al cardiologo un paziente per ‘ipertensione’ per giunta con una pressione perfettamente compensata non è difendibile. Ma il fenomeno non si spiega con la caricatura del “MMG che invia tutto per paura o pigrizia”. Molto spesso è l’esito inevitabile di un sistema che spinge verso la deresponsabilizzazione clinica: lo specialista non chiude il percorso, non si assume la decisione di dimettere in follow up territoriale, non scrive “non necessita di ulteriori controlli”, preferisce una formula neutra che non gli costi capitale relazionale o esposizione legale, e lascia che il futuro venga deciso da un altro.
Inoltre manca totalmente la formazione, i nostri aggiornamenti raramente sono di iniziativa o su queste tematiche importanti. Ma soprattutto manca la formazione degli specialisti, perche’ spesso il conto da pagare arriva al medico di medicina generale quando la frittata e’ stata fatta in ospedale.
Così la sanità diventa davvero, come dice De Pascale, un click day. Veloce a premere, primo a ottenere. Nessuna stratificazione di bisogno, nessun triage reale, nessuna gerarchia clinica, nessun ateggiamento critico sulla domanda. Nella ricetta dematerializzata bastano “due parole in fondo”, ma nessuno le legge, nessuno le usa per modulare la priorità, nessuno ha gli strumenti per respingere l’inappropriato o chiedere conto del razionale clinico.
E mentre si moltiplicano esami e visite per chi non li necessita, chi ha davvero bisogno resta in fondo, invisibile come certe diagnosi rare, ma molto più frequente. È lì che si perde l’equità, non nella carenza di macchine o di medici.
La verità impopolare è questa: le liste d’attesa non si accorciano solo aggiungendo risorse, ma togliendo rumore.
Il vero cambio di paradigma non sarà una nuova lista appuntamenti nel privato convenzionato. Sarà il giorno in cui qualcuno dirà ufficialmente: per tutelare chi ha bisogno, dobbiamo smettere di accontentare chi non ne ha.
E soprattutto quando il sistema finalmente metterà il medico di medicina generale nelle condizioni di fare il filtro, non di subirlo. Ma per fare questo servono investimentiaul territorio e sulla formazione a 360 gradi del personale sanitario. Mentre la politica, non comprendendo radicalmente il problema, prova ad aggiungere slot che non basteranno mai.
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di Marco Nardelli
Il commento di Pascale su https://www.piacenzasera.it/2025/11/pazienti-da-fuori-regione-intasano-la-sanita-serve-appropriatezza-nella-prescrizione-degli-esami/618774/