12/11/2025
Il 12 novembre 2017 veniva a mancare un grandissimo Maestro, Sri TK Sribhashyam, figlio di Sri TKV Krishnamacharya.
Ho avuto la fortuna di partecipare ad un seminario con lui nel 2016, e la sua pratica ha aperto in me una dimensione mai esperita prima.
Ho avuto poi l'ulteriore fortuna di essere accettata come allieva da Aurelia Debenedetti, le cui generose lezioni seguono fedelmente gli insegnamenti di Sribhashyam, impartendoli con conoscenza profonda della mente occidentale, permettendomi così di continuare ad approfondire l'approccio tradizionale alla pratica
Di seguito, il ricordo di Aurelia dall'ultima newsletter di Yogakshemam
*Il sorriso interiore. Una riflessione e un ricordo*
Sollecitata da Alfredo Vitali e Antonio Naim, cominciai, in gioventù, un corso settimanale di yoga, non immaginando che lo avrei protratto per circa quarant’anni. E la locandina diceva: ‘’ Yoga… per un corpo tonico e sciolto, la mente distesa, un sorriso interiore’’.
Allora lo Yoga era genericamente definito Hatha Yoga e si incentrava sulle posizioni associate alla respirazione e al rilassamento che era quanto l’occidente, e non solo, sapeva di Vairāgya . Le nozioni di Prāṇāyāma erano di base.
Quando conobbi Sribhashyam, circa quindici anni dopo, cominciai a studiare effettivamente lo Yoga con Lui, cominciando dal Sāṁkhya , e, da allora, non ne ho mai interrotto né lo studio, né la pratica continuando a lavorare sui preziosissimi appunti delle Sue lezioni che hanno una profondità insondabile. Infatti, imparo da Lui, tuttora, come se ancora tenesse le lezioni che continuo a studiare.
Ma c’è un curioso collegamento, certamente Karmico, tra il Suo insegnamento pratico e il mio inizio lontano: si tratta del ‘sorriso interiore’ citato nella mia prima locandina.
Patañjali dice che la prima delle afflizioni che ci vessano è Avidyā , sinteticamente, il fatto di identificarsi con l’aspetto perituro in noi, invece di identificarci con l’aspetto eterno in noi che è l’anima. La sede dell’anima è in Hṛdaya, il cuore spirituale, che è un punto divino di concentrazione, al quale Sribhashyam ci ha iniziati. Hṛdaya è pervaso dalla gioia libera da alcun collegamento con la vita.
Durante il processo di concentrazione su un punto divino, sappiamo da Patañjali che, anzitutto, la mente ‘si veste’ dei valori che le consentono di percepire il punto di concentrazione (Dhāraṇā ) per poi affinarsi, mantenendo soltanto l’aspetto divino del punto per entrare in Dhyāna .
Dhyāna, per quanto breve sia, infonde un’esperienza di gioia libera da alcun collegamento concreto. E, se si sperimenta Dhyāna, lo si ricorda, si ricorda un vissuto di limpida pace che lascia una traccia e favorisce la possibilità di ripetere l’esperienza.
Ricordo che, durante una conferenza tenuta da Sribhashyam, che traducevo, qualcuno chiese quale fosse una buona pratica quotidiana. Sribhashyam rispose che occorreva introdurre dei brevi momenti quotidiani in cui si orienta la mente verso Hṛdaya, il proprio cuore spirituale che non è mai distratto dalle vicissitudini della vita. Hṛdaya è un punto sottile e divino, è in ognuno di noi ed è sede dell’anima, la nostra realtà invincibile ed eterna.
Sappiamo bene che la pratica dello Yoga offre risposte ad ogni esigenza fisica e mentale; perciò, tutta questa grande scienza può coinvolgerci talmente da distrarci dal percorso essenziale che è la ricerca spirituale. È il percorso verso Hṛdaya quello che mette sulla strada della ricerca spirituale. È la ricerca spirituale che ‘’salva la vita’’ come si diceva nel film su Sri T. Krishnamāchārya, ‘’Breath of the Gods’’, al quale Sribhashyam prese parte. Nel film si faceva riferimento alle sedute costituite da Mudrā , Prāṇāyāma e sviluppo del campo mentale verso la concentrazione perfetta.
Sribhashyam suggeriva di praticare una ricorrente concentrazione su un punto divino che è in noi. Suggeriva, in pratica, di ritagliarsi qualche spazio nella giornata, sistematicamente, per ricordarsi dell’aspetto eterno che è in ciascuno di noi. Ricordarsi di sé. Ciò ci aiuta a non identificarsi, invece, con gli errori, i dolori e le sconfitte.
La concentrazione su un punto divino richiama già, di per sé, una gioia libera da associazioni, inoltre la concentrazione su Hṛdaya, punto intessuto di gioia, la richiama doppiamente.
Ricordo anche che, nella giornata, ci sono tre momenti particolarmente favorevoli a tale concentrazione: i tre Saṃdhyā , l’alba, il mezzogiorno e il tramonto.
Abbiamo già parlato di Saṃtoṣa , il coltivare e vivere la gioia per ciò che si ha. Se, ogni giorno, la attuassimo per un momento e praticassimo anche, nella giornata, la concentrazione su Hṛdaya aggiungeremmo valore positivo alla nostra vita che si comunicherebbe anche a coloro che sono intorno a noi.
Avremmo esperienza, anche se temporanea, di quel sorriso interiore scolpito sulle effigi sacre orientali che ho sempre associato al campo mentale vestito di pace che spontaneamente associavo allo Yoga.
L’insegnamento di Sribhashyam faceva in modo che lo si scoprisse.