Dott. Samuele Nale Psicologo Psicoterapeuta - Spazio di Ascolto e Parola

Dott. Samuele Nale Psicologo Psicoterapeuta - Spazio di Ascolto e Parola Uno spazio di ascolto e parola, dove il sintomo viene accolto come via d’accesso al soggetto. A Sesto Fiorentino. N. 7726 OPT.

L'incontro come occasione per dare forma al proprio desiderio e aprire nuove possibilità.

Adattarsi al lavoro e alla società. Adattarsi non significa solo saper “funzionare” in un contesto. Per la psicoanalisi,...
07/07/2025

Adattarsi al lavoro e alla società.

Adattarsi non significa solo saper “funzionare” in un contesto. Per la psicoanalisi, e in particolare per Jacques Lacan, l’adattamento è il modo in cui il soggetto si rapporta al desiderio dell’Altro, ovvero all’insieme di leggi, ruoli e aspettative sociali che lo circondano.

Fin dall’infanzia, ognuno si costruisce dentro un mondo già parlato: è questo mondo che Lacan chiama l’Altro, un ordine simbolico che ci nomina prima ancora di sapere chi siamo. Quando entriamo nel lavoro o nelle relazioni sociali, ci troviamo a dover occupare un posto in questo ordine. Se troviamo un significato personale, possiamo farlo nostro. Altrimenti, può nascere disagio.

Un migrante con competenze e titoli, ad esempio, che in Italia trova solo lavori precari e mansioni esecutive, può sentirsi invisibile. Non è solo una questione pratica: il suo desiderio non è accolto dal discorso dell’Altro. Si adatta, ma non si riconosce.

Lacan parla di significante padrone (S1) per indicare le parole o i ruoli fondamentali con cui costruiamo la nostra identità: "insegnante", "madre", "uomo giusto", ecc. Se questo significante manca o è imposto, il soggetto può sentirsi smarrito o schiacciato.

C’è poi il rischio di essere visti solo per la propria funzione: diventare oggetto a, cioè oggetto del desiderio dell’Altro. Non più soggetti, ma strumenti. Questo accade spesso nei contesti lavorativi fragili o di assistenza: il lavoro c’è, ma non ha senso per chi lo fa.

L’obiettivo dell’intervento psicoanalitico non è solo “inserire” o “normalizzare”, ma sostenere il soggetto nel trovare una posizione propria, anche piccola, ma significativa. L’adattamento, allora, non è solo una risposta all’esterno, ma una forma di invenzione soggettiva.

Crisi esistenziali e identitarie: quando non ci si riconosce piùCi sono momenti nella vita in cui ci si sente smarriti. ...
07/07/2025

Crisi esistenziali e identitarie: quando non ci si riconosce più

Ci sono momenti nella vita in cui ci si sente smarriti. Ciò che prima dava senso — il lavoro, i legami, i progetti — improvvisamente sembra vuoto o estraneo. Non è solo tristezza o stanchezza, ma una perdita di orientamento più profonda: ci si chiede chi si è, cosa si desidera, quale direzione prendere.

Questa condizione, che possiamo chiamare crisi esistenziale o identitaria, non è per forza una malattia. Spesso nasce da un cambiamento importante, da una perdita, oppure da un disagio che cresce lentamente nel tempo. È come se qualcosa dentro di noi dicesse: “così non funziona più”.

Nel pensiero di Lacan, ognuno costruisce la propria identità attraverso le parole e le immagini che riceve dagli altri: la famiglia, la scuola, la società. Sono queste che ci danno un nome, un ruolo, un posto nel mondo. Ma arriva un momento in cui queste parole che ci definivano (i cosiddetti significanti) non bastano più, non ci rappresentano, o addirittura ci opprimono. È allora che il soggetto — come lo chiama Lacan — si ritrova diviso, in conflitto tra ciò che ha sempre mostrato e qualcosa di più profondo che fatica a emergere.

A vacillare, in questi momenti, è anche il nostro rapporto con l’Altro: non solo con le persone significative della nostra vita, ma con tutto ciò che rappresenta la cultura, le regole, le aspettative sociali. Quando l’Altro smette di offrire risposte, o quando ci accorgiamo che quelle risposte non ci bastano più, può aprirsi un tempo di crisi. Ma anche un tempo di scoperta.

