07/07/2025
Crisi esistenziali e identitarie: quando non ci si riconosce più
Ci sono momenti nella vita in cui ci si sente smarriti. Ciò che prima dava senso — il lavoro, i legami, i progetti — improvvisamente sembra vuoto o estraneo. Non è solo tristezza o stanchezza, ma una perdita di orientamento più profonda: ci si chiede chi si è, cosa si desidera, quale direzione prendere.
Questa condizione, che possiamo chiamare crisi esistenziale o identitaria, non è per forza una malattia. Spesso nasce da un cambiamento importante, da una perdita, oppure da un disagio che cresce lentamente nel tempo. È come se qualcosa dentro di noi dicesse: “così non funziona più”.
Nel pensiero di Lacan, ognuno costruisce la propria identità attraverso le parole e le immagini che riceve dagli altri: la famiglia, la scuola, la società. Sono queste che ci danno un nome, un ruolo, un posto nel mondo. Ma arriva un momento in cui queste parole che ci definivano (i cosiddetti significanti) non bastano più, non ci rappresentano, o addirittura ci opprimono. È allora che il soggetto — come lo chiama Lacan — si ritrova diviso, in conflitto tra ciò che ha sempre mostrato e qualcosa di più profondo che fatica a emergere.
A vacillare, in questi momenti, è anche il nostro rapporto con l’Altro: non solo con le persone significative della nostra vita, ma con tutto ciò che rappresenta la cultura, le regole, le aspettative sociali. Quando l’Altro smette di offrire risposte, o quando ci accorgiamo che quelle risposte non ci bastano più, può aprirsi un tempo di crisi. Ma anche un tempo di scoperta.
A differenza della depressione, dove spesso tutto si spegne e si perde interesse per ogni cosa, nella crisi esistenziale rimane una domanda viva: chi sono davvero? cosa voglio? cosa mi muove?
La psicoanalisi non offre risposte preconfezionate, ma uno spazio dove queste domande possono essere ascoltate e percorse. In questo spazio, anche ciò che non si riesce a dire — un disagio, un blocco, un sintomo — può cominciare a prendere forma. Lacan chiama “reale” proprio ciò che ci sfugge, che non ha parole, ma si fa comunque sentire: nei sogni, nel corpo, nell’angoscia.
Un percorso analitico non punta a “tornare come prima”, ma a trovare un modo più autentico di stare al mondo, anche se inizialmente incerto. A volte, per riprendere il filo della propria vita, è necessario accettare che qualcosa debba cambiare. La crisi, allora, non è solo rottura: può essere anche una soglia, un passaggio.