14/11/2025
🔵Estate 2015. Un’estate di fuoco tra lavoro intenso, concerti, feste, spiaggia…
Mia figlia aveva 7 anni e iniziavo a notare dei piccoli cambiamenti: era sempre stanca, aveva un appetito strano, stava spesso sdraiata sul divano. Non avevo mai avuto a che fare con il diabete, ma conoscevo bene i numeri della Sardegna.
Quel giorno, domenica 30 agosto, chiamo la guardia medica del paese: «Buongiorno, ho un sospetto… potrebbe misurare la glicemia a mia figlia?» Dall’altra parte: «Signora, aspetti domani, c’è la pediatra». Chiudo la chiamata. E subito ne faccio un’altra: il pronto soccorso. Spiego il sospetto, avviso che sto arrivando. Mia figlia era nervosa, non voleva andare e come biasimarla? All’arrivo, nessuno parla. Né medico, né infermiere, né OSS. Silenzio. L’infermiere prende il glucometro, controlla, si gira verso di me… e annuisce. 278 mg/dl. Dentro di me sono sprofondata: mia figlia si è ammalata per sempre.
Non è stato facile... Ho buttato giù il mio dispiacere per farle forza, mentre lei cercava di orientarsi in qualcosa più grande della sua infanzia. Perché un bambino dovrebbe vivere l’ingenuità e la leggerezza dei suoi anni, non le responsabilità di una malattia cronica. E invece non tutti i bambini sono fortunati.
Nelle settimane successive abbiamo dovuto imparare a vivere di nuovo, tutti. Perché la malattia di un bambino diventa inevitabilmente la malattia dell’intera famiglia. Anche di mio figlio, che all’epoca aveva solo 8 anni e, senza neppure rendersene conto, si è ritrovato a dover aiutare sua sorella ogni volta che era (ed è) necessario.
Oggi, in questa Giornata Mondiale del Diabete, condivido la nostra storia perché riconoscere i sintomi può cambiare tutto. Lo dico da mamma e da professionista sanitaria.
Lo dico da persona nata e cresciuta in Sardegna, dove l’incidenza del diabete tipo 1 fa ve**re i capogiri.
💙 Oggi più che mai, parliamone.
Perché sapere cosa andare a cercare può salvare una vita.
💙