A differenza della depressione, dove spesso tutto si spegne e si perde interesse per ogni cosa, nella crisi esistenziale rimane una domanda viva: chi sono davvero? cosa voglio? cosa mi muove?

La psicoanalisi non offre risposte preconfezionate, ma uno spazio dove queste domande possono essere ascoltate e percorse. In questo spazio, anche ciò che non si riesce a dire — un disagio, un blocco, un sintomo — può cominciare a prendere forma. Lacan chiama “reale” proprio ciò che ci sfugge, che non ha parole, ma si fa comunque sentire: nei sogni, nel corpo, nell’angoscia.

Un percorso analitico non punta a “tornare come prima”, ma a trovare un modo più autentico di stare al mondo, anche se inizialmente incerto. A volte, per riprendere il filo della propria vita, è necessario accettare che qualcosa debba cambiare. La crisi, allora, non è solo rottura: può essere anche una soglia, un passaggio.

📘 DSA: non solo un disturbo, ma un modo soggettivo di stare nel sapereCosa succede se guardiamo ai Disturbi Specifici de...
07/07/2025

📘 DSA: non solo un disturbo, ma un modo soggettivo di stare nel sapere

Cosa succede se guardiamo ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) – dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia – non solo come deficit da correggere, ma come risposte soggettive a ciò che il sapere rappresenta per un bambino?

Jacques Lacan, nel Seminario XXIII – Il sinthomo (1975-76), introduce un concetto chiave: il sinthomo. Non è più il sintomo come qualcosa da interpretare per guarire, ma una soluzione singolare che tiene insieme il Reale, il Simbolico e l’Immaginario. Il sinthomo è ciò che permette al soggetto di reggere il proprio desiderio e il proprio rapporto con il linguaggio. In questa luce, anche il DSA può essere letto come una modalità di tenuta soggettiva, un modo per trattare il sapere senza esserne travolti.

📖 Dislessia – Spesso descritta come un disturbo della lettura, può apparire clinicamente anche come una resistenza simbolica. Alcuni bambini inciampano ripetutamente nonostante un buon insegnamento. Più che incapacità, può trattarsi di una difesa contro il sapere dell’Altro, contro quel linguaggio che viene vissuto come troppo invadente o normativo.

✍️ Disortografia – Qui l’errore non è solo sbaglio, ma segno soggettivo. Alcuni bambini, anche sapendo le regole ortografiche, le infrangono sempre allo stesso modo: come se fosse una firma, un gesto di differenziazione dall’ideale familiare o scolastico. È un dire: non sarò come volete.

🖐️ Disgrafia – Il gesto grafico è un passaggio delicato, dove il corpo entra nella scrittura. Ma quando il corpo si blocca, trema o resiste, possiamo leggerlo come una difficoltà a lasciarsi attraversare dal significante. Scrivere diventa allora un conflitto, più che un’abilità motoria.

🔢 Discalculia – Il numero, simbolo dell’ordine e della Legge, può diventare un elemento minaccioso. In alcuni casi si osserva una resistenza all’operazione di separazione simbolica, come se apprendere il numero significasse accettare una perdita del legame fusionale, ad esempio con la madre. Qui il rifiuto del numero diventa un modo per restare agganciati a un Altro troppo presente.

🎯 Come scrive Luca Brusa (I disturbi dell’appartamento, Quodlibet, 2024), occorre passare da un’ottica centrata sulla mancanza da colmare a una clinica che ascolti il soggetto e la sua posizione nel sapere. Il bambino con DSA non è da “aggiustare”, ma da incontrare lì dove costruisce un senso, anche se non conforme alle aspettative.

💬 In conclusione, come suggerisce Lacan, ogni soggetto costruisce il proprio sinthomo per reggere l’impatto del linguaggio sull’esistenza. Il DSA può essere, per alcuni, proprio questo: una forma di stabilizzazione del desiderio e del corpo, una maniera soggettiva di stare nel sapere senza dissolversi.

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📚 Per approfondire: J. Lacan, “Il sinthomo”; L. Brusa, “I disturbi dell’appartamento”; J.-C. Maleval, “Il bambino autistico e la sua scrittura”; M. Recalcati, “L’uomo senza inconscio”.

