19/10/2025
Di questa vicenda ci si è occupati solo dal punto di vista dell’orrore criminale. E intendiamoci, scanso a equivoci (ché già vedo i classici commenti accusatori del “giustificazionismo”, che a volte non capisco se arrivano da persone con scarsa capacità di comprensione o da critici intellettualmente disonesti): i Ramponi hanno commesso un atto terribile e criminale, che ha privato della vita tre persone e distrutto le rispettive famiglie. Di fronte a questi gesti criminali, sul piano della condanna personale, ci sono poche parole e pochi discorsi. I Ramponi pagheranno ciò che hanno fatto, meritatamente, con il carcere per il resto della loro vita.
Tuttavia, mi piacerebbe aprire un altro tema. Poiché, semplicemente, è la questione profonda che si pone di fronte ad una parte del crimine, della delinquenza e della “malvagità” che troviamo nella società e sulle prime pagine dei giornali. Un tema che si impone soprattutto, s’intende, quando si tratta della delinquenza e della criminalità di persone appartenenti alle “classi svantaggiate”, non certo di reati come le grandi evasioni fiscali, per intendersi.
Da giorni i due fratelli e la sorella Ramponi sono descritti come “mostri”. Anche come “selvaggi”, come potete leggere nell’articolo del Corriere della Sera. Mostri selvaggi e antisociali, con un’anima evidentemente malvagia e problemi psichiatrici.
Di questa vicenda si è parlato molto dell’orrore criminale e praticamente nulla delle condizioni che rendono possibili queste stragi. Facendo ancora un passo indietro: non si è parlato praticamente nulla delle condizioni politiche, sociali ed economiche che indirettamente portano le persone a trovarsi nelle condizioni di disperazione e abbrutimento materiale e morale che le può portare, infine, a compiere un crimine così grave. A diventare dei selvaggi e dei mostri, appunto.
Fa impressione vedere i volti dei due fratelli Ramponi, dopo anni di autosegregazione in casa durante il giorno senza elettricità e acqua corrente. Senza contatti sociali. Senza, in fondo, un riconoscimento umano da parte di individui della loro stessa specie. Fa impressione, specialmente in alcune città d’Italia, - mi viene in mente Napoli, dove ho lavorato per un anno, con le sue profonde differenze socio-economiche tra un quartiere Sanità e un Posillipo, ma la considerazione vale per tutte le grandi città d’Italia - vedere come le diseguaglianze socio-economiche fanno parte non solo dei modi e dei costumi, ma anche degli stessi volti. Da quali background familiari provengono le persone, spesso lo si può dire semplicemente guardandole in faccia e parlandoci per qualche secondo. Tra chi ha poco e nulla, e chi invece ha alle spalle una famiglia e un contesto sociale benestante, la differenza è profondissima, sul piano estetico e spirituale: la differenza è quasi antropologica. Sembra di avere a che fare con umanità diverse, con un differente grado di sviluppo culturale e spirituale. È un fatto che spesso proiettiamo su società del mondo “non-occidentale”, dove le diseguaglianze socio-economiche, dove le differenze tra chi possiede aziende e chi vive negli slums sono ben più profonde delle nostre; ma pure noi non ce la passiamo affatto bene. L’Italia, nel mondo “occidentale”, se ne sta dietro solo a USA e Gran Bretagna quanto a diseguale distribuzione della ricchezza (e delle possibilità di sviluppo umano e spirituale).
Tipico della cultura neoliberale è la rimozione delle condizioni strutturali, del socio-economico nella spiegazione delle cose. La “naturalizzazione” dei fatti: i poveri sono poveri perché non hanno meritato di guadagnare di più; i vincenti sono ricchi e vincenti perché se lo sono meritato. I mostri sono mostri perché, in fondo, sono mostri nell’anima. Probabilmente, malvagi e selvaggi fin dalla nascita. Poco potrebbe - e quindi: dovrebbe - fare l’organizzazione politica della società per affrontare e correggere questi fatti del tutto “naturali e inevitabili”.
Accanto alla descrizione dell’orrore criminale, che sempre tanta audience fa in TV - a proposito: la cronaca nera sulla televisione pubblica è un gigantesco, quotidiano meccanismo di distrazione di milioni di anziani e casalinghi / casalinghe dalle questioni politiche, e prima o poi bisognerà pur prendere di petto la questione - bisognerebbe aprire una gigantesca discussione sulle condizioni strutturali, socio-economiche, che hanno portato i Ramponi a commettere ciò che hanno commesso. E, più in generale, che portano tanti delinquenti a delinquere. Troppo facile scaricare le colpe sugli individui e spiegare tutto con elementi di “malvagità” e di devianza psichiatrica (devianza psichiatrica che andrebbe, anch’essa, spiegata su basi materiali).
Nessuno nasce criminale. Nessuno nasce “mostro”. La società ha smesso da tempo, soprattutto dall’esplosione dell’epoca neoliberale negli anni ‘70, di avere quale priorità il tentativo di elevare tutti gli individui sul piano materiale e spirituale. I legami sociali si sono sfilacciati, con la diffusione drammatica di una terribile solitudine personale; le diseguaglianze sono semplicemente esplose, con poche famiglie che hanno patrimoni milionari e una raffinatezza di modi, gusto e spirito garantita dalla capacità di spesa e dall’accesso quotidiano alla comodità e alla bellezza (una casa spaziosa e in quartieri esclusivi, vacanze, salotti buoni, sport, beni di lusso, et cetera), e milioni di persone che hanno accesso a un ordine di possibilità infinitamente inferiore. I Ramponi “mostri e selvaggi” sono un caso estremo, ma a milioni di italiani la società non garantisce condizioni materiali, e una possibilità di sviluppo spirituale, che sarebbero assolutamente possibili (e neanche complicate, con politiche diverse) in una parte di mondo come la nostra che sguazza nella ricchezza.
Ecco: a mio parere abbiamo perduto la capacità di interrogarci su tutte queste cose. Fenomeni storici e dovuti a cause strutturali, come le diseguaglianze socio-economiche estreme, hanno smesso di scandalizzarci e abbiamo perduto la consapevolezza delle conseguenze e degli effetti di una società così diseguale, atomizzata, sfilacciata. In cui tante persone e famiglie sono lasciate a se stesse, senza possibilità di un minimo benessere materiale e di un dignitoso sviluppo spirituale. Un tempo si parlava di “diritti” incondizionati e inalienabili; ora si parla praticamente solo di “meriti”, persino dell’opportunità di patentini del voto per togliere la possibilità di espressione politica a chi è “ignorante e selvaggio” (senza mai porsi la questione di come mai è “ignorante e selvaggio”, dinamica tipica dei liberali). Un tempo si parlava di uguaglianza quale obiettivo sociale e politico principale, al fine di garantire l’universale sviluppo della persona umana, come da terzo articolo della Costituzione italiana. Prima dell’epoca neoliberale, quando la cultura socialista e democratica era diffusa nella società, questo universale sviluppo della persona umana, a prescindere dalle condizioni socio-economiche di partenza, era uno dei cardini del modo “occidentale” di stare al mondo. Oggi ormai non costituisce più neppure un problema la coesistenza, nelle nostre società, di classi sociali i cui estremi appaiono quasi come specie umane diverse. I superuomini con la villa al mare e il Range Rover, e gli uomini di Neanderthal senza acqua corrente ed elettricità, costretti a lavorare di notte.
Come dice il cantante Mannarino nella canzone “Un’estate”, meravigliosa e vera:
“I mostri della terra esistevano. Ma erano fratelli sfortunati”