21/11/2025
Roberta Bruzzone Psicologa e Criminologa
Quando il predatore indossa la divisa e la vittima è ancora più a rischio.
La recente sentenza della Corte d’Assise di Bologna – che ha condannato all’ergastolo Giampiero Gualandi per l’omicidio della vigilessa Sofia Stefani del 16 maggio 2024 – ci consegna-non solo una vittoria formale della giustizia, ma un grido contro la manipolazione affettiva che troppo spesso resta invisibile. 
Questa storia racchiude un modello — agghiacciante ma purtroppo frequente — di relazione predatoria e manipolatoria.
Alcuni punti chiave che meritano la nostra attenzione professionale:
- Si parla di una relazione segreta, extraconiugale, che si protraeva nonostante le rassicurazioni dell’imputato alla moglie, e le insistenze della vittima verso la verità. 
- La vittima soffriva di una fragilità psicologica – un disturbo della personalità – e l’accusa parla chiaramente di un soggetto che «ha approfittato delle sue fragilità esercitando una feroce manipolazione, sia professionale che sessuale». 
- Uno degli elementi più inquietanti: un “contratto di sottomissione sessuale” firmato tra l’imputato e la vittima. Per la difesa «un gioco», per la Procura e la Corte «sintomatico di una relazione di potere dove lui era il dominatore e lei la persona sottomessa». 
- Il soggetto manipolatorio indossava una divisa, aveva potere e autorità, e ha usato questo ruolo per tenere legata la vittima (promessa di “diventare sua vice” quando avesse preso il comando). 
La sentenza: l’ergastolo e l’aggravante del legame affettivo (caduto il “futili motivi”).
La Corte ha ritenuto non credibile la versione dell’imputato – che parlava di “tragedia non voluta”
Perché questa storia ci riguarda come professionisti della psicologia, della criminologia e del supporto alle vittime
1. La manipolazione affettiva non è solo “una storia romantica finita male”, è un’agenda intenzionale, graduale e strutturata di soggezione psicologica. Quando la vittima ha una fragilità (scarsa autostima , trauma pregresso, bassa autostima), il manipolatore seleziona, promette, alterna carezze e minacce, crea dipendenza — fino ad arrivare al silenzio, alla sottomissione, alla distruzione.
2. Il contratto di schiavitù sessuale è una spia chiare: non è solo “fantasia erotica” come vorrebbero presentarli i colpevoli, ma spesso – in queste dinamiche – la ritualizzazione di un potere che viene anticipato, accettato, interiorizzato dalla vittima perché costretta a credere che l’amore sia condizione subordinata all’obbedienza.
3. Il contesto istituzionale e di autorità amplifica la trappola: quando colui che “te la fa” indossa una divisa, un ruolo, una funzione sociale, la vittima percepisce meno possibilità di chiamare in causa la responsabilità dell’altra, meno spazio di resistenza. Ed è per questo che la Corte ha rilevato l’aggravante della relazione affettiva.
La sensibilizzazione precoce è la chiave: capire i segnali — alienazione, richieste di sottomissione, isolamento, promesse irrealistiche, contratti sessuali, manipolazione del ruolo professionale — è fondamentale per intervenire prima che la storia “arrivi alla sua tragica conseguenza”.
Questa vicenda è un segnale dei nostri tempi: storie di abuso psicologico, manipolazione affettiva e distruzione della vita altrui sono molto più frequenti di quanto ci piacerebbe credere. È un’epoca profondamente travagliata — e il nostro impegno come professionisti, formatori, operatori, divulgatori deve essere costante e intensificato.