🎤 VASCO ROSSI: IL SINTOMO CHE CANTA> "Eh già, sembrava la fine del mondo / ma sono ancora qua."(Eh… già, 2011)Una voce c...
29/06/2025

🎤 VASCO ROSSI: IL SINTOMO CHE CANTA

> "Eh già, sembrava la fine del mondo / ma sono ancora qua."
(Eh… già, 2011)

Una voce che attraversa il corpo

Vasco Rossi non è solo un cantante: è una voce che attraversa il tempo e tocca qualcosa di intimo e collettivo insieme.
Parla di confusione, desiderio, malessere, senza volerli spiegare o guarire.
Con quella voce roca, quasi stonata, che arriva prima del senso, Vasco diventa oggetto-voce, direbbe Lacan: qualcosa che si sente nel corpo, più che nella testa.

> "Voglio una vita esagerata / piena di guai."
(Vita spericolata, 1983)

Un ribelle senza ideologia

Fin dall'inizio ha rotto con le regole.
Ha messo in crisi l’autorità tradizionale, senza sostituirla con un nuovo ordine.
È rimasto vicino al vuoto lasciato dal Padre, senza mascherarlo.
Non dà modelli da seguire, ma mostra che si può stare nella mancanza senza vergogna.

> "C’è chi dice no, io non mi muovo."
(C’è chi dice no, 1987)

Il sintomo che unisce

Vasco non offre soluzioni, ma canta la difficoltà di vivere.
Il sintomo, in psicoanalisi, è proprio questo: qualcosa che fa soffrire ma che, al tempo stesso, tiene insieme.
E il suo canto fa da legame, trasformando quel sintomo in qualcosa che si può condividere.

Figure femminili e rispetto dell’altro

Le sue figure femminili – Albachiara, Sally – non sono oggetti da conquistare, ma misteri che resistono alla spiegazione.
È raro, nella musica pop, trovare uno sguardo così rispettoso dell’alterità.

> "La gente non ha bisogno di spiegazioni, ha bisogno di sentire che non è sola."
(Intervista a Rolling Stone, 2018)

Il concerto come rito collettivo

Il concerto di Vasco diventa così un rito collettivo, un momento in cui la confusione personale si trasforma in un senso di appartenenza.
In un mondo dove spesso ci si sente soli, questi eventi creano un legame vero e profondo.

Identificazione e riconoscimento

Molti si riconoscono in lui, si vedono un po’ nel suo modo di essere.
Non è solo ammirazione: è come se Vasco riuscisse a dire quello che tanti sentono ma non riescono a esprimere.
Questa forma di identificazione – che la psicoanalisi chiama immaginaria – non è negativa: è spesso il primo passo per dare forma a ciò che dentro di noi è ancora confuso, e iniziare così un possibile cambiamento.

🎯 In conclusione

Vasco Rossi non promette guarigioni né vie di salvezza.
Ma riesce a dare voce al desiderio e alla difficoltà, senza negarli.
È il simbolo di un’umanità imperfetta, fragile, ma vitale, che continua a cercare un senso anche quando il mondo non ne offre più.
E forse proprio per questo, ancora oggi, migliaia di persone si stringono sotto il palco per urlare insieme a lui.

L'esperienza del vuoto nella pratica socio-sanitaria ed educativa: una dimensione necessariaNei servizi socio-sanitari e...
17/06/2025

L'esperienza del vuoto nella pratica socio-sanitaria ed educativa: una dimensione necessaria

Nei servizi socio-sanitari ed educativi, i momenti di vuoto – pause, silenzi, attese – sono spesso vissuti come inefficienze o fallimenti. Spesso c’è la tentazione di riempire ogni spazio con attività, per evitare il disagio che il vuoto provoca. Tuttavia, da una prospettiva psicoanalitica lacaniana, il vuoto non è un semplice vuoto da eliminare, ma una dimensione strutturale e fondamentale della soggettività.

Lacan afferma: «Il desiderio è il desiderio di nulla di nominabile» (Écrits), indicando come il desiderio nasca da una mancanza originaria, un vuoto che costituisce il soggetto. Questo vuoto non è assenza sterile, ma lo spazio dinamico in cui si articola la domanda, si costruisce il senso, si apre la possibilità di trasformazione.

Nella pratica istituzionale, tollerare il vuoto è una sfida etica e clinica. Riempire subito ogni silenzio o inattività rischia di oscurare la domanda del soggetto e impedire un autentico incontro. Al contrario, saper “stare” nel vuoto significa offrire uno spazio di ascolto vero, dove il soggetto può trovare il proprio ritmo e la propria voce.

Accogliere il vuoto richiede pazienza e capacità di ascolto, anche in équipe. Spesso, il disagio legato al vuoto genera ansia o frustrazione, ma condividere questa esperienza può trasformarla in una risorsa, un momento di cura che sostiene processi autentici di soggettivazione.

Il vuoto, dunque, non è solo una mancanza da colmare, ma un luogo simbolico di trasformazione e desiderio, una dimensione che, se rispettata, arricchisce la relazione educativa e socio-sanitaria, rendendola più umana e profonda.

🔷 Evaporazione del Nome-del-Padre: un disagio del nostro tempo 🔷Jacques Lacan già negli anni ’70 parlava di un fenomeno ...
14/06/2025

🔷 Evaporazione del Nome-del-Padre: un disagio del nostro tempo 🔷

Jacques Lacan già negli anni ’70 parlava di un fenomeno oggi più attuale che mai: la “evaporazione del Nome-del-Padre”.
Non si tratta solo della perdita della figura paterna, ma della funzione simbolica che introduce limite, parola autorevole e senso condiviso nella vita personale e sociale.

Oggi viviamo in un mondo in cui:

1️⃣ La scienza produce conoscenze sempre più complesse ma spesso esclude il soggetto, cioè la persona con i suoi desideri e le sue mancanze;

2️⃣ Il discorso capitalista promette un godimento illimitato, dove tutto è consumabile, ma senza limite né legge;

3️⃣ Le istituzioni tradizionali, come la famiglia, la scuola, la politica, faticano a trasmettere un senso condiviso e a regolare il vivere insieme.

🔻 Questa evaporazione del simbolico lascia un vuoto profondo.
Nel vuoto emergono diverse risposte, spesso patologiche:

A livello sociale:

leader carismatici o autoritari che riempiono il vuoto con parole forti e semplici;

algoritmi che orientano i desideri senza confronto umano;

chiusure identitarie e rigidezze che creano conflitti;

una cultura che promette libertà ma lascia molti soli e disorientati.

A livello individuale:

ansia e angoscia diffuse, che spesso non trovano nome;

difficoltà a tollerare la frustrazione e la mancanza;

tendenza a cercare godimenti immediati e illusori, che però non danno pace;

sintomi diversi, dalla depressione alle dipendenze, che parlano di un malessere profondo;

difficoltà a costruire legami duraturi, con il rischio di isolamento.

🧩 La politica e la società tutta sono coinvolte in questa sfida.
Non si tratta di restaurare un’autorità perduta o di imporre nuovi padri, ma di riconoscere il bisogno umano di limite, parola e legame.
Una politica che sappia dare spazio al dialogo, all’ascolto e alla responsabilità collettiva può contribuire a creare un contesto in cui il desiderio e la soggettività possano esprimersi in modo autentico.

💬 La psicoanalisi propone una funzione diversa: non cerca di riempire il vuoto con certezze, ma di offrire uno spazio in cui il vuoto stesso possa essere attraversato.
L’analista ascolta il sintomo come un messaggio, aiuta a tenere aperto il desiderio senza cedere alla fuga o al controllo.

📌 La vera sfida è imparare a stare nel vuoto, riconoscendo il limite non come costrizione, ma come condizione per una libertà autentica e per la costruzione di legami reali.

10/06/2025

🔷 Benvenuti nella pagina del Dott. Samuele Nale – Psicologo Psicoterapeuta
📍 Studio di Psicoterapia Psicoanalitica

Offro uno spazio di ascolto e parola, dove ciascuno può interrogare ciò che lo abita: un disagio, una ripetizione, un sintomo.
Uno spazio per dare voce a ciò che spesso resta senza nome, e aprire la possibilità di nuovi legami con se stessi e con gli altri.

Lavoro con individui, coppie e famiglie, orientandomi alla psicoanalisi, intesa come pratica dell’ascolto e del desiderio.
Non si tratta di fornire soluzioni, ma di creare le condizioni perché il soggetto possa trovare la propria via, a partire dalla propria parola.

Ciò che condivido in questa pagina nasce dall’esperienza clinica e sociale, dalla vita quotidiana e dalle sue domande, ma anche da una riflessione costante sui principi della psicoanalisi e sui grandi interrogativi della filosofia.
Perché il lavoro con il soggetto è anche lavoro sul senso, sul linguaggio e sul modo in cui abitiamo il mondo.

👉 Qui troverete pensieri, spunti e riflessioni sul disagio contemporaneo, la relazione, la parola, il desiderio – nella clinica e nella vita.

📬 Per richieste di colloquio o informazioni, potete contattarmi in privato.

"Il desiderio è la differenza tra il bisogno e la domanda di amore."— Jacques Lacan, Il seminario, Libro XI: I quattro c...
08/06/2025

"Il desiderio è la differenza tra il bisogno e la domanda di amore."
— Jacques Lacan, Il seminario, Libro XI: I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi

Il desiderio, secondo Lacan, non è semplice bisogno né una mera richiesta d’amore. È quella differenza sottile, quel divario che apre lo spazio del soggetto.

Non desideriamo solo ciò che ci serve o l’affetto che cerchiamo, ma un qualcosa di più sfuggente e profondo che non si può colmare completamente.

In questo vuoto si definisce la nostra soggettività: desiderare significa vivere quella mancanza che ci spinge a cercare un Altro, un significante che dia senso alla nostra esperienza.

L’angoscia non inganna> La tristezza può mentire. L’ansia può mascherarsi.Ma l’angoscia — dice Lacan — non inganna.Non è...
07/06/2025

L’angoscia non inganna

> La tristezza può mentire. L’ansia può mascherarsi.
Ma l’angoscia — dice Lacan — non inganna.

Non è una semplice emozione, né uno stato d’animo:
è un segno del reale che irrompe nel corpo.

L’angoscia si presenta quando il soggetto si avvicina a ciò che lo fonda,
a ciò che eccede l’immaginario e il simbolico.
Non ha un oggetto definito, ma non è senza oggetto:
l’oggetto è quello che manca al desiderio,
quello che si avvicina troppo — il Das Ding, la Cosa.

Per Lacan, è un affetto che indica un passaggio:
un punto di verità dove la finzione non regge più.

> L’angoscia ci mostra dove siamo davvero.
Non dove pensiamo di essere.

Pretendere risposta> Pretendere risposta è dimenticare che l’altro è barrato.Che non è mai tutto lì. Che non può — e non...
07/06/2025

Pretendere risposta

> Pretendere risposta è dimenticare che l’altro è barrato.
Che non è mai tutto lì. Che non può — e non deve — completare il nostro senso.

Nel cuore di ogni relazione c’è una ferita simbolica:
l’altro non può colmare la mancanza.
Ma spesso, invece di ascoltare, interroghiamo l’altro come se fosse Dio:
"Dimmi chi sono. Fammi sentire che valgo. Rispondi come voglio."

Lacan ci insegna che l’Altro è barrato (A barrato):
non è mai pieno, non ha garanzia,
e non può darci quella risposta definitiva che chiediamo.

> Il soggetto che pretende risposta è ancora sotto l’illusione del Senso Totale.
Ma l’inconscio parla proprio là dove la risposta manca.



339 638 1149

L’amore è dire mancanza> “Ti amo” non vuol dire: ti ho trovato.Ma: ti dico che mi manca qualcosa… e ti metto lì, in quel...
06/06/2025

L’amore è dire mancanza

> “Ti amo” non vuol dire: ti ho trovato.
Ma: ti dico che mi manca qualcosa… e ti metto lì, in quel posto.
Nel dire amore, non colmiamo un vuoto.
Lo abitiamo.
Amare è rischiare la parola che ci espone, senza sapere cosa tornerà indietro.
È nominare l’assenza senza volerla colmare subito con un oggetto.

Come educatori, come amanti, come soggetti:
l'amore non è possesso, ma offerta del proprio mancare.

> “Amare è dare ciò che non si ha a qualcuno che non lo vuole.”
– Jacques Lacan



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Sito Web

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